Che succede a MPS, in otto punti

La complicata storia di una delle banche più antiche del mondo, che è di nuovo sui giornali italiani per la condanna degli ex amministratori e il crollo in borsa

Negli ultimi giorni si è tornato molto a parlare di Monte dei Paschi di Siena (MPS), una delle banche più antiche del mondo con una storia particolarmente travagliata. Venerdì tre ex dirigenti di MPS sono stati condannati in primo grado per ostacolo alle autorità di vigilanza a tre anni e mezzo di carcere in uno dei processi nati dal crollo della banca nel 2011. Si tratta dell’ex presidente, Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale, Antonio Vigni, e l’ex capo area finanza, Gianluca Baldassarri. Di recente si è anche parlato molto di MPS per i suoi ripetuti crolli in borsa, causati dal fallimento degli stress test della BCE. Le due vicende sono collegate in una delle storie più significative del capitalismo italiano degli ultimi anni. Ecco otto punti facili per capire che cosa è successo.

1. Che cos’è Monte dei Paschi di Siena?
Si tratta di una delle banche più antiche del mondo (alcuni dicono la più antica), fondata nel 1472 come una specie di banco dei pegni. Per molti anni, all’incirca fino alla crisi del 2011, MPS è stata la terza o quarta banca più grande del paese, anche se a una certa distanza dalle prime due, Unicredit e Banca Intesa San Paolo.

2. Perché si dice che era la banca del Partito Democratico?
MPS aveva un sistema di governance particolare, condiviso da diverse altre banche in Italia anche se nessuna delle dimensioni di MPS. In sostanza, la quota di maggioranza delle azioni era posseduta dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena. Le fondazioni bancarie, come la Fondazione MPS, sono enti strani a metà tra il pubblico e il privato. Vennero create negli anni Novanta quando il sistema bancario italiano (che era stato statalizzato nel 1936) fu privatizzato. In sostanza, le banche furono divise in due entità: da un lato la banca vera e propria e dall’altro la fondazione, che possedeva quote azionarie della banca originaria e aveva come obiettivo statutario quello di investire gli utili della banca sul territorio.

Nell’idea originaria della riforma, le fondazioni bancarie avrebbero dovuto lentamente liberarsi delle quote di controllo delle banche originarie e diversificare i loro investimenti. Non tutte le fondazioni seguirono questo percorso e molte cercarono in tutti i modi di mantenere il controllo azionario sulle banche originarie. Questa operazione riuscì particolarmente bene alla fondazione MPS, che fino a pochi anni fa mantenne il controllo di circa il 51 per cento delle azioni della banca. Il sistema di comando nelle fondazioni è molto complesso e varia da fondazione a fondazione, anche se in pratica il controllo è esercitato dai politici locali. Nel caso della Fondazione MPS, la maggioranza dei consiglieri viene nominata dai politici locali di Siena e provincia e della regione Toscana. Visto che si tratta di territori dove storicamente ha sempre governato il centrosinistra, la fondazione MPS, e quindi la banca, sono sempre state controllate da politici di centrosinistra.

3. Perché la banca è entrata in crisi?
Secondo molti economisti, giornalisti e analisti questo sistema di governance nel tempo ha considerevolmente danneggiato la banca. Gli interessi della fondazione, ottenere utili dalla banca per distribuire denaro sul territorio in base a logiche politiche, hanno spesso prevalso sul buon funzionamento della stessa. Una di queste operazioni, dannose per la banca ma utili per la fondazione, è alla base del processo che venerdì 31 ottobre ha portato alla condanna degli ex amministratori di MPS: nel 2009 gli amministratori della banca MPS avrebbero sottoscritto con la banca giapponese Nomura un titolo derivato (un complicato strumento finanziario) che aveva lo scopo di nascondere il fatto che durante l’anno in corso MPS era in perdita e che quindi non poteva distribuire utili agli azionisti (cioè alla fondazione).

Semplificando molto: grazie al titolo derivato, la banca MPS avrebbe mascherato le perdite e quindi distribuito utili alla fondazione nel 2009, accollandosi però una serie di spese e pagamenti in più negli anni successivi. Per fare sì che l’operazione potesse funzionare, i manager di MPS avrebbero nascosto questo contratto agli ispettori di Banca d’Italia e per questo sono stati condannati per ostacolo alla vigilanza. Il documento è stato ritrovato soltanto nel 2012 dai nuovi amministratori della banca. Così sono cominciate le indagini.

4. Ma la faccenda di Banca Antonveneta e il buco da 14 miliardi?
I derivati (ce ne sono anche altri, finiti in altri processi) hanno causato ai bilanci della banca perdite per diverse centinaia di milioni di euro. La causa della crisi della banca – iniziata tra il 2010 e il 2011 – non è però imputabile solo a questa operazione, ma anche agli anni di cattiva gestione. Un’altra operazione spericolata, per esempio, fu l’acquisto nel 2007 della Banca Antonveneta: dell’episodio si parlò molto nel gennaio del 2013, quando i quotidiani italiani ripresero le parole di Beppe Grillo secondo cui l’operazione aveva causato alla banca MPS un buco da circa 14 miliardi di euro. In realtà non c’era alcun buco miliardario, ma la manovra fu davvero molto dannosa per la banca.

