La storia del malato di ebola in Texas

È liberiano, ha 40 anni, e finora è l'unico caso negli Stati Uniti: sarà anche incriminato, in Liberia, per avere dichiarato prima di partire che non aveva avuto contatti con persone infette

Aggiornamento delle 21.20: Durante una conferenza stampa Binyah Kesselly, il capo dell’autorità aeroportuale liberiana, ha detto che Thomas Eric Duncan subirà un processo: è stato resto noto che poco prima del suo volo verso gli Stati Uniti ha infatti compilato un modulo in cui negava, fra le altre cose, di essere venuto a contatto con un paziente affetto da Ebola.

Durante un’altra conferenza stampa, Clay Jenkins, un giudice di Dallas, ha detto che quattro familiari di Duncan sono stati confinati in casa, dopo che un primo ordine che gli imponeva di non uscire di casa era stato violato. Jenkins ha aggiunto che fino a cento altre persone con cui Duncan potrebbe essere entrato a contatto stanno venendo monitorate, ma che al momento nessun altro ha presentato segni di infezione da ebola.

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La prima persona cui è stata diagnosticata una infezione da ebola virus negli Stati Uniti si chiama Thomas Eric Duncan, proviene da Monrovia – la capitale della Liberia – e ha 40 anni. La sua identità è stata rivelata da funzionari del governo liberiano e da alcuni suoi vicini di casa negli Stati Uniti, che lo hanno visto stare male prima che fosse ricoverato nell’ospedale di Dallas, in Texas, dove da tre giorni sta ricevendo le terapie per superare l’infezione. La sua vicenda è seguita con grande attenzione dai media statunitensi, anche se le autorità sanitarie hanno più volte ribadito che non ci sono pericoli concreti e immediati di diffusione del virus, contro il quale non esiste una cura.

Stando alla ricostruzione del New York Times, Duncan ha contratto ebola a metà settembre, mentre si trovava in Liberia. Aiutò una ragazza di 19 anni incinta, già contagiata dal virus, a raggiungere un ospedale per ricevere alcune cure. Duncan portò la ragazza con l’aiuto dei suoi parenti e successivamente viaggiò in auto con lei verso la clinica. A causa del sovraffollamento del reparto dedicato ai pazienti con ebola, l’ospedale non accettò la ragazza, che fu riportata a casa dove morì poche ore dopo. Quattro giorni dopo Duncan lasciò la Liberia per un viaggio negli Stati Uniti.

Duncan a Monrovia si occupava di consegne per conto di un corriere espresso. Lo scorso 4 settembre aveva annunciato che avrebbe lasciato il lavoro per andare negli Stati Uniti, dove vive parte della sua famiglia. Il modo in cui è stato contagiato deriva da un comportamento piuttosto ordinario in Liberia: avendo scarse possibilità di fare affidamento sul personale sanitario, amici e familiari delle persone infette si danno da fare per aiutare i malati, restando a lungo in contatto con loro e aumentando le probabilità di essere contagiati dal virus. Ebola non si trasmette per via aerea, ma in seguito al contatto dei propri fluidi corporei con quelli di una persona malata.

Le autorità liberiane hanno spiegato che per raggiungere il Texas Duncan ha volato dalla Liberia a Bruxelles, in Belgio. Lì è salito su un volo United Airlines che lo ha portato a Washington, dove ha poi preso un aereo per arrivare a Dallas, la destinazione finale del suo viaggio. È quindi entrato in contatto con decine di persone sui tre voli, ma le probabilità che abbia potuto contagiare qualcuno sono estremamente basse.

Negli Stati Uniti, Duncan ha iniziato ad avere i primi sintomi alla fine della scorsa settimana. È allora andato al Texas Health Presbyterian Hospital dove è stato visitato e gli sono stati prescritti alcuni antibiotici. Durante la visita ha detto a un’infermeria di essere arrivato da poco dall’Africa occidentale, ma l’informazione non ha evidentemente insospettito il personale dell’ospedale circa un possibile caso di ebola virus. È stato rimandato a casa e le sue condizioni hanno continuato a peggiorare tanto da spingere i suoi familiari a chiamare un’ambulanza domenica 28 settembre. Mentre veniva trasportato in barella, alcuni vicini lo hanno visto vomitare all’esterno della sua abitazione, cosa che potrebbe avere portato al contagio di altre persone.

Duncan ora è in cura presso il Texas Health Presbyterian Hospital e per motivi di riservatezza si sanno poche cose sulle sue condizioni. Il personale medico con cui è entrato in contatto è risultato negativo ai test sulla presenza del virus ebola, mentre le autorità sanitarie sono ancora al lavoro per tenere sotto controllo le altre persone che sono entrate in contatto con lui prima che gli fosse diagnosticata l’infezione. Si stima che in tutto siano coinvolte 18 persone, tra cui 5 bambini che sono andati regolarmente a scuola nei primi giorni della settimana, prima che fosse deciso di tenerli a casa e di verificare la comparsa di eventuali sintomi.

Buona parte delle 18 persone sono familiari di Duncan e secondo i medici è poco probabile che abbiano contratto il virus. Sono tenuti comunque sotto controllo e si sta cercando di fare avere loro meno contatti possibile con altre persone fino a quando non ci saranno ulteriori certezze sulla loro salute.

ebola-virus-mappa

Duncan è il primo caso di ebola a essere stato diagnosticato negli Stati Uniti, ma nei mesi scorsi altri cittadini statunitensi affetti dal virus erano stati trasportati dall’Africa all’America per essere assistiti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che fino a ora i contagi siano stati più di 6.800 e le morti oltre 3.150. Il paese con il numero più alto di casi è proprio la Liberia, con quasi 2mila morti, seguito dalla Sierra Leone e dalla Guinea. Il virus ebola fu identificato per la prima volta nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo: si diffonde attraverso il contatto con il sangue e gli altri fluidi corporei. Ebola finora non ha mai portato a epidemie su grande scala proprio perché causa – di solito in breve tempo – la morte dell’organismo che ha infettato, riducendo quindi i tempi per il contagio. Ebola causa febbre, vomito, disturbi intestinali e nei casi più gravi emorragie interne. Il suo tasso di mortalità è molto alto e oscilla tra il 50 e l’89 per cento, a seconda del ceppo virale e della salute dell’organismo che prova a infettare. Il tipo che si è diffuso in questi mesi nell’Africa occidentale è lo “Zaïre ebolavirus” (ZEBOV), e ha il più alto tasso di mortalità.

Alcune persone osservano la casa di Duncan a Dallas, in Texas
(Tom Pennington/Getty Images)