Tracy Chapman ha 50 anni

E tutti la conoscono almeno per quelle tre canzoni lì, anche se poi ne ha fatte altre, e alcune belle pure

Domenica 30 marzo 2014 compie 50 anni Tracy Chapman, una delle cantanti afroamericane dalla voce più facilmente riconoscibile. Tutti quelli che sanno chi è la conoscono per almeno tre canzoni stranote, e forse sono in tanti pure quelli che conoscono quelle tre canzoni – tanto furono popolari, tutte del 1988 – senza sapere chi è che le ha cantate. Il peraltro direttore del Post, Luca Sofri, ne scelse sei per il suo libro Playlist, la musica è cambiata. Il disco più recente di Tracy Chapman è Our Bright Future, del 2008.

Tracy Chapman
(1964, Cleveland, Ohio)
Non si ricordavano molte cantautrici nere di successo prima di lei, se non nei generi consueti della black music. Faceva un folkrock suo, veniva da Cleveland, Ohio, e nel 1988 il primo disco sfondò grazie alla sua voce, alla chitarra e a testi duri e appassionati. Dopo, non ci riuscì mai più, anche se anni più tardi le è di nuovo uscita dal cappello qualche bella canzone.

Talkin’ bout a revolution
(Tracy Chapman, 1988)
Si parla di una rivoluzione, si rovesceranno i tavoli e la povera gente si ribellerà e si prenderà quello che è suo. E noialtri faremmo bene a scappare finché siamo in tempo. Sono passati quasi vent’anni, e ancora niente, però.

Fast car
(Tracy Chapman, 1988)
Storia di alcolismo e traumi familiari che si ripetono, in cui la macchina veloce serve prima a scappare con un nuovo amore dal padre troppo attaccato alla bottiglia, e poi a suggerire al nuovo amore – diventato padre dei suoi figli e bevitore anche lui – di andarsene lontano: “take your fast car and keep on drivin’”.

Baby can I hold you
(Tracy Chapman, 1988)
In un disco di protesta e ribellione, la cosa che però le venne meglio è una bellissima ballata d’amore: per quanto un amore faticoso, in cui dire “scusami”, o “ti amo” è difficilissimo. Ottenne un nuovo successo anni dopo, con la melensa cover di una qualche boyband.

Goodbye
(Let it rain, 2002)
Stupenda e cullante analisi semantica di una parola, di quel che significa per te, di quel che significa per me, “una parola che ferma il tempo e se lo porta via”: goodbye.

I am yours
(Let it rain, 2002)
“Quando un’incomprensione mac-
chia d’odio il mio amore, io sono tua, se tu sei mio”: amore lucido e condizionato. E una gran ballata di chitarra, dolce dolce. Il disco fu prodotto da John Parish, uno dei migliori musicisti ignoti in circolazione (veniva dall’aver lavorato ai disco degli Sparklehorse e degli Eels).

Be and be not afraid
(Where you live, 2005)
Sugli accidenti, il caso, le occasioni che regolano le cose della vita, e sull’aver paura o no del paradiso. Lenta, sonnolenta, con una ninnananna di armonica nel mezzo.