Cecilia Strada sul medico italiano di Emergency malato di ebola e le critiche online

La presidente della ONG ha risposto su Facebook ai commenti ricevuti dopo il contagio di un medico italiano ora ricoverato a Roma

Foto Daniele Leone / LaPresse
25/11/2014 Roma, Italia
Cronaca
Emergenza ebola, l'arrivo a Roma del medico italiano con diagnosi di malattia da virus ebola. Conferenza stampa, fornite le prime informazioni mediche presso la sala stampa Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. Partecipano, Cecilia Strada, Nicola Petrosillo, Giuseppe Ippolito, Emanuele Nicastri.
Foto Daniele Leone / LaPresse 25/11/2014 Roma, Italia Cronaca Emergenza ebola, l'arrivo a Roma del medico italiano con diagnosi di malattia da virus ebola. Conferenza stampa, fornite le prime informazioni mediche presso la sala stampa Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. Partecipano, Cecilia Strada, Nicola Petrosillo, Giuseppe Ippolito, Emanuele Nicastri.

Un medico italiano di Emergency è risultato positivo a ebola: si trovava a Lakka, in Sierra Leone, ed era al lavoro presso il Centro per malati gestito dall’organizzazione non governativa. È stato portato in Italia e ora è ricoverato all’ospedale Spallanzani di Roma. Dopo la diffusione della notizia ci sono stati diversi commenti contro il medico e l’organizzazione, soprattutto sui social network: «assumetevi i rischi», «non ve lo ha chiesto nessuno», «non rompete le palle», «speriamo che muoia», «create problemi portando qui proprio quel virus che combattete». Cecilia Strada, attuale presidente di Emergency, figlia di Gino Strada e Teresa Sarti, ha risposto su Facebook:

«Certo che è triste avere un collega in ospedale e sentire in giro commenti tipo “se stavate a casa vostra non succedeva niente”. Fregatene e vivi felice, insomma.

È vero: se stavamo a casa, non succedeva niente. Niente: non ci si sfiniva a lavorare in una tuta di protezione dentro la zona rossa. Non si curava nessuno. Non ci si sbatteva come matti per cercare di contenere la più grave epidemia di ebola della storia. Non ci si dava da fare per evitare che il virus passi di paese in paese, vicini o lontani. E sicuramente nessuno rischiava il contagio.

Se stavamo a casa nostra, potevamo stare sereni, tranquilli in poltrona davanti alla televisione, magari commentando con grande sicurezza quel che di brutto succede nel mondo. Che succede anche perché troppe persone se ne fregano e “stanno a casa loro”. Ma noi non siamo fatti così».

Lo scorso 18 settembre Emergency ha allestito una struttura di isolamento e cura per i malati di ebola a Lakka a pochi chilometri dalla capitale della Sierra Leone Freetown dove lavorano circa 110 persone tra medici, infermieri, ausiliari, personale delle pulizie. Gli operatori internazionali vengono da Italia, Serbia, Spagna e Uganda.