«A Fra’, che te serve?»

La storia della frase citata sui giornali di oggi a proposito dell'inchiesta su Roma e di tutto il mondo di potere, corruzioni, favori e maneggioni che evoca

Archivio Storico
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Anni '90
Politica
Giulio Andreotti
Archivio Storico Dufoto/LaPresse Anni '90 Politica Giulio Andreotti

Sulla Stampa di oggi c’è un’intervista di Amedeo La Mattina a Umberto Croppi, che negli anni Settanta e Ottanta ha militato nella destra romana fino ad arrivare ai vertici dell’MSI di Pino Rauti, che negli anni Novanta è diventato capogruppo dei Verdi al consiglio regionale del Lazio e che nel 2008 ha curato la comunicazione elettorale di Gianni Alemanno per le elezioni del comune di Roma, diventando poi assessore alle Politiche culturali e alla comunicazione. Nel gennaio del 2011 non venne confermato dopo un azzeramento della giunta e si parlò di un peggioramento dei suoi rapporti con Alemanno. A un certo punto dell’intervista, rispondendo alla domanda se Alemanno sia o no corrotto, Croppi risponde:

«Non si è arricchito con la politica. Gli rimprovero di non avere usato l’ampio mandato popolare per rompere il meccanismo “a Fra’ che te serve” che c’era già ai tempi del sindaco Carraro al quale arrestarono tutta la giunta»

La frase «a Fra’, che te serve» è diventata dagli anni Ottanta in poi un modo di dire per indicare il sistema di potere e corruzione della Prima Repubblica e poi di Tangentopoli. La frase è attribuita al costruttore Gaetano Caltagirone che, si dice, la ripetesse ogni volta che riceveva una telefonata da Franco Evangelisti, dirigente sportivo ma soprattutto politico della Democrazia Cristiana molto vicino a Giulio Andreotti. Lo dichiarò lo stesso Evangelisti in un’intervista a Repubblica e Caltagirone non la smentì mai.

Il contesto
Nel 1972, Giulio Andreotti – già allora uno degli esponenti più importanti della Democrazia Cristiana – diventò per la prima volta Presidente del Consiglio. Il suo governo durò in carica 9 giorni, poi proseguì fino a giugno quando si tennero le prime elezioni anticipate nella storia della Repubblica. Nel 1976 Andreotti fu nuovamente eletto alla presidente del Consiglio, con il cosiddetto governo della “non sfiducia” e come conseguenza della nascita del compromesso storico tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano per affrontare insieme i problemi la crisi economica e il terrorismo.

Il governo della “non sfiducia” entrò in crisi alla fine del 1977, quando ci furono alcune grandi manifestazioni contro Andreotti, violenze per le strade e attentati terroristici. A metà gennaio del 1978 si aprì la crisi di governo, che durò circa due mesi e si concluse l’11 marzo del 1978 con un altro governo Andreotti, il quarto: cinque giorni dopo, il 16 marzo, le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro e uccisero gli uomini della sua scorta, poche ore prima della presentazione del nuovo esecutivo al Parlamento.

Franco Evangelisti, Gaetano Caltagirone e Italcasse
Durante il susseguirsi di tutte queste legislature, accanto a Giulio Andreotti – suo «amico» (come dichiarò lo stesso Andreotti) e descritto come suo braccio destro – fece carriera anche Franco Evangelisti. Al liceo era in classe con Tonino Tatò, il futuro segretario di Berlinguer: «Sono andato a scuola di compromesso storico», diceva Evangelisti. Non si laureò ma entrò in politica. Dopo essere stato a metà degli anni Sessanta sindaco di Alatri con la Democrazia Cristiana, venne eletto deputato. E tra Camera e Senato rimase in Parlamento dalla IV alla X legislatura. Fu nominato sottosegretario al Turismo e Spettacolo nel secondo governo Rumor, venne riconfermato nell’incarico nel successivo governo e nel governo Colombo. Divenne sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei successivi governi guidati da Giulio Andreotti e dal 1976 con funzione di segretario. Fu anche ministro della Marina Mercantile nel primo governo Cossiga. Fino al 4 marzo 1980, almeno, giorno in cui si dimise. Nel frattempo, già consigliere d’amministrazione dell’Associazione Sportiva Roma, ne era stato nominato presidente.

Un mese prima delle dimissioni di Evangelisti (siamo nel febbraio del 1980) venne emesso un mandato di cattura per bancarotta fraudolenta nei confronti dei costruttori Francesco e Gaetano Caltagirone, coinvolti nel sistema di finanziamento organizzato tra imprenditori e uomini politici legati soprattutto alla Democrazia Cristiana attraverso l’uso di fondi dell’Istituto di credito delle casse di risparmio italiane (Italcasse). L’indagine era partita nel settembre del 1977 e aveva portato alle dimissioni dell’allora direttore dell’Italcasse, il democristiano Giuseppe Arcaini. Vennero arrestati anche i banchieri Edoardo Calleri di Sala e Giordano Dell’Amore.

