La lettera con cui l’FBI invitò Martin Luther King a suicidarsi

Una storica di Yale ha trovato una sua versione non censurata con dettagli sulla vita sessuale del reverendo fuori dal matrimonio, alcune minacce e un avvertimento finale

1963: American civil rights campaigner Martin Luther King Jr (1929 - 1968) at a press reception at the Ritz Hotel, London, England. (Photo by William H. Alden/Evening Standard/Getty Images)
1963: American civil rights campaigner Martin Luther King Jr (1929 - 1968) at a press reception at the Ritz Hotel, London, England. (Photo by William H. Alden/Evening Standard/Getty Images)

Nel 1964 il leader del movimento per i diritti civili Martin Luther King ricevette una lettera anonima. Conteneva dettagli sulla sua vita sessuale extraconiugale, minacce di rendere pubbliche quelle informazioni per screditarlo e un avvertimento finale: «C’è solo una cosa da fare. Tu sai quale». La lettera è generalmente conosciuta come “lettera del suicidio” e, come più tardi venne confermato, fu scritta dagli agenti dell’FBI per intimidire il reverendo e spingerlo, con ogni mezzo, ad abbandonare la sua lotta. Solo di recente, una professoressa di storia a Yale, Beverly Gage, ha ritrovato una versione completa e non censurata della lettera facendo nuovamente parlare di quella vicenda, che è una parte piuttosto importante della storia. E l’ha raccontata in un articolo sul New York Times.

Quegli anni
Nel 1964 Martin Luther King (che si era sposato con Coretta Scott e che da lei ebbe negli anni quattro figli, due maschi e due femmine) era un personaggio popolarissimo. Da Montgomery, in Alabama, aveva organizzato il boicottaggio dei sistemi di trasporto pubblici della città, ispirandosi a quanto aveva fatto Rosa Parks e aveva ottenuto da parte della Corte Suprema un’importante vittoria (nel 1956 la Corte stabilì infatti che le leggi sulla segregazione sui mezzi di trasporto erano anticostituzionali). Già nel 1963 Martin Luther King aveva guidato una protesta a Birmingham, in Alabama, era stato arrestato e dal carcere aveva scritto il testo “Letter from a Birmingham Jail” diventato ben presto il manifesto del movimento per i diritti civili. Poi c’erano state la marcia su Washington, il famoso discorso contenente il passaggio “I have a dream”, il suo incontro con il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy. Infine, sempre nel 1963, la rivista Time lo aveva scelto come personaggio dell’anno e nel 1964 era stato annunciato che a lui sarebbe stato assegnato il Premio Nobel per la Pace. Martin Luther King aveva appena 35 anni ed era il più giovane premio Nobel nella storia dell’importante riconoscimento.

L’FBI e J. Edgar Hoover
Parallelamente a questa storia, ce n’è però un’altra. Quella di chi stava in quegli stessi anni tentando di mettere in piedi una sistematica operazione per screditare Martin Luther King e mettere in crisi il movimento per i diritti civili. Il protagonista fu il direttore dell’FBI J. Edgar Hoover. Le indagini dell’FBI su King non erano iniziate come indagini sulla sua vita privata, ma per motivi di “sicurezza nazionale”.

Nel 1961, l’avvocato ebreo Stanley Levison, considerato un comunista, era diventato consigliere e sostenitore di Martin Luther King. L’anno seguente fu approvata una procedura per intercettare telefonicamente la casa e l’ufficio di Levison. Allo stesso Martin Luther King, dal governo degli Stati Uniti, fu consigliato di abbandonare Levison, cosa che lui non fece, e anzi dalle telefonate intercettate risultò che il reverendo fosse molto critico verso l’FBI, accusando direttamente Hoover di non riuscire a far rispettare la legge sui diritti civili e di essere indulgente sulle pratiche razziste della polizia nel sud. Questa combinazione di eventi, spiega Beverly Gage sul New York Times, creò il presupposto per i “cattivi” rapporti tra Hoover e Martin Luther King.

Nell’autunno del 1963, subito dopo la marcia a Washington, l’FBI estese il suo controllo da Levison ad altre persone collegate a lui e a Martin Luther King, mettendo sotto controllo la stessa abitazione del reverendo, i suoi uffici e anche le sue camere d’albergo. Hoover e i suoi funzionari scoprirono molto poco riguardo qualche presunto complotto comunista, ma iniziarono ad avere molte notizie dettagliate sulla vita sessuale extraconiugale di Martin Luther King. E sembrò loro qualcosa di molto grosso. Scrive il New York Times: «C’era un reverendo, leader di un movimento morale, che agiva come “un gatto con ossessive e degenerate pulsioni sessuali”». Questo scrisse Hoover in una nota. I funzionari dell’FBI cominciarono dunque a mettere in giro una serie di informazioni private su Martin Luther King comunicandole a giornalisti a loro vicini nella speranza che la storia diventasse pubblica e si gonfiasse. Questo però non avvenne («per fortuna, nel 1964, i media erano molto più cauti» commenta Beverly Gage) mentre il successo e la popolarità di King erano in continua espansione.

La lettera
A quel punto, visto che fino ad allora i suoi tentativi si erano rivelati un fallimento, Hoover decise di intensificare la sua campagna. Il 18 novembre di cinquant’anni fa, nel 1964, il direttore dell’FBI denunciò pubblicamente Martin Luther King in una conferenza stampa a Washington, definendolo «il bugiardo più famoso del paese». Pochi giorni dopo uno dei suoi funzionari scrisse una lettera anonima che fu spedita da Miami a Atlanta.

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La lettera è composta da un singolo foglio ormai ingiallito, è dattiloscritta e piena di errori di battitura e di ortografia. Il tono è quello di un ammiratore deluso e sconvolto dalla scoperta di «orribili anomalie» in una persona che fino ad allora aveva considerato come «un uomo di carattere». La parola “evil” (malvagio) compare sei volte nel testo che inizia proprio con un’accusa: «Lei è una truffa colossale, un malvagio, un vero e proprio vizioso». Nei paragrafi che seguono, sono prese di mira le presunte amanti di Martin Luther King, si parla di «sporcizia», «adulteri», «orge», «condotte immorali». L’effetto, scrive il New York Times, «è allo stesso tempo grottesco e ipnotico», una specie di racconto ossessivo che oscilla dalla collera per le condotte sessuali del destinatario alla rabbia per il tradimento personale subito dal mittente.

L’autore anonimo dimostra una profonda conoscenza della vita sessuale del reverendo, cita una conversazione telefonica, individua una possibile amante per nome e afferma di avere elementi concreti da rendere pubblici. La lettera si conclude con una scadenza di 34 giorni prima di rivelare la verità a tutti. E infine, l’avvertimento finale: «C’è solo una cosa da fare. Tu sai quale». L’ultimatum, scrive Beverly Gage, faceva molto probabilmente riferimento alla cerimonia del Nobel, prevista per metà dicembre, ma la lettera venne letta da Martin Luther King solo al suo ritorno da Oslo.

Quando Martin Luther King ricevette questa lettera, nonostante la prosa e il dilettantismo, sospettò immediatamente dell’FBI e del suo direttore J. Edgar Hoover. Nel 1976, il Church Committee del Senato (incaricato a quel tempo di indagare le operazioni governative in materia di intelligence ) confermò quei sospetti. Da allora, conclude il New York Times, la cosiddetta “lettera sul suicidio” «ha occupato un posto unico nella storia dell’intelligence americana»: fu e forse resta l’esempio più conosciuto e imbarazzante dell’FBI diretto da Hoover.