Wikimedia ha vinto un’altra causa in Italia

Stavolta hanno perso gli Angelucci, un anno fa era stato Cesare Previti: il Tribunale di Roma ha ribadito che fornisce uno spazio online e non ha responsabilità editoriali

Wikipedia founder Jimmy Wales speaks during "Wikimania 2012" the international Wikimedia conference July 12, 2012 at the Lisner Auditorium in Washington, DC. Wikimania is an annual gathering of editors from Wikipedia and other Wikimedia projects. AFP PHOTO/Mandel NGAN (Photo credit should read MANDEL NGAN/AFP/GettyImages)
Wikipedia founder Jimmy Wales speaks during "Wikimania 2012" the international Wikimedia conference July 12, 2012 at the Lisner Auditorium in Washington, DC. Wikimania is an annual gathering of editors from Wikipedia and other Wikimedia projects. AFP PHOTO/Mandel NGAN (Photo credit should read MANDEL NGAN/AFP/GettyImages)

Wikimedia Foundation, la fondazione no profit che tra le altre cose gestisce l’enciclopedia online Wikipedia, il 9 luglio 2014 ha vinto una causa presso il Tribunale di Roma contro Antonio e Giampaolo Angelucci, due noti imprenditori italiani, che nel 2009 avevano chiesto a Wikimedia un risarcimento danni di 20 milioni di euro perché a loro dire su Wikipedia erano presenti voci enciclopediche diffamatorie nei loro confronti. In una causa parallela, gli Angelucci avevano anche denunciato WIkimedia Italia – la divisione locale di Wikimedia Foundation – ma hanno perso anche quella.

Repubblica spiega che «Antonio all’epoca dei fatti era parlamentare del Pdl, mentre Giampaolo è l’editore di Libero e il Riformista». La voce italiana di Antonio Angelucci su Wikipedia è tuttora inaccessibile: un messaggio spiega che «questa pagina è stata oscurata e bloccata a scopo cautelativo a causa di una possibile controversia legale. Verrà eventualmente ripristinata alla fine della vicenda che la riguarda» (la stessa pagina è però visibile nell’edizione olandese e inglese dell’enciclopedia).

Il sito del Sole 24 Ore ha pubblicato oggi un articolo – senza nominare gli Angelucci, però – in cui spiega le motivazioni espresse dal giudice, che in sostanza ha deciso che Wikimedia «non risponde delle affermazioni diffuse dalla popolare enciclopedia online, come qualunque altro provider che si limiti a mettere a disposizione lo spazio in rete non è responsabile dei contenuti forniti dagli utenti». Sono motivazioni molto simili a quelle per cui lo stesso Tribunale di Roma respinse nel 2013 la causa avviata da Cesare Previti – collaboratore di Silvio Berlusconi ed ex parlamentare di Forza Italia – contro la stessa Wikimedia Foundation nel 2010, sempre per via di alcune voci presenti su Wikipedia. Anche in quel caso il Tribunale giudicò Wikimedia un fornitore di hosting – cioè di uno spazio online per pubblicare cose – e non di contenuti, per i quali la responsabilità ricade sui singoli utenti che compilano e integrano le voci di Wikipedia.

Wikimedia foundation non risponde delle affermazioni diffuse dalla popolare enciclopedia online, come qualunque altro provider che si limiti a mettere a disposizione lo spazio in rete non è responsabile dei contenuti forniti dagli utenti. Così ha stabilito la prima sezione civile del tribunale di Roma, con una sentenza depositata il 9 luglio scorso, assai importante anche perché conferma una precedente pronuncia, inserendosi così in quel che può essere chiamato oggi un orientamento.

L’argomentazione è semplice e lineare: secondo il giudice «non è sostenibile l’equiparazione della posizione dell’hosting provider a quella prevista dall’articolo 11 della legge n. 47 del 1948 in tema di reati commessi con il mezzo della stampa». Insomma, la figura del provider non è sovrapponibile a quella dell’editore, per cui una disposizione della legge stampa prevede una responsabilità “automatica”. E ciò per tre principali ragioni: anzitutto l’assenza di un contratto con chi scrive. In secondo luogo per la quantità di dati immessa dagli utenti, che renderebbe inesigibile un controllo effettivo, e implicherebbe una responsabilità oggettiva senza appigli normativi nell’ordinamento. In terzo luogo, pure la normativa sul commercio elettronico esclude in genere una responsabilità del provider per gli illeciti degli utenti estranei al suo controllo e autorità.

Accanto a questi tre condivisibili argomenti, il tribunale ne aggiunge di meno persuasivi come, ad esempio, quello usato per negare che l’attività di messa a disposizione dello spazio on-line possa inquadrarsi fra quelle pericolose per l’articolo 2050 del Codice civile. Ciò sarebbe dimostrato da un disclaimer ove la fondazione precisa di non garantire la validità delle informazioni, manifestando una preventiva presa di distanza dalla correttezza dei fatti riportati. Più semplicemente, infatti, la condotta di fornire un “luogo” per esprimere il proprio pensiero, una libertà tutelata dalla Costituzione, pare non pericolosa di per sé, al di là degli avvisi con cui viene accompagnata.

(Continua a leggere sul sito del Sole 24 Ore)

il fondatore di Wikipedia ed ex capo della Wikimedia Foundation Jimmy Wales (MANDEL NGAN/AFP/GettyImages)