Il record del tasso di disoccupazione

Cosa significa il dato annunciato ieri (8mila disoccupati in più in un mese) e come contestualizzarlo

Martedì primo aprile l’Istat ha pubblicato i dati mensili su occupazione e disoccupazione. I giornali se ne sono occupati molto (anche quelli stranieri) e in particolare si sono concentrati sul livello “record” raggiunto dal tasso di disoccupazione: 13 per cento, in aumento dello 0,2 per cento rispetto a gennaio (in numeri assoluti significa 8 mila disoccupati in più). Si tratta del valore più alto dal gennaio 2004, quando l’ISTAT ha cominciato a pubblicare i dati mensili sulla disoccupazione. All’epoca il tasso di disoccupazione era dell’8,4 per cento.

In realtà sono oramai diversi anni che la disoccupazione quasi ogni mese raggiunge un nuovo record. Nell’agosto del 2011 fu dell’8,5 per cento e da allora non è mai calata sotto quel livello. Tecnicamente, quindi, ogni singolo mese dall’agosto 2011 ad oggi ha visto un tasso record di disoccupazione. Già un mese fa, infatti, diverse prime pagine di giornali italiani parlavano del “tasso record” di disoccupazione (come avevamo scritto qui).

Si può comunque dire che l’attuale tasso di disoccupazione mensile sia il più alto di sempre, ma questi dati andrebbero maneggiati con prudenza. Come abbiamo visto, infatti, i dati mensili vengono pubblicati soltanto da 10 anni. Utilizzando i dati sul tasso di disoccupazione trimestrale è possibile risalire fino al 1992, quando il tasso di disoccupazione era al 8,8 per cento (qui trovate la tabella ISTAT con tutti i dati). Fare un paragone tra il dato mensile di oggi e quello trimestrale di 22 anni fa, però, è un po’ come paragonare pere e mele.

I dati trimestrali, infatti, come dice il nome stesso riguardano un periodo di tre mesi che solo approssimativamente può essere messo a confronto con un dato che riguarda un mese soltanto (come è il caso dei dati di cui si parla oggi). Inoltre i dati trimestrali sono sottoposti a un processo statistico chiamato “destagionalizzazione” con il quale vengono “depurati” della componente stagionale. La disoccupazione, infatti, varia in maniera naturale nel corso dell’anno perché in alcuni periodi (soprattutto l’estate e nei periodi di feste) parte della disoccupazione viene assorbita dalla domanda di lavoratori stagionali. Volendo fare un confronto con il passato, quindi, è meglio usare l’ultimo dato trimestrale che abbiamo a disposizione, cioè quello del quarto trimestre 2013, quando il tasso di disoccupazione è arrivato al 12,6 per cento.

Un dato che va ancora più indietro nel tempo è quello del tasso di disoccupazione annuale. Per questo dato l’ISTAT ha ricostruito l’andamento fino dal 1977. Anche per questi dati vale lo stesso discorso di poco sopra. Paragonare dati annuali con dati mensili non è proprio corretto. In ogni caso, anche per quanto riguarda questo confronto, il record è stato raggiunto nel corso del 2013, quando il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,2 per cento, superiore al precedente record dell’11,3 raggiunto nel 1998.

Un altro numero che interessa spesso i giornali è quello della disoccupazione giovanile che a febbraio è diminuita dello 0,1 per cento rispetto a gennaio. Dopo anni di errori di esposizione da parte di politici, giornalisti ed opinionisti, l’ISTAT ha sostanzialmente modificato il modo con cui comunica questo dato:

L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,3%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 0,5 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,3%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 3,6 punti nel confronto tendenziale.

Come potete vedere, l’ISTAT comunica prima la percentuale di disoccupati sul totale dei giovani e soltanto dopo ricorda il tasso di disoccupazione. Questi due numeri (11,3 per cento e 42,3 per cento) sono così diversi perché il tasso di disoccupazione si calcola sul totale dei giovani attivi (cioè di quelli che lavorano più quelli si impegnano attivamente a cercare lavoro). Sono esclusi tutti dal conto quei giovani che studiano o che per qualsiasi motivo non cercano lavoro. È sbagliata quindi l’affermazione “quasi un giovane su due è disoccupato”. Come si capisce chiaramente da quanto ha scritto l’ISTAT, è disoccupato un giovane su dieci.

L’altro dato che l’ISTAT comunica mensilmente e che in genere viene ignorato dai giornali è quello sul numero di occupati (che nel comunicato viene inserito molto spesso per primo, anche se questo non aumenta l’interesse dei giornalisti). Il numero assoluto degli occupati è diminuito leggermente, ma il tasso è rimasto stabile al 55,2 per cento. A gennaio era al 55,3 per cento, stabile rispetto a dicembre. Per avere un’idea più precisa dell’andamento del tasso di occupazione in quest’ultimo periodo, probabilmente bisognerà aspettare i dati trimestrali destagionalizzati che usciranno nei prossimi mesi.

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