Cosa si sono detti PD e M5S

Matteo Renzi e i rappresentanti del M5S si sono incontrati, cordialmente, per discutere le loro idee sulla legge elettorale: difficilmente però si arriverà a qualcosa di concreto

I rappresentanti del Movimento 5 Stelle hanno incontrato il segretario del Partito Democratico e presidente del Consiglio, Matteo Renzi, per confrontarsi sulla nuova legge elettorale e sulle riforme istituzionali. L’incontro è avvenuto nella sala della Commissione Esteri di Montecitorio ed è stato trasmesso in streaming, come era stato proposto nei giorni scorsi dal PD. Per il M5S erano presenti, tra gli altri, il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio e Danilo Toninelli, vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali e tra i firmatari della proposta di legge elettorale del Movimento.

Durante l’incontro, tutto sommato cordiale e più costruttivo di quello tra Renzi e Beppe Grillo dello scorso febbraio, Di Maio ha spiegato che il M5S è disponibile a discutere di possibili modifiche e integrazioni per quanto riguarda la legge elettorale, a patto che si tengano in considerazione le proposte contenute nella bozza della legge del Movimento, decisa dopo una lunga consultazione online.

Parlando della proposta di Toninelli, Renzi ha detto di avere trovato diverse cose che non funzionano e ha posto una serie di richieste e condizioni al M5S. Ha chiesto se il Movimento sia disposto o meno ad accettare correttivi per fare in modo di “permettere a chi vince di governare”, con un risultato chiaro subito dopo le elezioni. Su questo tema, ha detto Renzi, si è innestato quello del “mai più inciuci” e quindi mai più larghe intese decise dopo il voto: i partiti che si vogliono alleare devono comunicarlo prima delle elezioni, e non dopo. La proposta del M5S prevede però che si possano trovare accordi dopo il voto e su questo si è discusso molto, senza raggiungere un’intesa. Renzi ha spiegato che i collegi previsti dal M5S sono troppo grandi e che il meccanismo che viene proposto delle preferenze negative, cioè la possibilità per l’elettore di togliere il nome di un candidato per inserirne un altro, complica il meccanismo elettorale e potrebbe incentivare ulteriormente il fenomeno del voto di scambio.

Renzi ha concluso proponendo al M5S che la nuova legge elettorale sia comunque sottoposta a un giudizio preventivo da parte della Corte Costituzionale per evitare che ci possano essere problemi dopo la sua approvazione, come avvenuto con l’attuale legge, il cosiddetto “porcellum”. Infine ha chiesto la disponibilità del M5S a confrontarsi anche sugli altri temi delle riforme, a partire da quella del Senato e del Titolo V, la parte della Costituzione che contiene le regole fondamentali per le amministrazioni regionali e locali. Il M5S ha dato la propria disponibilità, ricordando che comunque le decisioni in tema dovranno passare attraverso una serie di consultazioni interne e con il suo elettorato.

Nei prossimi giorni il Partito Democratico pubblicherà sul suo sito una serie di punti, con proposte e richieste al M5S, sulle quali ci potrà essere un ulteriore confronto. L’impressione è che difficilmente si potrà arrivare a qualcosa di concreto, considerate le forti differenze tra le due proposte di legge elettorale. Le ultime dichiarazioni del Movimento 5 Stelle al ddl Boschi sulle riforme, definito una “porcata”, accompagnate dai consueti insulti sessisti contro il ministro sulla pagina Facebook di Grillo, sembrano complicare ancora di più la situazione.

Come si è arrivati fin qui
L’incontro di oggi era stato chiesto domenica 15 giugno da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio in un lungo post pubblicato sul loro blog in cui si invitava il presidente del Consiglio Matteo Renzi ad un confronto sulla riforma delle legge elettorale. Si elencavano anche le motivazioni di questa proposta di collaborazione che consistevano sostanzialmente nel fatto che il Partito Democratico aveva ottenuto quasi il 41 per cento alle elezioni europee e che aveva in qualche modo ottenuto la legittimità per governare.

Le due proposte di riforma elettorale
Il post sul blog di Grillo continuava spiegando che il M5S era pronto a collaborare a patto che si partisse dalla proposta elaborata e votata nei mesi scorsi sul blog di Grillo e che consiste in un sistema proporzionale corretto con la suddivisione dell’Italia in 42 circoscrizioni, con una soglia di sbarramento intorno al 5 per cento, diversa nelle varie circoscrizioni sulla base della loro grandezza. Prevede inoltre che nessun candidato si possa presentare in più circoscrizioni e che sia possibile una sorta di voto disgiunto, per esprimere la preferenza per un candidato non presente nella lista del partito votato.

La proposta è però molto diversa da quella su cui discutono da mesi PD, Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, il cosiddetto “Italicum” che è già stato approvato alla Camera lo scorso marzo ed è ora in attesa di essere discusso in Senato. In breve: si tratta di un sistema valido solo per la Camera in cui i seggi sono attribuiti su base nazionale, senza preferenze, sulla base di oltre cento collegi, nei quali ogni partito o coalizione presenta una breve lista di candidati. Prevede un premio di maggioranza, ma solo per la coalizione o il partito non coalizzato che ha ottenuto almeno il 37 per cento dei voti. Nel caso in cui nessun partito o coalizione arrivi oltre questa soglia, è previsto un ballottaggio tra i due partiti o coalizioni che hanno ottenuto la maggiore percentuale di voti su base nazionale. Chi vince il ballottaggio ottiene il 53 per cento dei seggi, mentre gli altri seggi sono attribuiti proporzionalmente alle restanti forze politiche (con un sistema di sbarramenti per tenere fuori le forze politiche più piccole: il 12 per cento per le coalizioni di partiti, il 4,5 per cento per i singoli partiti che le costituiscono e l’8 per cento per i partiti che si presentano da soli).