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  • Sabato 20 dicembre 2014

Gli stadi vuoti in Italia

Costa tanto andarci, sono brutti, non sono funzionali e tutto dura solo novanta minuti, dice un articolo sulla rivista Ultimo Uomo

A partire da alcuni dati riportati nel capitolo “Territorio e Reti” dell’annuale rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia, un articolo pubblicato sulla rivista Ultimo Uomo cerca di capire i motivi della bassa affluenza di pubblico negli stadi italiani per le partite di calcio. L’autore dell’articolo, Fulvio Paglialunga, mette i dati del Censis in relazione con altri numeri forniti da importanti società di consulenza estere (come Deloitte) sui fatturati delle squadre di calcio. Secondo Paglialunga, il problema è legato principalmente al declino degli stadi italiani, a una situazione generale di arretratezza delle strutture e inadeguatezze nella gestione degli eventi. Se si esclude il caso della Juventus, che ha uno stadio di proprietà, le partite in Italia si svolgono solitamente in stadi riempiti tra il 30 e il 60 per cento della loro capienza massima: “perché costa tanto, perché sono brutti, perché non sono funzionali, perché tutto dura solo novanta minuti”, scrive Paglialunga.

Ciò che in questi anni ha scavato il solco tra il calcio italiano e quello degli altri è ormai così evidente da finire nel rapporto annuale del Censis, quello che quest’anno (ma anche un po’ gli altri, soprattutto gli ultimi) dice che famiglie e imprese hanno paura del futuro e che i giovani sono abbandonati e sfiduciati. Dice pure che l’Italia del calcio è indietro, portando conferme tristi di un pallone che non ha visto il futuro mentre le altre erano in corsia di sorpasso e che soprattutto fatica a vederlo anche adesso. Ci prova, a volte. Ma parte così indietro che non è detto che correre a velocità doppia possa servire.

Nella relazione del Censis, nel capitolo “Territorio e reti”, nella pagina (grafico compreso) dedicata alla questione il calcio sembra – da quel punto di osservazione – aver almeno voglia di provarci. «Dopo l’esperienza apripista dello Juventus Stadium, in cui si è riusciti a importare il modello degli stadi inglesi (proprietà dei club, tribune vicine al campo di gioco, elevato livello di comfort e corredo di attività commerciali e di intrattenimento), si parla molto della realizzazione di nuovi stadi per il calcio anche in altre città italiane. La convinzione dei club sembra essere quella che solo stadi di proprietà, più piccoli e confortevoli, gestiti come grandi attrattori del tempo libero, possano garantire quei consistenti ricavi aggiuntivi necessari per il rilancio del settore».

Non saper produrre soldi
Il punto è proprio questo: il calcio italiano non ha soldi e nemmeno riesce a farne. Il declino è nei numeri: nella classifica dei fatturati, nota come Deloitte Football Money League, la prima italiana si vede dopo otto squadre di altri campionati. La Juve è infatti nona con 272,4 milioni di fatturato nella scorsa stagione. Prima ci sono Real Madrid (518,9), Barcellona (482,6), Bayern Monaco (431,2), Manchester United (423,8), PSG (398,8); Manchester City (316,2), Chelsea (303,4) e Arsenal (284,3). Le altre italiane nella top trenta sono Milan (decimo, 263,5), Inter (quindicesima, 168,8), Roma (diciannovesima, 124,4), Napoli (ventiduesima, 116,4) e Lazio (ventottesima, 106,2).

Juve e Milan insieme superano di poco il Real, ma ciò che impressiona è la fotografia del declino che si può scattare seguendo la successione degli anni: nel 2006 (quindi con i dati della stagione 2004/05), il Real Madrid era sempre primo, ma il Milan era terzo e la Juve quarta, nemmeno troppo lontane, e con Inter e Roma c’erano quattro italiane nelle prime undici. Il salto all’indietro in otto anni è notevole, anche perché mentre la Juve è passata da 229 milioni nel 2005 a a 272 milioni nel 2013 (più 18,8 %) e il Milan da 234 a 263 (più 12,4 %), il Real Madrid ha preso il volo (da 275 a 518, più 88 %).

È impietoso il raffronto di cosa è accaduto dal 2005 al 2013: sedici squadre, delle prime venti, sono rimaste nella “classifica” di Deloitte e se si fa eccezione per il Newcastle, quelle che sono cresciute meno sono le italiane, e nel caso di Roma e Inter addirittura perdendo qualche milione di fatturato.

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Foto: Stadio Olimpico di Roma, 9 marzo 2014.
(Marco Rosi/ LaPresse)