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  • Venerdì 24 ottobre 2014

Il punto su ebola nel mondo

Se ne parla moltissimo ma tante cose non sempre sono chiare: quanti sono i contagiati in Africa e fuori? Il numero dei paesi coinvolti aumenta o diminuisce? Gli ultimi dati

Le notizie intorno a ebola occupano da tempo le prime pagine dei giornali e dei media di tutto il mondo: si scrive e si legge di numeri, nuovi casi, guarigioni, classifiche, previsioni, cure e scenari presenti e futuri, e a volte si perde di vista un po’ il quadro generale. Quanti sono i contagiati? Il numero di paesi coinvolti nell’epidemia aumenta o diminuisce? Sta cambiando qualcosa? Facciamo un po’ d’ordine, per avere un’idea di come è la situazione nel mondo.

I numeri
Gli ultimi dati sull’attuale epidemia da virus ebola sono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli aggiornamenti risalgono al 25 ottobre.

4.922 – è il numero dei morti finora accertati a causa del contagio (la stima è comunque approssimativa, perché nelle aree rurali e nei piccoli villaggi dei paesi africani dove c’è l’epidemia è praticamente impossibile tenere traccia di tutti i casi di contagio).

10.141 – è il numero dei casi di contagio.

Altri numeri interessanti sono quelli che riguardano i soggetti – nazioni, organizzazioni internazionali e umanitarie – che hanno donato più soldi per combattere l’epidemia di ebola in Africa. Gli Stati Uniti sono il paese che ha messo a disposizione le maggiori risorse, seguiti dalla Banca Mondiale e dal Regno Unito. Cuba non compare in questa classifica ma è il paese che ha mandato il maggior numeri di medici e operatori sanitari nei paesi coinvolti dall’epidemia in Africa.

Dove
Sono nove i paesi in cui si sono registrati dei casi di ebola, ma sono attualmente sette quelli che sono ancora coinvolti, in maggiore o minore misura. Cinque di questi sono Guinea, Liberia, Sierra Leone, Spagna, Stati Uniti. A questi si devono aggiungere il Congo (dove le morti sono 49 ma dove l’epidemia è «estranea» a quella degli altri paesi africani: si tratta insomma di un’epidemia diversa, «un evento distinto e indipendente» dice l’OMS) e il Mali (dove ieri il ministro della Salute ha detto che le autorità sanitarie hanno confermato il primo caso di ebola del paese: si tratta di una bambina di due anni, il padre è morto per ebola, non ci sono molte altre informazioni a riguardo).

Tra questi paesi va fatta una distinzione: alcuni sono considerati il focolaio della malattia, i posti dove si è registrata la stragrande maggioranza dei casi di contagio e delle morti. Sono Liberia, Sierra Leone e Guinea. In questi paesi il numero di casi sta aumentando: in Sierra Leone oggi muoiono per ebola più di 20 persone al giorno; il presidente della Guinea ha deciso di richiamare in servizio i medici andati in pensione; in Liberia intere zone del paese sono state messe in quarantena e ora sembra ci sia un problema con le scorte di cibo. La Liberia è peraltro il paese dove si ritiene ci siano più casi di ebola non denunciati alle autorità sanitarie, per paura e superstizione.

ebola

Ci sono poi i paesi che hanno registrato qualche caso sporadico: sono Nigeria, Senegal, Mali, Spagna e Stati Uniti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che il virus ebola è stato debellato in Senegal il 17 ottobre e in Nigeria il 19 ottobre. La notizia è stata data in entrambi i paesi a circa sei settimane di distanza dall’ultimo caso di infezione registrato.

Fuori dall’Africa
Per quanto riguarda i casi di ebola fuori dall’Africa, va fatta un’altra fondamentale distinzione: alcuni di questi sono stati contratti in Africa e poi diagnosticati o curati fuori dall’Africa; altri sono stati contratti invece direttamente fuori dall’Africa. I paesi dove questo è accaduto sono Spagna e  Stati Uniti.

La Spagna è l’unico paese europeo dove c’è stato un caso di contagio avvenuto direttamente sul territorio (non si trattava cioè di una persona che aveva contratto il virus in un altro paese). Teresa Romero, infermiera di Madrid, aveva contratto il virus dopo essere stata in contatto con due missionari ricoverati nell’ospedale spagnolo e che erano stati contagiati in Africa. Il 21 ottobre i test finali su Teresa Romero sono risultati negativi: l’infermiera è dunque guarita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha fatto sapere che – se non ci saranno nuovi casi – la Spagna verrà dichiarata libera da ebola tra 42 giorni a partire dal 21 ottobre, periodo di tempo che equivale al doppio di quello massimo di incubazione per la malattia. Attualmente in Spagna ci sono 83 persone sotto controllo (che avevano avuto dei contatti con l’infermiera o con i missionari).

