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  • Domenica 11 gennaio 2015

Cosa aspettarsi dai musulmani

Ernesto Galli Della Loggia scrive sul Corriere che non bisogna “chiedere”: ma che alcune riflessioni sulla violenza deve saperle fare l’Islam, con un precedente particolare

Muslims women pray in the al-Hussein mosque, where according to belief the head of Imam Hussein, the grandson of prophet Mohammed, is buried, in the old city of Cairo on December 4, 2011. AFP PHOTO/MAHMUD HAMS (Photo credit should read MAHMUD HAMS/AFP/Getty Images)
Muslims women pray in the al-Hussein mosque, where according to belief the head of Imam Hussein, the grandson of prophet Mohammed, is buried, in the old city of Cairo on December 4, 2011. AFP PHOTO/MAHMUD HAMS (Photo credit should read MAHMUD HAMS/AFP/Getty Images)

In prima pagina sul Corriere della Sera di domenica, lo storico Ernesto Galli Della Loggia espone con equilibrio e rispetto alcune idee sul rapporto tra il mondo musulmano e la violenza, e tra l’Occidente e il mondo musulmano. Citando per spiegarsi un precedente storico italiano molto distante e però con qualcosa di potenzialmente simile (a cui aveva già alluso nei giorni scorsi il peraltro direttore del Post Luca Sofri).

All’Islam non servono ritrattazioni, dissociazioni, condanne. E diciamo la verità: chiedere ai suoi esponenti qualcuna di queste cose ha sempre un sapore sgradevolmente intimidatorio, specie se, come accade spesso, chi avanza simili richieste non sta a Bagdad o a al Cairo ma vive ben rimpannucciato in qualche metropoli europea o americana. Oggi all’Islam serve altro: serve una Rossana Rossanda islamica (e spero che in questo caso l’evocazione di una donna non scandalizzi nessuno).

Qualcuno ricorda? Era il lontano 28 marzo 1978, in pieno sequestro Moro. Tutto lo schieramento politico «democratico e di sinistra», come allora si diceva (cioè dalla Dc al Pci), s’interrogava sull’accaduto. S i chiedeva quale misterioso progetto ideologico e quali reconditi burattinai stessero dietro le elucubrazioni delle Brigate rosse.

In tutto questo, Rossana Rossanda – un’antica esponente comunista poi espulsa dal partito perché tra gli iniziatori dell’esperienza politica e giornalistica del Manifesto – ebbe il coraggio di dire ciò che era sotto gli occhi di tutti ma che fino ad allora nessuno a sinistra aveva osato quasi neppure pensare. E cioè che per capire il linguaggio e l’ideologia delle Br non c’era da andare molto lontano: l’una e l’altra erano infatti quelli del comunismo degli Anni 50, ben scolpiti nella memoria di tutti. Le Br, insomma, non venivano dal nulla, non erano delle schegge impazzite chissà come di chissà che cosa. Erano all’opposto, una pagina dell’«album di famiglia» della Sinistra italiana: una pagina obsoleta quanto si vuole, fuori tempo, ferma ad analisi ormai superate, insostenibili quanto si vuole, ma che un tempo erano state condivise da moltissimi perché facevano parte di un patrimonio comune a moltissimi. Anche se questi ora preferivano dimenticarlo. L’articolo della Rossanda s’intitolava appunto «L’album di famiglia». E naturalmente fece non poco scandalo.

(continua a leggere sul sito del Corriere.it)

– Provo a pensare (Wittgenstein)

foto: MAHMUD HAMS/AFP/Getty Images