10 canzoni di Elvis Presley

Da riascoltare oggi che avrebbe compiuto 80 anni (anzi, li compie: come si sa, è vivo da qualche parte)

A publicity photo from the 1957 film, "Jailhouse Rock", in which Elvis Presley plays a convict who becomes a rock star. (AP Photo)
A publicity photo from the 1957 film, "Jailhouse Rock", in which Elvis Presley plays a convict who becomes a rock star. (AP Photo)

Elvis Presley, nato a Tupelo, nel Mississippi, l’8 gennaio del 1935, oggi avrebbe compiuto 80 anni. Quasi tutti hanno sentito le sue canzoni più famose, almeno una volta. Per chi vuole riascoltarle queste sono le dieci canzoni che Luca Sofri, peraltro direttore del  Post, ha scelto per il suo libro Playlist.

Elvis Presley
(1935,Tupelo, Mississippi – 1977, Memphis,Tennessee)
Come si sa, è vivo, da qualche parte.

Love me tender

(Elvis, 1956)
La melodia era una vecchia canzone dei tempi della guerra di secessione. Quando lasciò il numero uno della classifica statunitense, il suo posto lo prese “Hound dog”, di Elvis anche quella: non era mai successo. Gli americani hanno questo verbo “to belong”, che non significa solo letteralmente “appartenere”: il luogo a cui appartengo, il mio luogo, il posto dove devo stare: “Love me tender love me long
Take me to your heart
For it’s there that I belong”

Don’t
(50,000,000 Elvis fans can’t be wrong: Elvis’ golden records, 1959)
Lei gli dice sempre di no, e lui prova a baciarla, ma lei si scansa, diffidente. E allora lui le dà mille garanzie che la amerà per sempre, che è sincero. Magari era solo l’alito.

Are you lonesome tonight
(Flaming star, 1961)
La leggenda vuole che un Elvis appena tornato dal servizio di leva cantasse questa vecchia canzone per gioco davanti al suo manager e al suo discografico, nel buio dello studio, urtando l’asta del microfono per sbaglio. «Lasciamo perdere» concluse. Gli chiesero di proseguire, e registrarono. E col “bump” dentro, arrivò al numero uno. L’interrogativo sui pensieri di lei sarebbe stato poi espresso spesso da altri – “Chissà se mi pensi” di Baglioni, “Vivo da re” di Ruggeri – ma nessuno ebbe più il fegato di un passaggio eroicamente cialtrone come quello dove Elvis, su un coro di “uuuù uuuù”, declama in prosa “I wonder ifffff, you’re lonesome tonight…”. Arte pura.

Can’t help falling in love
(Blue Hawaii, 1961)
Io non posso credere che non gli scappasse un po’ da ridere, mentre cantava in quel modo gigionissimo. La musica è quella di una romanza settecentesca di Giovanbattista Martini (che poi era francese e si chiamava Schwarzendorf), le parole di due newyorkesi di cognome Peretti e Creatore. Andò forte la cover degli UB40, nel 1993.

Suspicious minds
(From Elvis in Memphis, 1969)
Del rovinarsi la vita sospettando e non fidandosi. Un pezzo soul (inciso a Memphis, terra natìa), che fu il rilancio musicale di Elvis dopo anni di filmetti. L’aveva scritta (con lo pseudonimo di Mark James) Francis Zambon, di origini italiane. È bella la cover dei Fine Young Cannibals.

In the ghetto
(From Elvis in Memphis, 1969)
Sempre dalle Memphis Sessions, la prima canzone di impegno di Elvis, tra molte preoccupazioni diplomatiche del suo staff. In un grigio e freddo mattino nasce un bambino, nel ghetto di Chicago, e se nessuno si occupa di lui diventerà un piccolo delinquente, e poi un giovane criminale, e finirà ammazzato mentre starà nascendo un bambino, nel ghetto di Chicago, in un grigio e freddo mattino…

I just can’t help believin’
(That’s the way it is, 1970)
Ballatona: lui quasi ha paura di crederci, che lei davvero gli stia dando la mano, che dorma con lui, che gli sussurri cose dolci. Se lo ripete tre, quattro, cinque volte: questa è la volta buona, “this time the girl is gonna stay, for more than just a day”. Chissà cosa ha spinto le altre ad andarsene dopo le prime ventiquattr’ore.

Burning love

(Burning love and hits from his movies, 1972)
L’ultima canzone di Elvis a entrare nei primi dieci (con lui vivo). Nel 2005, le agenzie di stampa riferirono di una donna australiana che aveva colpito ripetutamente il suo compagno con delle forbici perché non sopportava più di sentirgliela suonare. Lui se la cavò.

The wonder of you
(On stage: February 1970, 1970)
E qui vorresti essere a Las Vegas, quasi quarant’anni fa, a goderti l’attacco trionfale e rassicurante, perfetto per concludere un concerto. Mai incisa in studio, sempre eseguita dal vivo.

Always on my mind

(Separate ways, 1973)
“Forse non ti ho amato proprio nel modo giusto
Forse non ti ho abbracciato quanto avrei dovuto
Avrei potuto fare e dire molte piccole cose
E non ne ho mai avuto il tempo
Ma ti ho pensata sempre
Ti ho pensata sempre”