Perché i dipendenti delle province protestano

Gli impiegati stanno protestando e occupando i loro uffici in tante città, per via di un'intricatissima questione burocratica e legislativa che riguarda 20.000 persone

In diverse città italiane sono iniziate giovedì proteste e “occupazioni” delle sedi delle province e di altre sedi istituzionali da parte dei loro dipendenti. La mobilitazione è partita da Firenze, si è estesa a Pistoia, Massa, Lucca, Siena, Pisa e Livorno ma anche a Roma, a Torino, a Reggio Emilia, in Puglia, Veneto e Sicilia. Al centro delle contestazioni c’è il maxiemendamento governativo alla legge di stabilità in discussione in questi giorni al Senato. La situazione è tecnicamente piuttosto complicata e dipende da un guaio che si è venuto a creare tra la riforma delle province e i tagli previsti dalla legge di stabilità.

Bilancio e stabilità
In questi giorni al Senato sono in discussione il ddl n.1699, quello sul Bilancio, e il ddl n.1698, la legge di stabilità, già approvati dalla Camera dei deputati. Poiché la commissione Bilancio del Senato non era riuscita a finire l’esame di tutti gli emendamenti per il 18 dicembre, quello consegnato inizialmente all’aula era un testo che tecnicamente non aveva il mandato del relatore: era insomma una specie di testo ancora “aperto”. Le modifiche alla legge di stabilità introdotte dalla commissione Bilancio del Senato (il cui lavoro, di fatto, è stato vanificato) dovrebbero rientrare in larga parte in un maxiemendamento del governo presentato oggi e sul quale ci sarà un voto di fiducia. «Ma non c’è nessuna garanzia. Ora il padrone del provvedimento è il governo», ha spiegato ieri sera il relatore Giorgio Santini del PD. Dopo il voto al Senato il provvedimento tornerà alla Camera per l’approvazione definitiva. Il tutto in teoria entro il 24 dicembre.

Secondo quanto si sa, nel testo iniziale della manovra erano previsti – e molto probabilmente questo punto sarà confermato anche nel maxiemendamento – dei tagli alla spesa pubblica per un totale di circa 15 miliardi. Quattro miliardi sono tagli ai ministeri e, a quanto pare, si tratterà di tagli lineari e non mirati a singoli “sprechi” o altre “inefficienze”. Altri quattro miliardi saranno chiesti alle regioni, che hanno protestato duramente anche perché, considerando i tagli decisi dai governi precedenti, nel 2015 avranno una riduzione di trasferimenti pari a circa 5,7 miliardi. Per i comuni sono previsti tagli di 1,2 miliardi e per le province di un miliardo nel 2015, due nel 2016 e tre a partire dal 2017. Questo, oltre a comportare un problema di liquidità nel garantire i servizi, si traduce a livello di occupazione in un esubero di dipendenti per le province che dovrebbero dunque essere trasferiti. C’è un’altra questione che si intreccia a questo: che le province nel frattempo sono state oggetto di una corposa riforma.

Riforma delle province
La riforma delle province è stata convertita in legge lo scorso aprile dalla Camera: si tratta del cosiddetto “Disegno di legge Delrio” (il numero 1542-B) che, ricordiamo, non prevede un’abolizione ma una sostituzione con nuovi enti. Il provvedimento stabiliva, tra le altre cose, che alcune competenze sarebbero rimaste alle amministrazioni provinciali e alle nuove città metropolitane (strade, scuole e difesa del territorio) e altre sarebbero invece passate, insieme ai dipendenti, alle regioni o ai comuni (formazione professionale, turismo, cultura, agricoltura, per esempio). Entro fine anno le regioni e i comuni avrebbero dovuto decidere come suddividere quelle competenze e i dipendenti, ma non è ancora stato fatto. Secondo i calcoli del governo, delle circa 47 mila persone che lavorano nelle amministrazioni provinciali, 27 mila dovrebbero rimanere nei loro attuali uffici mentre le altre 20 mila dovrebbero passare ad altre amministrazioni locali.

province

Sui tagli previsti dalla legge di stabilità, scrive il Sole 24 Ore:

«Il taglio è misurato sulla spesa, e prevede il dimezzamento nelle Province “normali” e la riduzione del 30% in quelle destinate a trasformarsi in Città metropolitane e, con un correttivo dell’ultima ora, in quelle montane e confinanti con Stati esteri (Verbano-Cusio-Ossola e Sondrio), ma è facilmente traducibile in posti: 19.339, secondo l’Unione delle Province italiane, su 43.498 dipendenti a tempo indeterminato oggi al lavoro. Al conto, poi, vanno aggiunti tutti i titolari dei contratti a termine che sono sopravvissuti finora, e che al momento sono destinati a cadere con il cambio d’anno».

E quindi?
Queste 20 mila persone si trovano, di fatto, in una zona di incertezza: a metà tra i vecchi enti, destinati allo «svuotamento» previsto dalla riforma delle province, e le amministrazioni a cui sarebbero destinati ma che non hanno i soldi per assumerli. Come ha spiegato qualche giorno fa a Repubblica Alessandro Pastacci, presidente dell’Unione delle Province italiane, il problema è «lo sfasamento dei tempi tra l’applicazione della legge Del Rio e la necessità di fare cassa del ministero dell’Economia». Il risultato è che dal primo gennaio alle province è stato chiesto di tagliare un miliardo dalle loro uscite, l’equivalente cioè degli stipendi dei 20 mila dipendenti che dovrebbero passare alle regioni. Ma le regioni e i comuni non li hanno ancora assunti e non hanno avuto risorse extra per assumerli, bensì tagli alle risorse esistenti. E dice Pastacci, sulle regioni, che «non li assumeranno per molto tempo perché per farlo devono concordare con i Comuni la divisione dell’esercito degli impiegati in fuga dalle Province in via di progressivo smantellamento».

Giorgio Santini, relatore al Senato della legge di stabilità, ha precisato che queste quasi 20 mila persone non saranno licenziate perché «dal primo gennaio scatterà un percorso di mobilità e per due anni conserveranno il posto di lavoro». Dopo due anni, però, se il dipendente non verrà ricollocato all’interno di altre amministrazioni «scatteranno le regole in vigore che prevedono che i lavoratori prendano l’80% dello stipendio». Ma in caso di mancata ricollocazione in questi due anni prenderanno lo stipendio senza lavorare. E c’è un altro problema: intanto che regioni e comuni decidono come spartirsi questi lavoratori, chi li paga?

Conclude il Sole 24 Ore:

«In tutto questo si inserisce poi la situazione dei vincitori di concorso, cioè degli aspiranti dipendenti pubblici che hanno passato in questi anni le selezioni indette dalle Pubbliche amministrazioni e ora rischiano di veder occupati i pochi spazi assunzionali che ci sono dai dipendenti in arrivo dalle vecchie Province. Una beffa, dopo attese durate anche anni e allungate dai limiti progressivi introdotti al turn over, che ha già scatenato una mobilitazione online (su twitter l’hashtag è #NoEmendamento29810) con migliaia di adesioni».