Cosa pensa del secchio di ghiaccio in testa una famiglia con la SLA

Che è una gran cosa, anche se comporta la momentanea colonizzazione dei social network (o forse proprio per questo)

of the New York Yankees of the Toronto Blue Jays on July 4, 2009 at Yankee Stadium in the Bronx borough of New York City.
of the New York Yankees of the Toronto Blue Jays on July 4, 2009 at Yankee Stadium in the Bronx borough of New York City.

Bo Stern è una scrittrice e blogger americana, oltre che una pastore protestante. È sposata da trent’anni con Steve Stern, un uomo a cui nel 2011 hanno diagnosticato la SLA, una malattia neurodegenerativa al momento incurabile. Da alcuni anni tiene un blog riguardo la sua esperienza con la malattia del marito; scrive inoltre per il magazine cristiano Charisma Magazine e nel 2013 ha pubblicato il libro Beautiful Battlefields. Su Twitter è @Bostern. L’articolo tradotto qui sotto è stato pubblicato il 15 agosto sul suo blog.

Beh, siamo entrati nella seconda settimana del super virale Ice Bucket Challenge. Lo so, lo so, vi sento già: è cominciata come una cosa carina e ora è fuori controllo. Lo so. Sta praticamente colonizzando tutti i social network.

Ho persino letto questo articolo nel quale l’autore chiama la cosa – che ha permesso di raccogliere una somma impensabile per una malattia le cui raccolte fondi sono vergognosamente povere – «uno spreco di acqua fresca». Un altro titolo riportava, polemizzando: «L’Ice Bucket Challenge curerà la SLA?». Ehm, no. (e, fra l’altro, sarebbe un obbiettivo insensato per qualsiasi raccolta fondi). Alcuni si lamentano del fatto che la sfida stia dando corda al tipico narcisismo americano e che non stia facendo nulla per la sensibilizzazione riguardo la SLA o per la raccolta fondi. Dicono che la gente dovrebbe semplicemente donare soldi in silenzio e andare avanti con le proprie vite.

Capisco che la cosa li irriti, ma credo che non si rendano conto cosa vuol dire affrontare questa malattia beffarda e allo stesso tempo constatare che per il resto delle persone è una malattia invisibile. Dato che passo le giornate guardando mio marito seppellito dentro il suo stesso corpo, mi preme moltissimo far sapere alla gente l’esistenza di questa condizione disumana. Ma per qualche ragione, mentre tutti riconoscono che il destino dei malati di SLA è uno dei peggiori destini immaginabili, le raccolte fondi per la ricerca e le terapie sono praticamente nulle.

Recentemente, parlando con una dottoressa, ho fatto riferimento al fatto che mio marito ha la SLA: sulle prime, sembrava confusa. Poi, mi ha detto: «ah, il morbo di Gehrig, giusto?». Esatto. Per quale motivo una dottoressa laureata in medicina – ancora oggi – conosceva la malattia solamente con quel nome? Perché tendiamo ad associare una certa cosa a una data persona: è più semplice [Lou Gehrig fu un famoso giocatore statunitense di baseball, in attività negli anni Venti e Trenta: nel 1939 gli fu diagnosticata la SLA, di cui morì due anni più tardi]. È per questo che il coinvolgimento di gente famosa e il meccanismo del nominare altre persone stanno funzionando così bene: e se a qualcuno capita di fare bella figura mentre mette 50 dollari nel contenitore delle mance in favore della SLA, io non ho proprio nessun problema.

La questione, infatti, è questa: stiamo combattendo una battaglia enorme contro questo mostro, e l’ULTIMA cosa che desidero è che le persone donino soldi silenziosamente, anonimamente, e poi si defilino. Scatenatevi! Fate casino! Attirate l’attenzione su di voi! Io sarò contenta per voi e per ogni “mi piace” che riceverete su Facebook, dato che starete spingendo la SLA un pochino più avanti nel tragitto verso la pubblica consapevolezza. Ma non temere, caro lettore: anche questa cosa passerà di moda, e la tua timeline di Facebook tornerà ad essere popolata da video di gattini e da ragazzini che cantano Let It Go. Prima che accada, ecco un piccolo vademecum su cosa vuol dire avere la SLA e perché questo livello di pubblica consapevolezza significa moltissimo, per famiglie come la mia.

