Cosa chiede l’Italia all’Europa

Ne parlano tutti i giornali, dopo un'intervista del ministro Padoan alla BBC, insieme a una presunta "trattativa segreta" per uno sconto sui parametri di bilancio europei

Domenica 17 agosto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha dato un’intervista al canale radio BBC 4 che è finita oggi sulle prime pagine di quasi tutti i quotidiani italiani. Nell’intervista Padoan ha chiesto alla Banca Centrale Europea di «fare la sua parte», cioè «portare l’inflazione nuovamente vicina al 2 cento, che è una cifra ragionevole». Il 2 per cento di inflazione è uno degli obiettivi della BCE, ma attualmente è ancora molto lontano: secondo gli ultimi dati, che risalgono a luglio, l’inflazione annualizzata del 2014 dovrebbe essere dello 0,4 per cento.

Un’inflazione così bassa è un problema in particolare per i paesi con un grande debito pubblico, come l’Italia. Più è alta l’inflazione, infatti, più il peso del debito relativamente al resto dell’economia diminuisce: diventa più facile da pagare e diventa più facile anche rispettare tutti i parametri di bilancio europei. Un’inflazione così bassa, inoltre, rischia di diventare deflazione, che è una situazione particolarmente pericolosa perché incentiva le persone a spendere meno, e quindi porta le fabbriche a produrre meno e aver meno bisogno di nuovi lavoratori, eccetera (qui avevamo spiegato più estesamente perché serve un’inflazione più alta di così).

Secondo Padoan la BCE sta mettendo in campo una serie di interventi per aumentare l’inflazione e se questi interventi non saranno sufficienti la banca centrale dovrebbe essere «pronta a fare di più», cioè a mettere in campo «misure non convenzionali». Si tratta, semplificando, della possibilità che la BCE immetta molta più liquidità – cioè denaro – nel sistema dell’economia europea, iniziando per esempio programmi per acquistare titoli di stato o obbligazioni di società private: programmi simili a quelli messi in piedi da altre banche centrali, come quella del Giappone e quella degli Stati Uniti. La BCE negli ultimi anni ha acquistato moltissimi titoli di stato, contribuendo in modo decisivo al ritorno alla normalità dei cosiddetti spread, i differenziali di rendimento tra i titoli di diversi paesi; ma le ipotesi di interventi più significativi si sono sempre scontrate con la posizione contraria della Germania.

Padoan ha detto anche che all’Italia servono almeno altri due anni per approvare alcune importanti riforme economiche e cominciare a vederne gli effetti. Padoan ha ammesso: «Forse il percorso delle riforme in Italia non è stato finora brillante ma il governo attuale è diverso dagli altri». Poi ha detto che comunque ci sono diverse riforme in lavorazione: «Sono più che sicuro che le riforme che stiamo mettendo in campo porteranno benefici nel medio termine, ovvero nei prossimi due anni».

A proposito di riforme, Repubblica in questi giorni ha pubblicato diversi retroscena secondo cui sarebbe in corso una “trattativa segreta” tra il governo italiano e il futuro commissario europeo Jean-Claude Juncker per allentare alcuni parametri di bilancio europei. Secondo il quotidiano, sarebbe in discussione in particolare il deficit di bilancio strutturale, un parametro che indica quanto il governo spende in più di quanto guadagna – un dato che andrebbe “aggiustato”, tramite dei conti statistici, tenendo conto della situazione economica.

Si tratta, in altre parole, della famosa “flessibilità”: cioè la possibilità che i vari vincoli europei, tra cui quelli del famoso trattato Fiscal Compact, siano interpretati con minore severità. Secondo Repubblica, se la richiesta di mantenere il deficit strutturale entro lo 0,5 per cento venisse allentata di 0,25 punti percentuali, l’Italia potrebbe liberare circa 4 miliardi da poter spendere. A proposito di questa “trattativa segreta”, la Commissione Europea ha dichiarato: «Non commentiamo questa congettura. Lo stato delle finanze pubbliche sarà analizzato in autunno».

Non è la prima volta che il governo italiano parla della possibilità di “scambiare” le riforme con una maggiore flessibilità: si tratta di un tema che il governo di Matteo Renzi ripropone dalla sua nascita a cui anche il governo di Enrico Letta aveva accennato (è un argomento che ritorna così spesso che l’analista finanziario Mario Seminerio, uno dei principali blogger economici italiani, ci ha scherzato su). Se ne era parlato per esempio lo scorso luglio, quando la possibilità di ottenere “flessibilità” non era mirata al “deficit strutturale”, ma al cofinanziamento da parte del governo italiano dei fondi europei.