Vita di un moderatore di commenti

Deprimente e disorientata, racconta una che lo ha fatto per un anno, spiegando come manchino criteri e standard condivisi per un lavoro che è al centro di internet

Il sito Mashable ha pubblicato un articolo sul lavoro dei moderatori dei commenti online, intervistando in particolare la moderatrice del sito di discussioni Debate.org, Alex Chrum, 25 anni. Il tema è da addetti ai lavori, forse – al Post interessa molto, da tempo: e ancora di più ora che abbiamo avviato una nuova politica di moderazione dei commenti – ma l’obiettivo dell’articolo è proprio mostrare ai non addetti ai lavori un mondo e delle dinamiche che dall’esterno non sono quasi mai percepiti.

«Onestamente, è la cosa emotivamente più faticosa che abbia fatto nel mio lavoro», dice Chrum.

Mashable racconta che Debate.org ha ora attivato un sistema di moderazione dei commenti più complesso, affidato a un gruppo di moderatori che compensano tra loro i rispettivi pareri: il sistema è gestito da Crowdsource, una società che ha creato anche un sistema che bilancia i criteri e le scelte dei moderatori con il filtro di un algoritmo, che compie quindi la decisione finale sulla pubblicazione dei commenti e sulla classificazione dei loro autori. Tutto questo per cercare di attenuare il problema della grande carenza di criteri e principi condivisi che, racconta Chrum, era uno degli aspetti più disperanti del suo lavoro.

Seduta alla sua scrivania a Swansea, Illinois, Chrum passa dalla nostalgia al disgusto per quel suo ruolo. Molte delle discussioni sul sito riguardavano temi sociali e politici vibranti e stimolanti e Chrum era entusiasta di poter incoraggiare il dibattito. Nonostante questo, da moderatrice vedeva in tempo reale come alcuni utenti costruissero le loro argomentazioni a forza di insulti, lanciando attacchi personali basati sul genere, la razza e la sessualità.
Chrum, che ha una laurea in letteratura inglese e una specializzazione in “gender studies”, a volte era abbattuta dalla frustrazione. È come se prima di accettare il lavoro come moderatrice di commenti la sua vita fosse trascorsa in una bolla: non sapeva che molte persone ancora credano che Satana abbia creato l’omosessualità o che Dio abbia fatto le donne per servire gli uomini. Ma non era solo questione di accettare l’esistenza di questa realtà: il suo lavoro le richiedeva di pensare attentamente a ognuna di queste idee offensive, ogni parola sciocca, e anche ogni vile minaccia.

Due quindi sono i temi, spiega l’articolo di Rebecca Ruz: confrontarsi – da umano – con atteggiamenti e opinioni intollerabili, stupide o violente, e trovare la misura – da impiegato alla moderazione – per giudicare in quali casi questo dovesse ammettere la pubblicazione del commento e in quali no.

La maggior parte di noi non vede questa versione di Internet. A meno che tu non venga attaccato da un “troll”, evitare la feccia dei social network è piuttosto facile. Quando una discussione diventa troppo violenta ti limiti a chiudere la pagina, oppure smetti di seguire un amico su Twitter dopo che ha detto qualcosa di volgare ed eviti quei siti famosi per un approccio alle discussioni tipo “Signore delle mosche”. Le persone come Chrum sono il tampone tra gli utenti qualunque di Internet e quelli in cerca di emozioni forti che vogliono superare i limiti della decenza. Ma provare a proteggere il resto di noi può comportare un sacrificio personale che asciuga la mente e lo spirito. «È troppo pesante per una sola persona farlo tutto il giorno, tutti i giorni: non si riesce» dice Chrum.

Non sappiamo molto di come si sentono le persone che per lavoro controllano e sorvegliano Internet. Diamo per scontato che loro provino a difenderci dai peggiori contenuti, ma raramente ci chiediamo come si sentano quando lo fanno e come il farlo possa avere effetti sulla loro serenità e sulla loro salute mentale.
Il loro ruolo nel controllare Internet è largamente sottovalutato. I moderatori non sono che una piccola forza nell’inerzia che guida il web, e le infrastrutture che abbiamo costruito per rendere le comunità online più sicure sono, nella migliore delle ipotesi, una promettente improvvisazione: nella peggiore sono inefficaci in modo quasi imbarazzante.