***

La gente mi chiede spesso cosa vuol dire convivere con la SLA. È una domanda coraggiosa, perché la risposta non è molto gradevole. Ma è anche una domanda molto importante, perché capire come la malattia influisce sulle persone che ne soffrono crea una certa empatia nei loro confronti, cosa preziosa; ci porta dentro il mondo di un’altra persona e ci permette, quindi, di capire cosa stanno provando e in che modo stanno soffrendo. Quando vedo che mio marito è in difficoltà nel fare cose che prima erano facili e automatiche, a volte mi auguro che chiunque possa vedere la vita dalla sua prospettiva.

Se volete provare anche solo in parte cosa vuol dire avere la SLA, ho una lista di Esperienze Empatiche per voi. Queste sono cose che potete fare per sperimentare cosa voglia dire indossare un paio di scarpe SLA per un chilometro; mentre ne provate qualcuna, prendetevi un po’ di tempo per riflettere sul fatto che alcune persone abbiano milioni di chilometri da fare, davanti a sé, con queste stesse scarpe.

1) Prendete un peso da quattro chili. Ora immaginate di usarlo come forchetta, e cercate di spostarlo ripetutamente dal piatto fino alla vostra bocca senza che vi tremi il braccio.

2) Sedetevi su una sedia per 15 minuti impegnandovi a muovere solo gli occhi. Null’altro. Non potete parlare, grattarvi il naso, spostare il peso del corpo, cambiare il canale della televisione, lavorare al computer. Potete muovere solo i vostri occhi. Mentre siete lì seduti, pensate: questa, per me, è la vita. La mia unica vita.

3) Prendete in prestito una sedia a rotelle o un miniscooter e provate a usarlo agilmente fra gli scaffali di un supermercato, senza parlare. Sperimentate il modo in cui la gente vi guarda.

4) Legatevi un peso da 10 chili attorno all’avambraccio. Ora provate ad aggiustare lo specchietto retrovisore.

5) Cercando di non usare nessuno dei vostri muscoli, nessuno, fatevi lavare i denti e vestire da un vostro amico, o dal vostro coniuge, o da vostro figlio. Trascrivete alcuni dei sentimenti che avete provato nel ricevere questo tipo di attenzioni.

6) Prima di consumare il prossimo pasto, date un’occhiata al cibo che avete nel piatto. Un’occhiata di quelle lunghe. Inspirate profondamente e apprezzatene il profumo. Ora immaginate di non poter essere in grado di gustarlo – né quel che avete nel piatto, né alcun altro cibo – per il resto della vostra vita.

7) Infilatevi due grossi marshmallow in bocca e provate a chiacchierare coi vostri amici. Quante volte dovreste ripetervi? Come vi sentireste?

8) Stendetevi a letto e rimanete fermi in una certa posizione più a lungo possibile, senza muovere un muscolo.

9) Legatevi dei pesi alle caviglie e salite in cima a una rampa di scale due gradini alla volta. È la forza necessaria che occorre a un malato di SLA per salire le scale (in un giorno nel quale è in forma).

10) Installate sul vostro telefono o tablet un’applicazione che permette di pronunciare le parole che digitate. Per un giorno intero comunicate con gli altri solo in questo modo.

Per i miei amici malati di SLA: suggeriteci altre idee, e dateci una mano a sperimentare un pochino la vostra prospettiva. Vogliamo aiutarvi a rendere le vostre vite un po’ più ricche e piene, e non sono sicura che riusciremo a farlo senza che ci sia un minimo di consapevolezza riguardo quello che state provando. Credo di parlare a nome di molti quando vi dico che siete dei supereroi e che ci stupite di continuo.

Bo

foto: Nick Laham/Getty Images