Un social network di cui non avete mai sentito parlare

In borsa vale 6 miliardi di dollari, ma ha un solo dipendente e nel 2013 non ha prodotto nemmeno un dollaro di ricavo: probabilmente è soltanto una truffa geniale

Negli ultimi decenni raccogliere capitali per finanziarie idee coraggiose è diventato molto più semplice che in passato. Società di informatica fondate in un garage da un paio di ragazzi sono riuscite a diventare multinazionali miliardarie. Progetti creati da studenti un po’ nerd si sono quotati in borsa con valori da record. Più recentemente, anche alcune idee piuttosto improbabili hanno trovato finanziatori, come ad esempio applicazioni che servono soltanto a inviare degli “yo” agli amici oppure progetti per creare un’insalata di patate. Nell’ultima settimana questo trend sembra aver raggiunto nuovi livelli.

Cynk, la compagnia dietro il social network “Introbuzz” (o Introbizz o Introbiz, ci arriviamo), nell’ultimo mese ha visto le sue quotazioni crescere di 24 mila volte. Venerdì scorso il valore delle sue azioni ha toccato i sei miliardi di dollari. Per fare un paragone, il New York Times vale soltanto poco più di due miliardi di dollari. Praticamente nessuno ha mai sentito parlare di Cynk e di Introbuzz: non si tratta dell’ultima imperdibile moda di internet, ma con ogni probabilità di una truffa geniale che è sfuggita di mano ai suoi creatori. Cynk ha soltanto un dipendente e nel 2013 ha perso più di un milione di dollari, senza produrre nemmeno un dollaro di ricavi.

Partiamo dall’inizio: il Wall Street Journal ha provato a ricostruire la storia di questa bizzarra società. Cynk è stata fondata il primo maggio del 2008 e, come è scritto nel suo business plan piuttosto confuso, ha lo scopo di creare un nuovo tipo di social network in cui gli iscritti pagano per avere accesso al profilo di persone che gli interessano. Non è chiaro perché qualcuno dovrebbe essere disposto a pagare e in realtà non è sicuro nemmeno il nome di questo ipotetico social network. Nei documenti viene chiamato alternativamente Introbuzz o Introbizz. L’idea, probabilmente, è destinata a fallire, ma non è molto importante. Introbuzz avrebbe dovuto essere lanciato nel corso del 2012, ma per il momento esiste soltanto un sito (Introbiz.com) che non sembra essere particolarmente attivo.

Dal 2008 ad oggi, Cynk ha avuto più o meno cinque amministratori delegati (come molte altre cose il numero esatto non è chiaro). L’ultimo che si trova nominato nei documenti della società non sembra proprio un tipo alla Steve Jobs e tanto meno alla Mark Zuckerberg. Si chiama Marlon Luis Sanchez e – a parte essere l’amministratore e unico dipendente della Cynk – è anche il portavoce dell’Associazione per il turismo medico di Tijuana, una città messicana molto vicina al confine con gli Stati Uniti dove molti americani vanno per curarsi a prezzi molto bassi. Il WSJ è riuscito a mettersi in contatto con Sanchez che ha detto di non essere più l’amministratore della società da diversi mesi: «Ho fatto le mie magie per quasi un anno, amico mio, e ora puoi vedere i risultati».

I “risultati”, probabilmente, sono gli incredibili rialzi che ha avuto il titolo in queste ultime settimane. Cynk non è quotata sui principali listini della borsa americana, visto che alla società mancano quasi tutti i requisiti minimi per essere considerata seria ed affidabile. È quotata sui listini over-the-counter, o OTC, che sono in sostanza una specie di far west finanziario dove, semplificando, ci si può “quotare” con requisiti minimi e senza che nessuno faccia troppe domande e che, come ha scritto il WSJ in un altro articolo, sono listini in genere pieni di truffe.

Cynk sembrerebbe appartenere proprio a questa categoria. Quasi tutto nella società sembra sospetto, a partire dal confuso e contraddittorio business plan. Ad esempio, il WSJ è riuscito a scoprire chi in teoria dovrebbe essere il successore di Sanchez. Il giornale ha rintracciato una lettera in cui viene nominato amministratore un certo Javier Romero, rappresentato dall’avvocato Harold P. Gerweter. Gerweter oggi sostiene di non rappresentare più la società e come indirizzo di Romero ha fornito la “Suite 400” del business center di Belize City, in Belize, piccolo stato dell’America Centrale. Le indagini del giornale a questo punto si sono quasi bloccate: un impiegato del business central ha spiegato che non esiste nessuna suite 400.

