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  • Domenica 11 maggio 2014

Il referendum a Donetsk e Luhansk

Si è votato nell'Ucraina orientale per decidere il futuro status di due regioni: i separatisti filorussi dicono di avere stravinto, ma non ci sono conferme indipendenti

An elderly woman leaves a polling booth at a polling station in the center of Slovyansk, eastern Ukraine, Sunday, May 11, 2014. Residents of two restive regions in eastern Ukraine engulfed by a pro-Russian insurgency are casting ballots in contentious and hastily organized independence referenda. Sunday's ballots seek approval for declaring so-called sovereign people's republics in the Donetsk and Luhansk regions, where rebels have seized government buildings and clashed with police and Ukrainian troops. (AP Photo/Darko Vojinovic)
An elderly woman leaves a polling booth at a polling station in the center of Slovyansk, eastern Ukraine, Sunday, May 11, 2014. Residents of two restive regions in eastern Ukraine engulfed by a pro-Russian insurgency are casting ballots in contentious and hastily organized independence referenda. Sunday's ballots seek approval for declaring so-called sovereign people's republics in the Donetsk and Luhansk regions, where rebels have seized government buildings and clashed with police and Ukrainian troops. (AP Photo/Darko Vojinovic)

Domenica 11 maggio, in due regioni dell’Ucraina orientale – Donetsk e Luhansk – si è tenuto un referendum per stabilire il grado di approvazione delle autoproclamate Repubbliche Popolari locali – filorusse e contrarie all’attuale governo centrale di Kiev – tra gli abitanti delle due zone: sulla scheda del referendum c’era solo una domanda, scritta sia in ucraino che in russo: «Sostieni lo stato autoproclamato della Repubblica Popolare di Donetsk/Repubblica Popolare di Luhansk?». Secondo i separatisti filo-russi, l’affluenza è stata molto alta – oltre il 70 per cento – e il 90 per cento delle persone hanno votato sì. Il governo di Kiev, che ha perso il controllo della regione alcune settimane fa, sostiene invece che due terzi degli abitanti non siano andati a votare. Secondo i corrispondenti della BBC che si trovano in Ucraina orientale, le procedure di voto si sono svolte in maniera caotica: soltanto pochi seggi avevano dei registri elettorali ed è stato molto facile votare più di una volta.

Il referendum, che non è stato riconosciuto legalmente né dal governo di Kiev né dall’Occidente, si è svolto in un clima molto teso. Nei giorni scorsi ci sono stati scontri tra miliziani filorussi e militari ucraini in diverse città dell’Ucraina orientale: i più gravi sono stati quelli di Mariupol, in cui sono morte diverse persone (il governo di Kiev ha detto “oltre 20”, ma il numero confermato da fonti mediche per ora è inferiore). Diversi giornalisti hanno raccontato di alcuni scontri nella notte tra venerdì e sabato a Sloviansk, la città considerata da settimane il centro del separatismo filorusso. Domenica ci sarebbero stati scontri anche a Krasnoarmeysk, dove sarebbe morto un manifestante filorusso, ma le notizie sono ancora parziali.

Nonostante il referendum, nessuno è riuscito a dire con certezza che succederà ora. Il motivo è che gli stessi separatisti non sembrano riuscire ad accordarsi del tutto su come vogliono che siano i rapporti con la Russia e con l’Ucraina: per il momento si sono limitati a dire di non volere un’Ucraina come è ora, e soprattutto come uscirà dalle elezioni presidenziali fissate per il prossime 25 maggio. Non sono nemmeno chiare le intenzioni della Russia riguardo la possibilità di annettere le due regioni ucraine – pubblicamente il governo di Mosca ha negato di essere interessato a un’annessione.

 

Non ci sono osservatori internazionali a monitorare lo svolgimento delle elezioni: organizzazione e controllo di eventuali irregolarità sono completamente nelle mani degli organizzatori, cioè dei filorussi. Come mostrano alcune foto scattate da giornalisti sul posto, le urne usate per mettere le schede dentro sono trasparenti – come era già successo per il referendum in Crimea. Inoltre nei giorni scorsi diversi giornalisti hanno twittato foto di schede elettorali già segnate con la croce sul “sì”: è difficile verificarne l’autenticità, ma tutti questi elementi messi insieme fanno per lo meno dubitare della regolarità e trasparenza del referendum.

Il presidente ad interim dell’Ucraina, Oleksandr Turchynov, ha definito il referendum come un atto di “auto-distruzione”. Sul sito della presidenza ha scritto: «Si tratta di un passo verso l’abisso per queste regioni. Quelli che sono a favore dell’indipendenza non capiscono che realizzarla può portare a una totale distruzione dell’economia, dei programmi sociali, e anche della vita della maggior parte delle persone che abitano queste zone». Il governo ha ribadito il suo impegno a presentare un piano di decentralizzazione per dare ulteriori poteri alle regioni dell’Ucraina (che già oggi hanno diverse competenze).

Secondo il Wall Street Journal, il governo di Kiev potrebbe decidere di permettere ai filorussi di dichiarare la separazione de facto dal resto dell’Ucraina, anche senza riconoscere formalmente l’esito del referendum. Una situazione del genere potrebbe però creare diverse difficoltà alla Repubblica Democratica di Donetsk indipendente: la regione di Donetsk, infatti, è particolarmente dipendente dalle esportazioni, e l’isolamento internazionale derivante da una potenziale secessione potrebbe causare danni molto seri all’economia.