Nel 2007 MPS, allora presieduta da Giuseppe Mussari (l’ex presidente condannato venerdì), annunciò la conclusione di un accordo con la banca spagnola Santander per acquistare il 55 per cento di Banca Antoveneta (BAV) al prezzo di circa 10 miliardi di euro. L’operazione venne portata a termine nel maggio successivo e fu un piccolo caso di cui analisti e giornalisti economici parlarono molto. BAV, infatti, subito prima di essere stata comprata da MPS era passata per le mani di un altro gruppo finanziario, la banca spagnola Santander, che però aveva pagato BAV soltanto 6,6 miliardi di euro. In altre parole, in pochi mesi MPS aveva pagato per la stessa banca un prezzo quasi un terzo superiore a quello che era stato pagato solo pochi mesi prima.

L’operazione fu spiegata in parte con la fretta dei manager di MPS di ingrandire la banca in un periodo che sembrava di grande crescita del settore finanziario (negli anni precedenti, quelli in cui Unicredit e Banca Intesa San Paolo avevano fatto grandi acquisti ed erano cresciute molto, MPS era rimasta sostanzialmente ferma); in parte con l’impreparazione e la scarsa capacità manageriale degli amministratori, secondo molti analisti scelti sulla base di logiche politiche più che in base alla loro competenza. Secondo Grillo, il denaro sborsato per l’acquisto di BAV rappresentava il famoso “buco” da 14 miliardi. In realtà non era un “buco”, ma soltanto un’operazione spericolata che contribuì a mettere la banca in una pessima situazione quando nell’autunno del 2008 cominciò la crisi finanziaria.

5. Ma non c’era anche una storia di tangenti?
Nelle prime settimane dell’inchiesta si sentiva spesso parlare di “tangenti” e addirittura della “tangente del secolo”. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, parte del sovrapprezzo pagato da MPS nell’operazione Banca Antonveneta – circa due miliardi di euro – sarebbe stata in realtà una gigantesca tangente spartita tra i manager di MPS e quelli di Santander. Un’altra ricostruzione giornalistica di quei giorni parlava della cosiddetta “banda del cinque per cento”, cioè un gruppo interno di dirigenti della banca che si erano accordati per rubare il cinque per cento da numerose operazioni finanziarie. I magistrati hanno smentito tutte queste ricostruzioni, dicendo che nessuno ha mai ipotizzato una mega-tangente e che non esisteva alcuna “banda del cinque per cento”.

6. E com’è finito il regalo che il governo Monti ha fatto alla banca?
Nei primi mesi del 2013 MPS fece ricorso a uno strumento finanziario creato poco prima dal governo di Mario Monti, i cosiddetti “Nuovi Strumenti Finanziari” o “Monti Bond”: è quello che all’epoca fu chiamato “il regalo del governo a MPS”. Non si trattava di un regalo in realtà, ma di un prestito di circa quattro miliardi di euro (con un interesse piuttosto elevato, circa il 9 per cento) sottoscritto per mettere in sicurezza i conti della banca ed evitare il suo fallimento. Nel luglio 2014, MPS ha ripagato 3,5 miliardi di Monti Bond allo stato (l’ultimo bond dovrebbe essere ripagato tra il 2015 e il 2016).

7. Ma chi possiede ora la banca?
Dopo la crisi del 2011 la vecchia dirigenza della banca, quella finita sotto processo, fu costretta a dimettersi. Nel 2012 divenne presidente della banca l’ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo e venne nominato amministratore delegato Fabrizio Viola. I nuovi manager hanno compiuto un processo di ristrutturazione della banca piuttosto rilevante. La quota di azioni posseduta dalla Fondazione Monte dei Paschi è considerevolmente diminuita negli ultimi due anni (“diluita”, come si dice in gergo). Dopo due aumenti di capitali, oggi la fondazione possiede soltanto il 2,5 per cento delle azioni della banca che non ha più un singolo grande azionista di riferimento.

8. Cosa succede con gli stress test?
Negli ultimi giorni MPS ha subito diversi crolli in borsa. Venerdì, per esempio, ha perso il sette per cento durante il quinto giorno consecutivo di ribassi. La causa principale di questa situazione è il fatto che MPS ha fallito gli “stress test” della BCE: si tratta di esami accurati a cui la BCE ha sottoposto i bilanci di un centinaio di banche europee, e il cui scopo è quello di verificare se gli istituti finanziari sono in possesso delle risorse necessarie a fare fronte a una nuova crisi finanziaria. A MPS, secondo la BCE, mancherebbero 2,1 miliardi di euro per raggiungere la quota di capitale necessaria a superare gli stress test. Entro il 10 novembre MPS dovrà presentare un piano per cercare di ottenere questi 2,1 miliardi. Se non riuscirà a portarlo a termine entro nove mesi, la banca rischia di essere chiusa. Per il momento gli amministratori di MPS hanno spiegato che ogni opzione per recuperare la cifra necessaria è aperta: da un rinvio del rimborso dei Monti Bond alla fusione con un altro istituto.