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  • Venerdì 10 ottobre 2014

La persona a cui è stato dato il Nobel

Joshua Keating mette in guardia su Slate dai paternalismi nei confronti di Malala Yousafzai e dalle inclinazioni dei media a farne una caricatura

di Joshua Keating – Slate @joshuakeating

Malala Yousafzai, a Pakistani student who was shot in the head by the Pakistani Taliban reacts after being awarded with the Sakharov Prize for Freedom of Thought, on November 20, 2013 at the European Parliament in Strasbourg, eastern France. The Sakharov Prize , named after Soviet scientist and dissident Andrei Sakharov, was established by the European Parliament as a means to honour individuals or organisations who have dedicated their lives to the defence of human rights and freedom of thought. AFP PHOTO/ PATRICK HERTZOG (Photo credit should read PATRICK HERTZOG/AFP/Getty Images)
Malala Yousafzai, a Pakistani student who was shot in the head by the Pakistani Taliban reacts after being awarded with the Sakharov Prize for Freedom of Thought, on November 20, 2013 at the European Parliament in Strasbourg, eastern France. The Sakharov Prize , named after Soviet scientist and dissident Andrei Sakharov, was established by the European Parliament as a means to honour individuals or organisations who have dedicated their lives to the defence of human rights and freedom of thought. AFP PHOTO/ PATRICK HERTZOG (Photo credit should read PATRICK HERTZOG/AFP/Getty Images)

Qualche giorno fa avevo sostenuto che il premio Nobel per la pace non dovesse essere assegnato a nessuno, «come ammissione del fatto che le più rilevanti esplosioni di violenza sono state terribilmente prevedibili, risultato di anni di fallimenti individuali e collettivi di governi e istituzioni internazionali».
Nonostante questa opinione, certamente non disapprovo la decisione del comitato per il Nobel norvegese di assegnare il premio di quest’anno a Malala Yousafzai e a Kailash Satyarthi, per – come dice la motivazione – “il loro impegno contro la sopraffazione nei confronti dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini a un’istruzione”. La cosa più sorprendente di questa decisione probabilmente è quanto poco sia sorprendente. Gli ultimi Nobel per la pace – specialmente quelli assegnati all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l’anno scorso, all’Unione Europea, nel 2012, e a Barack Obama nel 2009 – hanno avuto un effetto spiazzante. Yousafzai, invece, era citata come fortemente favorita in quasi tutti gli articoli sulla premiazione di venerdì. La diciassettenne, a cui i talebani avevano sparato nel 2012 per aver fatto propaganda per l’istruzione femminile nella valle dello Swat, in Pakistan, è diventata internazionalmente un nome familiare, in particolare dopo il suo notevole discorso all’ONU l’anno scorso, e ha anche scritto un’autobiografia molto venduta.

Satyarthi, un attivista di sessant’anni che si è dedicato alla lotta contro il lavoro minorile in India, è molto meno conosciuto. È noto per le irruzioni nelle fabbriche dove lavorano bambini (in cui a volte ha affrontato guardie armate), per il centro di riabilitazione per i bambini liberati che gestisce, per essere l’organizzatore della Global march against child labor, e per aver creato un sistema di certificazione per garantire che i tappeti siano fabbricati senza lavoro minorile.

Nonostante Yousafzai e Satyarthi sono entrambi personalità ammirevoli ed esemplari, credo che valga la pena fare un passo indietro e ragionare sulla missione del comitato per il Nobel. Nei primi anni, il premio Nobel per la Pace era assegnato soprattutto per riconoscere uno specifico risultato raggiunto in un processo di pacificazione – la stesura di un trattato di pace o la fine di un conflitto. Questo è il motivo per cui personalità famose per non essere particolarmente pacifiste – Yasser Arafat e Henry Kissinger, per fare due nomi – lo hanno vinto. Ma, complessivamente, è stato assegnato la maggior parte delle volte a figure coinvolte nella lotta contro particolari ingiustizie o problemi attuali (pensate ad Al Gore o ad Aung San Suu Kyi). Quello di quest’anno ovviamente è un esempio del secondo tipo.

Mentre il prestigio del Nobel (inspiegabile, in una certa misura) può sicuramente portare l’attenzione su individui meritevoli, ci sono meno prove che facciano pensare che sia di aiuto alle loro cause. Il premio consegnato all’attivista per i diritti umani Lui Xiaobo nel 2010, per esempio, probabilmente ha diminuito le possibilità che le autorità cinesi lo facciano uscire di prigione. Qualcuno, poi, trova un po’ preoccupante la fascinazione dei media occidentali per Yousafzai. Quando non le è stato assegnato il premio l’anno scorso, la blogger e ricercatrice tecnologica Zeynep Tufekci aveva sostenuto in un post molto letto che nella narrazione di Malala «il nostro impegno pluridecennale in Pakistan è ridotto al trovare una giovane donna che ammiriamo e che tutti vogliamo portarci a casa, come per metterla su una mensola e adorarla». Mentre, continuava, «quello di cui il mondo ha disperatamente bisogno, e che il comitato per il Nobel ha per una volta premiato, è quel tipo di lavoro di pacificazione noioso e istituzionale che rende migliore la vita delle persone».
C’è qualcosa di fastidiosamente compiaciuto e paternalistico nel modo in cui è stata raccontata da qualcuno “la ragazza più coraggiosa del mondo”. È stato un momento particolarmente basso quando, al Daily Show, Jon Stewart ha detto «Voglio adottarti» ad una giovane donna – Malala Yousafzai – che aveva raccontato pubblicamente del sostegno che aveva ricevuto da suo padre – un uomo a sua volta molto coraggioso.

Ma questo è  un problema nostro, non suo. Per come la vedo io qualcuno che è a suo agio nel dire in faccia al presidente degli Stati Uniti che le sue politiche militari stanno alimentando il terrorismo non si farà ridurre a una tenera caricatura. E ad ogni modo, probabilmente è stato saggio da parte del comitato per il Nobel compensare la giovanissima celebrità mondiale associandola a un attivista relativamente inaspettato con anni di lavoro alle spalle. Il comitato ha assegnato gli ultimi due premi a istituzioni – l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e l’Unione Europea – non particolarmente popolari. In un anno in cui governi e istituzioni internazionali sono sembrati particolarmente inefficaci nella gestione della crescente violenza e instabilità, dare il premio a delle persone pare appropriato. Dividere il premio per la pace tra un indiano e una pakistana a sua volta sembra una presa di posizione voluta, in un periodo in cui le tensioni stanno ancora una volta aumentando tra i due eterni avversari. Quindi, congratulazioni comitato per il Nobel: se proprio dovevate assegnare il premio, avreste potuto fare di molto peggio.

Foto: PATRICK HERTZOG/AFP/Getty Images

©Slate 2014