Perché abbiamo facce con pochi peli?

Almeno rispetto a quasi tutti gli altri mammiferi: secondo una nuova ricerca potrebbe essere perché sulle facce glabre le emozioni sono più facili da leggere

Una delle differenze principali tra l’uomo e gli altri mammiferi (compresi i primati, i nostri parenti più prossimi) è che le nostre facce sono sostanzialmente senza peli. Certo, i maschi possono farsi crescere delle voluminose barbe con baffi, ma anche i volti più irsuti lasciano una grossa parte del viso scoperta: almeno rispetto al muso di un cane o a quello di un cavallo. Nel corso degli anni gli scienziati hanno formulato diverse ipotesi per spiegare questo fenomeno. Secondo alcuni potrebbe avere a che fare con la necessità di liberarsi dei parassiti, come i pidocchi, che trovano il loro ambiente proprio in mezzo a peli e capelli.

Secondo altri invece abbiamo perso i peli quando centinaia di migliaia di anni fa abbiamo abbandonato le foreste tropicali, relativamente fresche e ombrose, per trasferirci nella savana più calda. Volti più glabri avrebbero aiutato i nostri antenati a mantenere una temperatura corporea più bassa. Un’altra spiegazione ancora attribuisce la nostra mancanza di peli facciali alla “neotenia”, il procedimento evolutivo per cui gli esemplari adulti di una specie mantengono alcune caratteristiche giovanili. Gli esseri umani sono infatti, in un certo senso, delle scimmie che maturano più lentamente e vivono più a lungo (le nostre teste, ad esempio, sono sproporzionate rispetto al resto del corpo, come accade ai cuccioli di quasi tutti le specie di mammiferi).

BBC ha raccontato un nuovo studio che cerca di spiegare questo fenomeno. Il coordinatore della ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Biology Letters, è Mark Changizi, un neurobiologo e direttore della 2AI Labs di Boston, Stati Uniti. Secondo Changizi gli esseri umani nel corso dell’evoluzione hanno perso i peli facciali per rendere più facilmente riconoscibili le emozioni che si mostrano con il volto. Premessa: le nostre facce cambiano colore a seconda delle nostre emozioni e del nostro stato fisico. Quando il sangue è molto ricco di ossigeno (perché siamo emozionati oppure sotto sforzo) le nostre facce diventano rosse. Quando accade il contrario, la pelle tende ad assumere una colorazione verdastra. Alte concentrazioni di sangue, come intorno a un livido, rendono la pelle bluastra, mentre una bassa concentrazione di sangue dà alla nostra pelle un colore giallo.

Ovviamente per potersi accorgere di questi cambiamenti è necessario avere il giusto tipo di occhi. Gran parte dei mammiferi possono vedere solo un limitato numero di colori. Possono ad esempio notare un livido, ma non riescono a distinguere una faccia arrossata da una normale: in altre parole, secondo Changizi, non avrebbero molti vantaggi ad avere un muso glabro, perché non sarebbero in grado di individuare tutte le differenze di colorazione. Gli esseri umani e alcuni primati, invece, possono percepire una gamma più vasta di colori (si chiamano “tricromati” perché possono vedere oltre al blu e il giallo anche le sfumature di rosso). Gli umani, quindi, possono “leggere” molte più informazioni da un volto glabro: e visto che sono animali altamente sociali, possono trovare molto utili queste informazioni. Possiamo ad esempio decidere di stare lontani da qualcuno che appare pallido in modo da evitare di essere infettati nel caso in cui sia malato. Oppure possiamo fare più attenzione se vediamo qualcuno con un volto molto arrossato perché probabilmente è molto agitato e forse pronto ad attaccare.

Per dimostrare la loro ipotesi, Changizi e gli altri ricercatori hanno provato a vedere se esiste una correlazione negli altri primati tra il tipo di vista e la quantità di peli facciali. A quanto pare questa correlazione esiste: i primati tricromati hanno meno peli facciali di quelli con una vista meno sensibile ai colori. Changizi ammette che le prove trovate dal suo studio non sono definitive e non rispondono con certezza alla domanda “perchè abbiamo pochi peli sul volto?”. Sostiene però che se anche la nostra pelle glabra si è sviluppata in seguito a qualche altro fenomeno – come la neotenia o la termoregolazione – probabilmente la nostra visione a colori e la colorazione del volto si sono intrecciate e hanno continuato ad evolversi di pari passo, almeno tra alcune specie di primati, esseri umani compresi.