E che cos’è la deflazione?

Dobbiamo farci i conti per la prima volta in 55 anni, dice l'ISTAT: una rapida guida per capire di che si tratta

L’ISTAT ha annunciato che per la prima volta dal 1959, l’Italia è tornata nuovamente in deflazione. Il tasso di variazione dei prezzi su base annuale è in calo da quattro mesi consecutivi, stando ai dati provvisori dell’istituto di statistica che saranno confermati nei prossimi giorni, come avviene spesso con la diffusione dei suoi bollettini. La notizia non è incoraggiata e riporta di attualità un tema di cui ci eravamo già dovuti occupare meno di un anno fa, quando si iniziava a parlare di rischi legati proprio alla deflazione.

Che cos’è la deflazione
La deflazione è la diminuzione nel tempo del prezzo dei beni e dei servizi. Intuitivamente, è il contrario dell’inflazione, che si verifica invece quando i prezzi salgono. Tecnicamente, si verifica una deflazione quando il tasso di inflazione scende sotto lo 0 per cento.

Detta in un altro modo, con l’inflazione il valore reale del denaro diminuisce nel tempo (un euro non mi basta più per acquistare un chilo di carote, come era un anno prima). Con la deflazione il valore reale del denaro aumenta (ad esempio con un euro arrivo a comprare il doppio delle carote che compravo un anno prima). L’inflazione troppo bassa e ancora di più la deflazione, possono essere un grosso problema, soprattutto per paesi in difficoltà e con un debito altissimo come l’Italia.

Perché è un problema?
Anche chi non è molto esperto di economia sa che un’inflazione troppo alta non è una cosa buona. Chi ha una certa età si ricorda di quando anche in Italia l’inflazione era altissima. I più giovani magari hanno studiato a scuola l’iperinflazione della Repubblica di Weimar, negli anni Venti in Germania, o più di recente l’iperinflazione in paesi come lo Zimbabwe.

Il ruolo delle banche centrali, almeno da 30 anni a questa parte, è stato proprio quello di evitare simili scenari estremi, tenendo sotto controllo l’inflazione e facendo da “guardiani” dei prezzi. Un compito svolto con un certo successo, visto che dagli anni Ottanta l’iperinflazione è sostanzialmente sparita da tutti i paesi industrializzati. Se l’iperinflazione è un problema, questo non significa che la sua totale assenza o, addirittura, la deflazione, non lo siano altrettanto (e in certi casi anche di più).

A occhio, l’idea di un sistema economico dove, mese dopo mese, i prezzi continuano a diminuire, sembra ideale. Ma non è così. Durante lunghi periodi di deflazione non sono solo i prezzi di quello che compriamo a ridursi, sono anche i prezzi dei servizi, dei trasporti e quindi, con il tempo, anche gli stipendi. C’è una cosa che però rimane solitamente a un valore stabile: gli interessi sui debiti. Quindi, mentre gli stipendi calano e in generale il reddito nazionale diminuisce, diventa in proporzione sempre più difficile pagare gli interessi sul mutuo o sul debito pubblico.

Il secondo principale effetto della deflazione è che rende poco conveniente spendere soldi. Se ad esempio qualcuno volesse comprare un bene in un periodo di deflazione, avrebbe la tendenza a rimandare ancora un po’ l’acquisto, aspettandosi che il suo prezzo scenda. Questa tendenza non è solo dei privati: anche un’azienda potrebbe decidere di rimandare un investimento produttivo in attesa di trovare un prezzo più conveniente. Soprattutto in una situazione come quella attuale, il meccanismo può far sparire anche i tanto auspicati segni di ripresa economica.

Quando il PIL non cresce può accadere un’altra cosa a paesi con un altissimo debito pubblico come l’Italia: il rapporto debito/PIL è formato da un numeratore – il valore del debito – e da un denominatore – il PIL. Più è alta l’inflazione più il denominatore sale, anche in assenza di crescita “reale”, per il solo fatto che i prezzi aumentano. Nella stessa situazione, con il PIL reale fermo o in crescita molto bassa, se non c’è inflazione, o addirittura con deflazione, il PIL nominale cala, rendendo il rapporto debito/PIL sempre più elevato e potenzialmente ingestibile.

Cosa si può fare?
Manovrare l’inflazione non è una cosa semplice per le banche centrali. Molti pensano che la maggior parte dei paesi sviluppati starebbe meglio con “un po’ più” di inflazione rispetto ad ora, ma viene allora da chiedersi quale sia il giusto livello di inflazione e come si fa a raggiungerlo. È già capitato che in passato “un po’ più” di inflazione si sia trasformato in “parecchia inflazione in più” con conseguenze piuttosto spiacevoli.

Le banche centrali hanno diversi strumenti per provare a incidere sull’inflazione ma nessuno di questi è sicuro o ha conseguenze automatiche. Uno dei principali è la manipolazione del tasso di interesse con cui le banche centrali prestano denaro alle altre banche. Più è basso, più le banche sono incentivate a prendere a prestito facendo quindi – in teoria – aumentare il denaro in circolo. Esistono anche altri strumenti per ottenere lo stesso scopo, spesso definiti “non convenzionali”. Uno di questi è la cosiddetta forward guidance: in sostanza la banca centrale promette di tenere basso il tasso di interesse per un periodo prolungato, sperando di generare nel mercato un’aspettativa di inflazione futura. La seconda è il cosiddetto “quantitave easing“, cioè stampare denaro per comprare particolari tipi di titoli pubblici e privati.

Negli ultimi anni, le varie banche centrali dei paesi sviluppati hanno abbondantemente messo in pratica tutti questi sistemi. In particolare la Banca del Giappone, come parte della cosiddetta “Abenomics” ha messo in circolo moltissimo denaro riuscendo a far uscire il paese da 15 anni di deflazione e portandolo a un certo punto a un tasso di inflazione dello 0 per cento.

Secondo diversi osservatori, la BCE dovrebbe dimostrarsi più coraggiosa e intraprendere alcune delle misure non convenzionali già messe in campo da alcune banche centrali. Ma su una decisione di questo tipo si innestano problemi di natura prettamente politica, legata agli interessi dei singoli stati dell’Unione Europea. Alcuni, come la Germania, preferiscono tenere il più possibile sotto controllo l’inflazione.