La metamorfosi di Barilla

Dopo l'uscita omofoba dell'anno scorso ha cambiato stile, abitudini e politiche aziendali: ora è una delle società più moderne e accoglienti per i dipendenti gay

di Sandhya Somashekhar - Washington Post

The head of the Italian food group Barilla, Guido Barilla, poses during a press conference at the foreign press club on December 11, 2012 in Rome. AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
The head of the Italian food group Barilla, Guido Barilla, poses during a press conference at the foreign press club on December 11, 2012 in Rome. AFP PHOTO / GABRIEL BOUYS (Photo credit should read GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)

Non molto tempo fa, l’azienda italiana Barilla era semplicemente l’ennesima grande società entrata in conflitto con i movimenti per i diritti LGBT: un guaio che si era procurata l’anno scorso, quando il suo capo aveva detto che non avrebbe mai mostrato una coppia gay all’interno di una pubblicità del marchio Barilla. Se questo non fosse piaciuto ai gay, aveva aggiunto, che mangiassero qualcos’altro.

Ma a dimostrazione di come questa uscita si sia rivelata dannosa, nell’ultimo anno la Barilla ha cambiato completamente posizione, estendendo tutele sanitarie ai propri lavoratori transgender e alle loro famiglie, donando soldi a cause pro gay e mostrando una coppia di lesbiche in un sito Internet promozionale.

Barilla è passata dal sembrare insensibile ai diritti LGBT a diventare un modello esemplare: recentemente ha ricevuto un punteggio pieno da un associazione LGBT che dà un voto a ciascuna società in base alla loro attitudine positiva verso i gay e ha aderito a Parks, un’associazione composta esclusivamente da datori di lavoro che vogliono “realizzare al massimo le opportunità di business legate allo sviluppo di strategie rispettose della diversità”. Quella di Barilla è un’inversione di marcia che mostra come le grandi società – che tipicamente cercano di evitare controversie di questo tipo – siano sempre più costrette a prendere una posizione nella battaglia culturale in merito  ai diritti dei gay e al matrimonio fra persone dello stesso sesso; e quanto lo schieramento filo-LGBT sia oggi in vantaggio.

Spiega Mary-Hunter McDonnell, professoressa di strategia commerciale alla Georgetown University, che il problema per queste società non è il profitto a breve termine: le campagne di boicottaggio raramente condizionano le entrate in maniera diretta. Piuttosto però «minacciano l’immagine pubblica di una certa società e la sua reputazione»: se un certo brand viene “marchiato”, può essere seriamente danneggiato. Bob Witeck, consulente di crisi societarie specializzato sui problemi legati ai gay, ha detto che in passato le società dovevano stare attente a non infastidire le associazioni che si opponevano agli omosessuali. Vent’anni fa WIteck aiutò American Airlines a superare le critiche che gli erano arrivate per aver deciso di fare campagne pubblicitarie rivolte ai gay. Il suo consiglio, all’epoca, fu spiegare a chi si era opposto che aveva semplicemente fatto una scelta conveniente dal proprio punto di vista economico.

Più di recente l’opinione generale è cambiata a tal punto che oggi è una cosa positiva, per una società, essere considerata favorevole alla causa LGBT: particolarmente dai clienti giovani, che secondo Witeck potrebbero aver interpretato la posizione passata di Barilla come “stupida e arretrata”. Starbucks, Nike e Microsoft, per esempio, nel 2012 hanno supportato la campagna per legalizzare il matrimonio gay nello stato di Washington.

Nel caso di Barilla – una società di 130 anni con sede a Parma, che attualmente è il più grande produttore mondiale di pasta – ci fu una grande polemica quando nel settembre 2013 Guido Barilla disse a una radio italiana: «Non farei uno spot con una famiglia omosessuale, ma non per mancanza di rispetto verso gli omosessuali che hanno il diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri, ma perché non la penso come loro e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica». Aggiunse: «Se ai gay piace la nostra pasta e la comunicazione che facciamo mangeranno la nostra pasta, se non piace faranno a meno di mangiarla e ne mangeranno un’altra».