L’intervista
Il 28 febbraio del 1980, quando era ancora ministro della Marina Mercantile, Franco Evangelisti parlò con Paolo Guzzanti in un’intervista su Repubblica nella quale ammise di aver ricevuto finanziamenti illeciti da Gaetano Caltagirone. Proprio in quell’intervista raccontò di come l’imprenditore lo salutasse all’inizio di ogni telefonata, chiedendogli «A Fra’, che te serve?»:

Ministro Evangelisti, lei ha preso soldi dai Caltagirone?
«Sì, da Gaetano. lo sono amico di Gaetano Caltagirone, gli altri fratelli quasi non li conosco»

Quanti soldi?
«E chi se lo ricorda. Ci conosciamo da vent’anni e ogni volta che ci vedevamo lui mi diceva: “a Fra’, che ti serve?”»

Così? Caltagirone tirava fuori il libretto e scriveva?
«Sì, così. E senza nessuna malizia. Chi ci pensava a questi scandali? Chi pensava di fare qualcosa di male? Non le pare?»

Non mi pare, che cosa?
«No, dico: se uno voleva fare il furbo, mica andava a incassare un assegno. Uno, se sa che sta facendo un’operazione illecita, chiede i soldi in contanti e in valigia e manda a ritirarli da un terzo. Non crede?»

E lei che faceva?
«lo? Niente. Pigliavo la penna e ci mettevo sopra il mio nome a stampatello, perché Gaetano il nome non lo metteva: lo lasciava sempre in bianco.»

E questi soldi a che cosa le servivano?
«Per finanziare la corrente. Per finanziare le mie campagne elettorali, per finanziare il partito»

Anche dopo l’entrata in vigore della legge sul finanziamento pubblico?
«Be’, certo. Che vuol dire? Quella legge, d’altra parte,non è che proprio vieti…»

Caltagirone finanziava soltanto lei?
«No, no. Finanziava tanta gente»

E al partito?
«Certo: e al partito»

Si rende conto della gravità di queste sue ammissioni?
«Io facendo quest’intervista è come se parlassi davanti al Parlamento: non posso dire il falso e non voglio tacere il vero. E nel vero c’è anche questo: che mai c’è stata la minima interferenza, la più piccola sovrapposizione fra l’affare dell’Italcasse e noi. Per “noi” intendo la corrente andreottiana»

Scusi, lei da dove pensava che venissero tutti i milioni che Gaetano Caltagirone tanto generosamente le metteva a disposizione?
«E che dovevo sapere io? lo pensavo che fossero soldi suoi, roba sua propria. Io non sapevo niente di tutte quelle società di Gaetano e neppure sapevo che l’Italcasse avesse erogato 205 miliardi a un solo uomo. Ma andiamo! Che cosa ci stavano a fare gli organismi di vigilanza?»

Che cosa le chiedeva Caltagirone in cambio dei suoi versamenti?
«Gaetano? Niente. Lui era, anzi è, un amico. Un amico della DC e non soltanto amico mio. Anzi, è amico di tanta altra gente che non è neppure democristiana. In fondo, a parte la provenienza dei soldi, di cui io non so niente, dove sta lo scandalo?»

Già: secondo lei dove sta lo scandalo?
«Posso dire? Guardi, me lo metta fra virgolette: io ero strasicuro che la questione sarebbe esplosa durante il congresso e che sarebbe stata strumentalizzata. È chiaro che qualcuno ha tirato fuori le carte e le ha fatte avere ai giornali. Ed è chiaro che è stato violato il segreto istruttorio e anche altri segreti. lo però vorrei sapere una cosa»

Dica.
«lo vorrei sapere perché, quando non ci sono di mezzo degli amici di Andreotti, non si va mai a fondo. Vorrei che finalmente si conoscessero i nomi dei 500 esportatori di capitali all’estero. Sugli altri non si rivela mai niente. E qui con la storia Caltagirone l’unico nome che esce fuori è il mio. Evidentemente gli altri o sono protetti, oppure sono nomi che non fanno cronaca»

Dopo l’intervista Franco Evangelisti si dimise. Negli anni Novanta tra Evangelisti e Andreotti vi fu una rottura che venne raccontata dai giornali del tempo come un tradimento. L’occasione furono le indagini sull’omicidio di Mino Pecorelli (20 marzo 1979) che dirigeva il settimanale OP (Osservatorio Politico) e in cui parlava di massoneria, di segreti vaticani, di banche e molto spesso di Giulio Andreotti. Evangelisti parlò ai giudici dei suoi legami con Cosa Nostra e anche di quelli di Giulio Andreotti. Andreotti ha invece sempre negato sia i legami con Cosa Nostra sia che ci fosse stato da parte di Evangelisti un tradimento. Nel 1993 Evangelisti venne ricoverato per un’emorragia cerebrale. A quel tempo su Repubblica Concita De Gregorio scrisse:

«Giovedì scorso però, appena si è saputo del ricovero, Andreotti ha varcato il portone della Quisisana, la clinica romana di Ciarrapico dove Evangelisti è entrato già in coma. E’ arrivato solo, è salito al terzo piano, dopo pochi minuti se ne è andato in silenzio. Per una settimana ha mandato il suo autista a chiedere notizie. Ieri è tornato un attimo, prima che arrivassero i parenti e i giornalisti. “E’ rimasto pochissimo, il tempo di entrare e scappare”, racconta un’infermiera. Uno dopo l’altro spariscono gli uomini dell’andreottismo, resta solo Andreotti».

Giulio Andreotti è morto il 6 maggio del 2013. Tre anni prima, era morto anche Gaetano Caltagirone, che nel 1988 era stato assolto con formula piena da ogni accusa.