In Europa c’è stato un unico caso di morte per ebola: un operatore delle Nazioni Unite aveva contratto il virus in Liberia ed era stato trasferito all’ospedale di Lipsia, in Germania, dove è morto il 14 ottobre.

Negli Stati Uniti i casi di contagio da virus ebola avvenuti all’interno del paese sono due. Il primo è quello di Nina Pham, infermiera del Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas; il secondo è quello di Amber Joy Vinson, anche lei operatrice sanitaria nello stesso ospedale. Le condizioni di Nina Pham sono migliorate e venerdì 24 ottobre è stato annunciata la sua guarigione. Ieri, giovedì 23 ottobre, è stato eseguito un primo test sul sangue di Vinson che è risultato negativo (non è comunque ancora stata dichiarata guarita, ma le sue condizioni sono in netto miglioramento).

Entrambe le infermiere hanno contratto ebola dopo aver avuto contatti con Thomas Eric Duncan. Thomas Eric Duncan aveva contratto il virus in Liberia e aveva scoperto di essere malato quando era già a Dallas, in Texas, dove è morto all’inizio di ottobre. Duncan aveva contratto il virus per contagio da una malata che aveva aiutato a raggiungere un ospedale a Monrovia, capitale della Liberia. Pochi giorni dopo era partito per Dallas dove aveva raggiunto la madre di suo figlio. Coi primi sintomi della malattia si era recato in ospedale, dove la gravità della situazione non era stata compresa, ed era stato rimandato a casa. Era stato ricoverato solo in un secondo momento.

Oltre a Duncan (unico caso di morte per ebola negli Stati Uniti) e alle due infermiere ci sono altri casi negli Stati Uniti che hanno però contratto la malattia in Africa: nelle ultime ore a New York è stata diagnosticata per la prima volta un’infezione da virus ebola. La persona contagiata si chiama Craig Spencer: è un medico, ha 33 anni e fino allo scorso 14 ottobre si trovava in Guinea per dare assistenza ai malati di ebola attraverso uno dei programmi dell’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere (MSF); nell’ospedale dell’università di Emory, nella città di Atlanta, in Georgia – in una delle quattro strutture degli Stati Uniti che dispongono di unità di contenimento speciali per far fronte a malattie infettive pericolose – nei mesi di settembre e di ottobre erano stati ricoverati altri due pazienti: il primo si chiama Rick Sacra e il secondo, un cameraman freelance di NBC, si chiama Ashoka Mukpo. Entrambi avevano contratto il virus in Liberia e sono guariti.

Dopo i casi che si sono verificati in Texas, sono state monitorate 172 persone: 60 di queste hanno superato il periodo di incubazione della malattia (21 giorni), gli altri 112 sono ancora sotto controllo. In Ohio 153 persone che facevano parte dell’equipaggio o che erano passeggeri del volo su cui aveva viaggiato l’infermiera Amber Joy Vinson sono monitorati ma considerati a basso rischio di contrarre il virus.

E quindi?
L’emergenza riguarda insomma l’Africa, anzi: alcuni paesi dell’Africa. Come più volte è stato spiegato, i paesi occidentali hanno i mezzi per rintracciare e isolare coloro che sono stati in contatto con chiunque abbia contratto ebola, e hanno i mezzi per trattare e curare coloro che sono stati contagiati. Questo non vuol dire che non ci sia alcun rischio, ma in generale i funzionari della sanità pubblica sono sicuri della loro capacità di limitare il danno causato dal virus. In Africa però le cose sono molto diverse, per via della scarsezza di personale e risorse e della mediocre cultura sanitaria delle popolazioni.

Secondo le ultime dichiarazioni del direttore della Croce Rossa, ci vorranno dai quattro ai sei mesi per debellare l’epidemia a condizione però che si rispettino tutte le misure di sicurezza necessarie e che non vengano meno gli aiuti internazionali. L’OMS durante l’ultima riunione del Comitato di Emergenza a Ginevra ha detto che comunque ebola continua a costituire un’emergenza sanitaria pubblica di rilievo internazionale, e ha espresso “grande preoccupazione” per la situazione nei tre paesi dell’Africa occidentale più colpiti. Ha anche spiegato che il successo di Senegal e Nigeria dimostra come sia possibile fermare il contagio grazie a una leadership politica determinata, a una diagnosi precoce, a una pronta risposta, a campagne di sensibilizzazione e al sostegno delle organizzazioni esterne.

Foto: AP Photo/Markus Schreiber