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  • Giovedì 16 ottobre 2014

Le ultime sul nuovo caso americano di ebola

L'operatrice sanitaria del Texas ha viaggiato in aereo quando aveva già la febbre, ma era stata autorizzata a partire: dove si trova ora e cosa dicono autorità e ospedali

ATLANTA, GA - OCTOBER 15: Emory University Hospital awaits the arrival of Ebola patient Amber Vinson on October 15, 2014 in Atlanta, Georgia. Nurse Amber Vinson joins Nina Pham as health workers who have contracted the Ebola virus at Texas Heath Presbyterian Hospital while treating patient Thomas Eric Duncan, who has since died. (Photo by Kevin C. Cox/Getty Images)
ATLANTA, GA - OCTOBER 15: Emory University Hospital awaits the arrival of Ebola patient Amber Vinson on October 15, 2014 in Atlanta, Georgia. Nurse Amber Vinson joins Nina Pham as health workers who have contracted the Ebola virus at Texas Heath Presbyterian Hospital while treating patient Thomas Eric Duncan, who has since died. (Photo by Kevin C. Cox/Getty Images)

Mercoledì 15 ottobre è stata data la notizia che un secondo operatore sanitario che lavora al Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas (Texas, Stati Uniti) ha contratto il virus ebola: si chiama Amber Joy Vinson, è una donna e ha 26 anni. Il primo caso riguardava un’altra infermiera dello stesso ospedale. Entrambe avevano avuto contatti con un malato di ebola proveniente dalla Liberia – Thomas Eric Duncan – ricoverato all’ospedale di Dallas e poi morto.

Secondo le prime informazioni diffuse dalla stampa americana, la donna aveva «avuto febbre solo a partire da martedì». Il giorno prima aveva viaggiato su un aereo della compagnia Frontier Airlines – con altri 132 passeggeri – da Cleveland a Dallas. Questo punto è piuttosto importante per almeno due motivi: se al momento del viaggio la donna avesse o no la febbre; se l’avesse comunicato. La capacità di contagiare gli altri si manifesta infatti dopo il periodo di incubazione, nel momento in cui compaiono i sintomi. Il fatto che l’avesse o meno comunicato serve a capire se nel permetterle di salire sull’aereo è stato commesso un errore. Le autorità locali hanno comunque deciso di contattare tutti i passeggeri del suo volo; l’aereo intanto è stato decontaminato per due volte.

Oggi intorno a questa questione ci sono maggiori notizie. NBC News, tra gli altri, scrive di aver ricostruito che la donna aveva la febbre (37,5) già al momento di prendere l’aereo (da lunedì, dunque, e non da martedì). Tom Frieden, il direttore dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (CDC, un’agenzia federale degli Stati Uniti che fa riferimento al Dipartimento della salute), subito dopo la notizia del contagio di Amber Joy Vinson aveva dichiarato che la donna non avrebbe comunque dovuto viaggiare su un volo commerciale, avendo curato un paziente malato, e che agli operatori sanitari nella sua condizione era permesso viaggiare ma non su aerei che trasportassero altre persone.

In realtà qualche ora dopo questo punto è stato chiarito: alla donna non era stato detto che non poteva viaggiare su un aereo commerciale. Vinson aveva contattato il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie chiedendo se poteva salire sull’aereo nonostante la febbre: il Centro l’aveva autorizzata perché la sua temperatura era di 37,5, non aveva dunque superato la soglia di allarme (che è di 38 gradi) e perché risultava che avesse avuto contatti con Duncan indossando tutte le necessarie protezioni di sicurezza. Il CDC sta ora considerando il fatto di abbassare la soglia della temperatura corporea considerata come possibile segno di contagio da ebola.

La prima infermiera che è stato contagiata, Nina Pham, di 26 anni, si trova in isolamento al Texas Health Presbyterian Hospital ed è in buone condizioni. Vinson è stata invece trasferita nell’ospedale dell’università di Emory, nella città di Atlanta, in Georgia, in una delle quattro strutture degli Stati Uniti che dispongono di unità di contenimento speciali per far fronte a malattie infettive pericolose.

Nel frattempo, un dirigente dell’ospedale di Dallas dove è morto Thomas Eric Duncan si è scusato per gli errori commessi nel trattamento di quel primo paziente: «Purtroppo, nel trattamento iniziale del signor Duncan, nonostante le nostre migliori intenzioni e un team medico altamente qualificato, abbiamo commesso degli errori», ha detto Daniel Varga. «Non abbiamo diagnosticato correttamente i suoi sintomi come quelli di ebola. Siamo profondamente dispiaciuti». Duncan aveva contratto il virus per contagio da una malata che aveva aiutato a raggiungere un ospedale a Monrovia, capitale della Liberia. Pochi giorni dopo era partito per Dallas dove aveva raggiunto la madre di suo figlio. Coi primi sintomi della malattia si era recato in ospedale ma la gravità della situazione non era stata compresa ed era stato rimandato a casa. Era stato ricoverato in un secondo momento. Il direttore del CDC avevano definito «probabili» altri contagi di operatori sanitari, dopo la sua morte, mentre ha definito «improbabile» il contagio dei passeggeri dell’aereo dove ha viaggiato Amber Joy Vinson.

Attualmente 75 dipendenti del Presbyterian Hospital di Dallas sono monitorati. Il National Nurses United, il maggior sindacato USA degli infermieri, ha criticato molto la gestione dell’ospedale nel trattamento di Duncan dicendo che al personale non erano state fornite tute di protezione adeguate e che lo stesso Duncan, prima si entrare in isolamento, era stato lasciato per diverse ore in un’area non protetta del pronto soccorso esponendo al contagio il personale e altri pazienti.

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