Alcuni elementi di questa vicenda hanno cominciato a chiarirsi quando il WSJ è riuscito a raggiungere uno dei vecchi amministratori della società, un certo Kenneth Carter, che ha spiegato l’inizio della storia della Cynk. A quanto pare, qualche anno fa Carter stava davvero cercando investitori per sviluppare il suo social network. Riuscì anche a raccogliere alcuni investitori, ma questi, ha raccontato, portarono la compagnia in una “direzione differente”. Carter, su consiglio di un avvocato, si liberò delle azioni che possedeva e abbandonò il progetto. La “direzione differente”, probabilmente, non era molto legale e aveva qualcosa a che fare con il valore a cui è schizzato il titolo della compagnia in queste settimane.

Il WSJ non è arrivato a ipotizzare apertamente che dietro a tutto possa esserci una truffa, ma ha indicato che il sito di analisti finanziari Seekingalpha potrebbe avere la soluzione a questo mistero. L’analista finanziario Paul Santos ha definito questo meccanismo una truffa “davvero creativa”. Ecco come funziona secondo lui: la Cynk è completamente in mano a un piccolo gruppo di investitori che sono tutti d’accordo su come portare avanti la truffa. Questi investitori cominciano a vendersi l’uno con l’altro le loro stesse azioni facendole lentamente salire di valore fino a che il valore della società non sembra assurdo ed esagerato a chiunque ci metta sopra gli occhi. A quel punto “liberano” alcune azioni per renderle disponibili a una vendita allo scoperto.

Qui bisogna aprire una piccola parentesi per spiegare cosa sono le vendite allo scoperto. Si tratta di un modo per “scommettere” sul fatto che un certo titolo calerà di valore nell’immediato futuro. Per vendere allo scoperto bisogna “prendere in prestito” un titolo da qualcuno che lo possiede (e, naturalmente, pagare una specie di “affitto” per tenere il titolo nel proprio portafoglio). Il venditore allo scoperto a quel punto vende il titolo che ha preso in prestito al prezzo che ritiene sopravvalutato. Se la sua scommessa ha successo, nei giorni (o nelle ore) successive il titolo calerà di valore. A quel punto potrà ricomprarlo a un prezzo più basso e restituirlo a chi glielo ha prestato, guadagnando sulla differenza tra i due prezzi che ha pagato all’inizio e alla fine.

Secondo Santos, gli azionisti di Cynk hanno sfruttato questo meccanismo portando artificialmente in alto il valore della società e poi offrendo in prestito alcune azioni. Qualcuno deve aver notato che la società era evidentamente sopravvalutata e deve aver pensato che potesse essere una buona occasione per fare una vendita allo scoperto. Acchiappato il pollo, però, gli azionisti hanno subito smesso di prestare azioni e hanno ricominciato a vendersele uno con l’altro facendo crescere nuovamente il valore del titolo. Chi sta tentando la vendita allo scoperto a questo punto si sta trovando in una situazione difficile. Può cercare di uscire, accettando la perdita e comprando un titolo al prezzo maggiorato e restituendolo a chi glielo ha prestato (che è sempre uno degli azionisti di Cynk). Oppure, se crede davvero che la società sia sopravvalutata, può tenersi il titolo in portafoglio aspettando il crollo del suo valore.

Il prestito non è gratuito: bisogna pagare una specie di affitto. Santos ha notato che nelle ultime settimane il prezzo di questo affitto – deciso dagli azionisti di Cynk – è salito moltissimo, proprio in concomitanza con i picchi del titolo. In altre parole, chi ha tentato la vendita allo scoperto non ha possibilità di vincere. Se rivende subito il titolo accetta una perdita. Se decide di aspettare il crollo della società si trova costretto a pagare un “affitto” del titolo abbastanza alto da cancellare ogni eventuale guadagno che potrebbe ottenere quando la società dovesse crollare.

La conclusione di Santos è che si tratta di una truffa molto astuta ed elaborata, che forse è uscita un po’ dal controllo dei suoi autori, attirando le attenzioni di alcuni dei principali quotidiani finanziari mondiali. Ma per quanto ora quasi tutti gli investitori siano stati messi in guardia, è probabile che a meno di un intervento della SEC (l’autorità che regola la borsa degli Stati Uniti, simile alla nostra CONSOB) gli autori riusciranno a farla franca e a guadagnarci parecchio.