Mashable ha chiesto un parere a Elizabeth Englander, una professoressa di psicologia alla Bridgewater State University che fa ricerca sul cyberbullismo: Englander dice che un paragone utile potrebbe essere quello di pensare ai moderatori come gli equivalenti digitali di un agente di polizia o di un’infermiera del Pronto Soccorso. I moderatori non assistono alla stesse drammatiche scene di vita e morte, ma la natura del loro lavoro li espone ad aspetti dell’esperienza umana che la maggior parte di noi normalmente cerca di evitare: e in alcuni casi estremi sono aspetti che diventano davvero gli stessi degli agenti di polizia, le minacce violente, gli stalking, la pornografia infantile. I moderatori di discussioni e commenti online finiscono, come agenti e infermieri, per crearsi una vita professionale autonoma e distaccata da ciò con cui hanno a che fare, per quanto riescono.

E poi c’è la questione di quali criteri adottare rispetto agli obiettivi di far crescere una discussione plurale e tollerante, ma anche proficua e stimolante, e di aggiungere qualità al sito. E cosa fare quando questi obiettivi entrano in conflitto, come capita spesso coi temi di libertà e tolleranza.

Chrum era in grado di rifiutare certi commenti usando le linee guida del codice di condotta del sito, ma altri si trovavano in bilico sulla sottile linea che divide un commento acceso ma stimolante e uno semplicemente offensivo. Se un utente, per esempio, dice che il mondo sarebbe un posto migliore senza gli omosessuali, conta come minaccia violenta, insulto o è soltanto una posizione morale? Se qualcuno chiede se sia accettabile per un uomo colpire una donna e un utente risponde che la donna potrebbe esserselo meritato, dovrebbe essere considerato accettabile visto che il sito dice di voler valorizzare “i dialoghi intellettualmente stimolanti”? Il processo di provare a ricostruire le intenzioni di un utente aveva sfinito Chrum. Mentre provava a scandagliare la psiche di uno sconosciuto, gettava occasionalmente uno sguardo a una cartolina incollata alla sua scrivania con un pezzo di scotch: con i suoi colori calmanti preferiti, viola e verde, e la scritta “Keep calm and be nice to people”.
Lo slogan divenne il mantra di Chrum, ma era spesso difficile da rispettare. Doveva mostrarsi calma, anche quando voleva con tutto il cuore poter rispondere a un commentatore che aveva scritto qualcosa di particolarmente odioso. L’effetto cumulativo del leggere attentamente tutti quei commenti diventò come un’eclisse, un’ombra sulle sue giornate.

«La maggior parte delle cose sul sito erano positive», dice Chrum, «ma io mi accorgo di più delle cose negative perché è su quelle che devo decidere. Spesso tornavo a casa la sera molto depressa».
I commenti la rendevano nervosa di giorno e poi la sfinivano anche quando era a casa. Lavorava per tutta la giornata e controllava il sito anche nel fine settimana. A volte provava con la meditazione, per cercare di non pensare più ai commenti. Al lavoro, spesso, dopo aver letto un commento particolarmente violento, ne parlava esasperata ai colleghi.
Quando si trovava nel mezzo di un’accesa discussione etica o filosofica, si rifaceva all’idea che i commenti dovessero in qualche modo promuovere un dibattito “significativo e ben ponderato”. “Quante di queste persone sono soltanto dei troll che cercano di attirare un po’ di attenzione e irritare gli altri?” si chiedeva Chrum. Se non hai nulla di legittimo da portare nella discussione, il contenuto che proponi probabilmente non raggiungerà gli standard del nostro codice di condotta e non verrà pubblicato”.

L’articolo racconta che Chrum ritiene di aver rifiutato, con queste motivazioni o per aver esplicitamente violato le regole del sito, circa il 50% dei commenti. E commenta che in fin dei conti «il lavoro mi ha migliorato come persona perché ho imparato a non prendere le cose negative troppo sul personale».

Ciò nonostante, questa sensazione di crescita personale aveva un sapore agrodolce. «Quando leggi un commento su una cosa a cui sei particolarmente sensibile, poi ti resta dentro anche se non conosci la persona che lo ha scritto. E quando è impersonale e disumanizzato, e sono tanti uno dopo l’altro, cominci a perdere fiducia nell’umanità».

La moderazione dei commenti sul Post