Perché ci piace il cibo piccante?

Ci procura dolore e senso di pericolo, ma lo mangiamo per lo stesso motivo per cui andiamo sulle montagne russe, ci lanciamo con il paracadute e guardiamo i film horror

In molti descrivono la sensazione di calore che si prova mangiando cibo piccante come vero e proprio dolore. È una definizione corretta, visto che i cibi piccanti procurano al palato la simulazione di un’irritazione o, alle volte, di un’ustione. In altre parole, quando si mangia piccante i nervi mandano un segnale d’allarme per avvertire che il palato sta “bruciando” (questo è il motivo per cui il peperoncino viene utilizzato negli spray anti-uomo). Ma allora perché così tante persone al mondo provano gusto a mangiare cibi piccanti? La risposta, secondo lo psicologo Paul Rozin, è piuttosto semplice ed è la stessa che spiega anche perché ci piacciono attività apparentemente insensate, come lanciarsi da un ponte appesi a una corda elastica:

Agli esseri umani piace godere delle situazioni in cui il loro corpo manda segnali d’allarme, mentre sanno che in realtà è tutto ok.

Pochi giorni fa, il Wall Street Journal ha raccontato nuovamente la storia del rapporto tra uomo e cibo piccante: si tratta di un tema che gli scienziati dell’alimentazione hanno cominciato a studiare negli anni Settanta, basandosi sulla storia evolutiva dell’uomo. Una delle cose che distingue l’uomo dai koala, per esempio, è che per il cervello dei koala l’alimentazione è una questione abbastanza semplice. Il sapore delle foglie di eucalipto – l’unico alimento di cui si nutre il koala – è associata a una sensazione piacevole. Per gli esseri umani le cose sono un po’ più complesse. Siamo creature onnivore, cioè mangiamo un po’ di tutto. Questa caratteristica ci ha permesso di non fare affidamento su un’unica fonte di cibo e di trovare nuove fonti di sostentamento anche nel corso di lunghissime migrazioni.

Essere onnivori comporta però anche una serie di difficoltà, per esempio il fatto che in natura non tutto quello che si può masticare è commestibile. I primati hanno sviluppato un certo gusto per la sperimentazione. Il sapore amaro ha per esempio una certa correlazione con la tossicità. Con il passare dei millenni, ingerendo piccole quantità di cibo per volta, gli esseri umani hanno imparato a nutrirsi anche di cibi dal sapore amaro, ma non velenosi. Questo spiega perché la nostra specie ha iniziato a mangiare cibi dal sapore non gradevole, ma non ci dice come mai ci piacciano cibi che sono, in sostanza, dolorosi da mangiare.

Rozin è uno dei più importanti scienziati che studiano le nostre abitudini alimentari. A partire dagli anni Settanta, Rozin fece una serie di studi sul campo per capire cosa ci fosse dietro il gusto apparentemente paradossale per il cibo piccante. Viaggiò a lungo in Messico e in particolare nella stato meridionale di Oaxaca, dove i residenti hanno una dieta molto piccante. Mise a confronto la loro tolleranza ai cibi piccanti con quella di un campione di americani che avevano invece abitudini alimentari meno “estreme”. Il risultato fu, prevedibilmente, che i messicani avevano una tolleranza al piccante superiore, anche se di pochissimo. Il piccante che entrambi i gruppi apprezzavano di più era quello appena sotto la soglia del dolore intollerabile. Come ha scritto Rozin: «Questo mi fece pensare che il dolore c’entrava: le persone si spingevano al limite e questo era parte del fenomeno stesso».

La spiegazione di questa “ricerca del limite” è abbastanza semplice. Nel cervello umano le aree che si occupano del piacere e del dolore sono molto vicine e una volta entrate in funzione attivano parti del cervello dove ha sede la coscienza superiore che sono anch’esse molto vicine le une alle altre. Secondo Rozin, l’amore per il cibo piccante non era altro che un prodotto dell’interazione tra queste due aree vicine del cervello. La sensazione di dolore e pericolo, confusa con piacere, è accompagnata dalla consapevolezza che in realtà il nostro palato non sta davvero andando a fuoco. A questo si aggiunge il fatto che la sensazione sparisce dopo pochi istanti, innescando il meccanismo piacevole del sollievo.

Si tratta di un’attività “masochistica” in cui il cervello viene in qualche misura “ingannato” e trova piacevole una cosa in realtà dolorosa. Non è l’unica attività umana in cui si verifica questo fenomeno. Come ha scritto lo stesso Rozin: «Le persone amano la paura e l’eccitazione prodotte da molte altre situazioni di pericolo simulato, come le montagne russe, i lanci con il paracadute e i film horror».

Naturalmente esistono dei limiti, diversi per ogni persona e a loro volta influenzati dalle abitudini alimentari. La sostanza chimica responsabile della sensazione di piccantezza si chiama capsicina e la sua presenza all’interno di un cibo si misura con la “scala di Scoville” (una spiegazione di come si classificano i peperoncini si può trovare qui). Per quasi tutti gli esseri umani, i peperoncini in cima alla scala superano il livello ambiguo in cui il dolore si mischia al piacere. Quindi se una persona dovesse decidere di dare un morso al “Carolina Reaper” (il “Mietitore della Carolina”), il peperoncino attualmente in cima alla scala, il suo cervello probabilmente non comunicherà alcuna sensazione piacevole, ma soltanto una lunga e intensa sofferenza.