Le foto di Roman Vishniac, ad Amsterdam

Raccontò la vita delle famiglie ebree nell'Europa dell'Est degli anni Trenta, poco prima dell'Olocausto, e poi quella dei profughi e sopravvissuti nel Dopoguerra

Bambini ebrei a Mukacevo, nell'attuale Ucraina, 1935– 38. 
© Mara Vishniac Kohn, courtesy International Center of Photography.
Bambini ebrei a Mukacevo, nell'attuale Ucraina, 1935– 38. © Mara Vishniac Kohn, courtesy International Center of Photography.

Fino al 24 agosto sarà allestita allo Joods Historisch Museum di Amsterdam, nei Paesi Bassi, la mostra Roman Vishniac (re)discovered, che espone opere inedite e poco conosciute dell’importante fotografo Roman Vishniac, famoso per aver raccontato la vita degli ebrei tedeschi e dell’Europa orientale dagli anni Trenta fino al Dopoguerra.

Roman Vishniac nacque nel 1897 a Leningrado (oggi San Pietroburgo) in una ricca famiglia ebraica che nel 1920 si era trasferita in Germania. Iniziò da subito a fotografare la vita nelle strade di Berlino e poi l’ascesa del nazismo, sperimentando nel corso degli anni Venti e Trenta nuovi approcci compositivi. Tra il 1935 e 1938 fu incaricato dall’American Joint Distribution Committee (JDC), il più importante ente umanitario ebraico dell’epoca, di documentare la vita nelle città e nei ghetti delle famiglie ebree dell’Europa centrale e orientale. Vishniac lavorò soprattutto con due macchine fotografiche, una Rolleiflex e una Leica, e raccolse moltissime immagini che raccontano la vita – quasi in sospeso – nei quartieri e nelle strade poco prima dell’Olocausto, e che furono utilizzate anche da Steven Spielberg per girare Schindler’s List.

Essere ebreo in Germania negli anni Trenta significava correre un grande rischio, e conservare centinaia di negativi del genere non era certamente un’operazione facile. Vishniac incaricò un amico, Walter Bierer, di salvare i negativi e portarli fuori dall’Europa perché non venissero distrutti. Venne detenuto nel campo di concentramento Camp Du Ruchard, in Francia, finché riuscì a ottenere un visto per gli Stati Uniti, dove si trasferì nel 1941. Aprì uno studio a New York e riuscì a recuperare le immagini scattate in Europa, dove tornò nuovamente nel 1947 per raccontare la vita dei profughi ebrei, le rovine di Berlino e il tentativo dei sopravvissuti all’Olocausto di ricostruire in qualche modo le loro vite.

La mostra è stata curata da Maya Benton, storica dell’arte che lavora con la famiglia Vishniac dal 2001, ed esposta per la prima volta all’International Center of Photography di New York nel 2013. Oltre alle fotografie scattate per lo JDC, per cui è più famoso, raccoglie anche lavori meno conosciuti e in alcuni casi inediti, realizzati in Francia, Stati Uniti e Paesi Bassi. L’archivio con le fotografie di Roman Vishniac è conservato nell’ICP ed è disponibile interamente online.

Roman Vishniac con la sua Rolleiflex, fotografato tra il 1935-1938 da un fotografo non identificato.

Roman Vishniac con la sua Rolleiflex, fotografato tra il 1935-1938 da un fotografo non identificato.