I trent’anni di Kenshiro

Cesare Alemanni racconta su Studio la nascita e il successo di uno dei cartoni animati giapponesi più famosi in Italia, un "papocchio postmoderno" a cui molti sono affezionati

Nell’ottobre del 1984, circa trent’anni fa, venne trasmesso per la prima volta in Giappone il cartone animato Ken il Guerriero – tecnicamente un anime, in giapponese – pubblicato l’anno precedente come albo a fumetti (manga): raccontava la storia di un futuro post-atomico in cui un guerriero esperto di arti marziali affrontava nemici sempre più forti. Tre anni dopo, nel 1987, Ken il Guerriero fu trasmesso in televisione per la prima volta in Italia, ottenendo un successo pazzesco: fatevelo spiegare da chi oggi ha 30-40 anni. Negli anni Ken il Guerriero è stato replicato più volte da vari canali televisivi.

Cesare Alemanni racconta su Studio come è nato e i motivi del suo successo: per esempio il fatto che le sue numerose scene violente – sangue, corpi che esplodono – lo rendessero originariamente destinato a un pubblico di adolescenti, mentre in Italia veniva trasmesso in fasce orarie destinate ai bambini; oppure il suo mischiare elementi provenienti dalla cultura orientale a riferimenti pop e occidentali dell’epoca (alcuni nemici di Ken hanno l’aspetto di attori come Arnold Schwarzenegger e Mickey Rourke: lui stesso assomiglia vagamente a Sylvester Stallone). Spiega Alemanni, però, che questo tipo di approccio un po’ ingenuo riuscì comunque a fargli provare «i primi brividi da emozione narrativa e la sensazione di stare guardando qualcosa che trascendeva lo spazio che occupava». La serie animata di Ken il Guerriero si è conclusa nel 1988 dopo due stagioni e 152 episodi.

L’esperienza infantile dei maschi italiani nati negli anni ’80 può essere ripartita in tre grandi insiemi: i bambini a cui era permesso guardare Ken Il Guerriero, quelli a cui era vietato dai genitori e quelli che trovavano comunque un modo per. Per quanto mi riguarda, li ho frequentati tutti e tre. Mia madre era infatti contraria all’idea di lasciarmi venti minuti davanti al menù a base di calotte craniche esplose, membra roteanti e corpi affettati spadellato quotidianamente dal cartone ma, dato che coglievo ogni occasione per eludere il veto – a casa di un amico con una famiglia un po’ distratta o di una nonna molto ipovedente – dopo un paio d’anni dovette cedere alla mia ostinazione da carbonaro.

Per chi è nato troppo lontano dal decennio in questione, Ken Il Guerriero (in giapponese Hokuto No Ken, ovvero Pugno della Stella del Nord) è un anime trasmesso per la prima volta in Giappone nell’ottobre 1984. Trent’anni fa. Ventisette per l’Italia, dove esordì nel 1987 perpetuandosi da lì in poi per un numero incalcolabile di repliche.

Come spiegava (e probabilmente spiega tutt’oggi su qualche oscura emittente locale) una voce narrante all’inizio di ogni episodio, Ken Il Guerriero è ambientato «alla fine del ventesimo secolo» in un mondo «sconvolto dalle esplosioni atomiche» e racconta le vicende di Kenshiro, un tipo estremamente muscoloso, nonché l’ultimo maestro di una potente arte marziale chiamata Hokuto, che vagabonda per questo medioevo post-apocalittico raddrizzando torti mentre cerca l’amata rapita da un rivale. Con questi presupposti Hokuto No Ken è quello che nella classificazione giapponese si direbbe uno shōnen: una tipologia di manga/anime che segue un canovaccio per cui l’eroe deve superare una serie di prove intermedie, propedeutiche allo scontro con la supernemesi finale.

Uno shōnen è destinato di solito a un pubblico di adolescenti. Tuttavia la proliferazione di reti private nei nostri anni ’80 e i costi modici dei diritti sui cartoni nipponici avevano determinato una diffusione degli anime in Italia molto più capillare che altrove; una messe in cui non si stava troppo a separare il grano dal loglio. Ed è così che, facendo zapping tra Scooby Doo e programmi per l’infanzia registrati in studi male illuminati, al bambino italiano in età pre-scolare o poco più poteva capitare di incontrare questo mondo ipertrofico, in cui il personaggio più positivo di tutti era comunque uno che, nella vita, faceva esplodere i nemici dall’interno “con la sola imposizione delle mani”. Un’abilità che, come si può immaginare, in nove pargoli su dieci ha l’effetto di un’iniezione di glucosio.

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