Le dichiarazioni di Barilla circolarono in tutto il mondo e provocarono boicottaggi anche negli Stati Uniti, dove la società controlla il 30 per cento del mercato di pasta (e dove ha venduto prodotti per 430 milioni di dollari nel 2013). L’Università di Harvard aveva rimosso Barilla dalla propria mensa, le associazioni LGBT avevano invitato a consumare pasta prodotta da altri marchi e gli avversari di Barilla colsero l’occasione per mostrarsi più progressisti (la divisione tedesca della pasta Bertolli pubblicò su Facebook un’immagine con una didascalia che promuoveva “pasta e amore per tutti!”).

Guido Barilla si è scusato diverse volte in video a seguito dello scandalo. In un comunicato si è scusato nuovamente, aggiungendo: «sono fiero di dire che alla fine di queste discussioni abbiamo tutti imparato molto riguardo la definizione e il significato di “famiglia”, e negli scorsi anni abbiamo lavorato duro per far sì che quel pensiero fosse riflesso a tutti i livelli della nostra società».

Alcuni degli attivisti gay che hanno lavorato con Guido Barilla in seguito alle sue dichiarazioni hanno detto che il suo pentimento è sincero. David Mixner, un rispettato attivista LGBT e scrittore che ha lavorato come consulente di Barilla, ha detto che Guido Barilla «era sconvolto dalle conseguenze e dalle sue convinzioni personali». Mixner ha definito che le recenti iniziative di Barilla sono «lo sforzo più completo per rimediare a una gaffe al quale io abbia mai preso parte».

Seth Adam, un portavoce di GLAAD, un gruppo per i diritti LGBT che ha incontrato Barilla, ha detto che è importante riconoscere quando una persona ha attraversato «un’evoluzione» a favore dei diritti dei gay. Ha aggiunto Adam: «non sto concedendo a chiunque la facoltà di fare affermazioni discriminatorie. Penso che sia positivo impararne delle cose, e credo che possiamo vederne gli effetti sia sui politici sia sulle persone di tutti i giorni».

Il Corporate Equality Index, compilato annualmente da Human Rights Campaign (la più grande associazione pro LGBT degli Stati Uniti), è basato sulle politiche interne e l’immagine di ciascuna azienda. Barilla quest’anno ha ottenuto un punteggio di 100/100: notevole, dato che delle 781 società che hanno chiesto di essere valutate meno di metà hanno ottenuto un punteggio pieno. L’anno scorso Barilla non chiese neppure di essere valutata.

Deena Fidas, direttrice delle politiche sul posto di lavoro per HRC, ha detto che «è piuttosto inusuale, per un’azienda, passare da un estremo all’altro nel giro di un anno. Alcune persone potranno speculare sulle motivazioni di Barilla: alla fine, però, è un fatto che la società abbia adottato pratiche inclusive nei confronti degli omosessuali che solo un anno fa erano inesistenti».

Talita Erickson, capo della divisione aziendale che si occupa della “diversità”, ha detto che la società ha dimostrato la sua sincerità attraverso i fatti. Ha spiegato che la sua copertura sanitaria include ora la cure per il trattamento necessario ai transgender. Ha istituito un corso per il rispetto della diversità che tutti i suoi ottomila dipendenti frequenteranno. Ha esteso le sue politiche anti discriminatorie per coprire le persone omosessuali e transgender. La società ha anche versato soldi alla Tyler Clementi Foundation, un’associazione contro il bullismo fondata dai genitori di uno studente gay della Rutgers University, morto suicida; e ha mostrato una una coppia lesbica su proprio un sito che promuove l’abitudine delle famiglie di mangiare assieme.

Ma quindi una coppia omosessuale comparirà mai in una pubblicità televisiva? Non subito, ha detto Erickson, spiegando che la società non vuole apparire frettolosa in seguito alle critiche: «per quello che ne so siamo assolutamente disponibili a mostrare membri della comunità LGBT nelle nostre pubblicità, in futuro. Accadrà gradualmente».

nella foto: Guido Barilla (GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images)
©Washington Post 2014