• Libri
  • Martedì 25 marzo 2014

A Londra si vive peggio, ma si sta meglio

Lo dice Caterina Soffici, giornalista italiana che si è ambientata a Londra, nel suo libro Italia yes Italia no

LONDON, UNITED KINGDOM - JANUARY 07: An aeroplane passes rain clouds above The Shard skyscraper on January 7, 2014 in London, England. Over 100 areas of the UK have been warned by the Environment Agency that they are at risk of flooding as a prolonged period of heavy rainfall continues to affect much of the country. (Photo by Oli Scarff/Getty Images)
LONDON, UNITED KINGDOM - JANUARY 07: An aeroplane passes rain clouds above The Shard skyscraper on January 7, 2014 in London, England. Over 100 areas of the UK have been warned by the Environment Agency that they are at risk of flooding as a prolonged period of heavy rainfall continues to affect much of the country. (Photo by Oli Scarff/Getty Images)

Feltrinelli ha pubblicato Italia yes Italia no di Caterina Soffici, giornalista e scrittrice. Dopo Ma le donne no, in cui analizzava la diffusione del maschilismo in Italia, in questo libro Soffici racconta la sua scelta di andare a vivere a Londra – in un tempo in cui vivere e lavorare all’estero è di nuovo una consuetudine molto attuale – ed esamina le differenze fra l’Italia e la Gran Bretagna, concludendo che, pur rimpiangendo molte cose dell’Italia, a Londra ha trovato “la banalità della normalità”. Il libro sarà presentato nelle librerie Feltrinelli di Milano il 25 marzo, di Roma il 26 marzo e di Firenze il 27 marzo.

***

Adoro la posta spazzatura. Pura follia, lo so. Ma che ci posso fare? Quando vi racconterò le mie ragioni, sarete un po’ più indulgenti. Al posto della cassetta delle lettere esterna, le case inglesi hanno una fessura nella porta e uno sportellino chiuso da una molla Fa un rumore secco tutte le volte che qualcuno imbuca. Clac. Ogni giorno ne trovo una manciata per terra, nell’ingresso. Non basta apporre il cartello “No junk mail” per evitare l’inondazione di foglietti e pubblicità. Riversare messaggi e opuscoli di ogni tipo dentro questa fessura è uno degli sport nazionali più praticati. Se rientri dopo una settimana di assenza ce ne sono così tanti per terra che la porta si incastra. Clac. Clac. Clac.
La maggior parte delle persone non la sopporta. Li capisco, ma voi dovete capire anche me. Io sono passata dal fastidio alla curiosità. E dalla curiosità a una vera passione. Prima cestinavo tutto senza neanche guardare. Poi ho iniziato a spulciare e ora non me ne lascio sfuggire uno. Perché questi foglietti sono una vera finestra sulla vita del quartiere. E siccome a Londra si vive per quartieri, sono una finestra sul tuo mondo. Cibi etnici, dog sitter, lavanderie, pizzerie a domicilio, minicab, pulitori di tende, vetri e carpet cleaners (ebbene sì, anche gli inglesi lavano la moquette, ogni tanto), lezioni serali di ballo. Niente sfugge a noi raccoglitori di junk mail. Alcuni sono autentici inni alla creatività, delle chicche imperdibili. Per esempio, in che altro modo avrei potuto scoprire che tra i servizi con consegna a domicilio della zona c’è anche la possibilità di affittare un martello pneumatico a giornata (con lo sconto del 25 per cento se lo tieni per l’intero fine settimana)?
E poi la scoperta più sorprendente: anche la democrazia diretta inglese viaggia tramite junk mail. Cioè, è talmente diretta che ti arriva dentro la buca delle lettere, insieme alla pubblicità.
Noi che non buttiamo la posta spazzatura siamo informati su un sacco di cose. Il borough, che è il quartiere, comunica su tutto e il cittadino è interpellato in continuazione. Un borough di Londra è grande come un comune italiano e ha un suo sindaco e una sua propria amministrazione. Hanno deliberato di rinnovare il parco giochi? La cittadinanza è pregata di visionare il progetto online oppure si può recare direttamente presso la sede del borough per vedere i disegni e il plastico, spulciare i preventivi e le diverse soluzioni proposte. Se non ti piace e hai obiezioni ragionevoli e motivate puoi fare formale opposizione, proporre modifiche e dare suggerimenti.
Devono riordinare l’archivio della biblioteca di quartiere? Ti mandano l’avviso a casa, per preannunciare inconvenienti dal giorno tale al talaltro e al contempo per avvisare i cittadini interessati che potranno accedere al servizio presso le biblioteche più vicine, delle quali si forniscono indirizzo, orari, attività. Se gli avvisi li vuoi stampati in caratteri più grandi oppure in Braille, telefona a questo numero e il giorno seguente te li troverai in corpo 20 nella solita fessura delle lettere. Clac. Questo è l’effetto combinato della democrazia diretta e del politicamente corretto, così che anche il cieco e il vecchietto stanno al passo con quanto accade e intervengono, se vogliono. I vecchietti, come scoprirò, anche troppo.
Gli abitanti votano e decidono anche su cose che a noi sembrano assurde. Per esempio, il colore delle panchine e le piante da mettere nelle aiuole. Si protesta, si partecipa, si decide.

Nella strada dove abitavamo prima c’era anche un’associazione dei residenti. Dopo neppure una settimana dal nostro trasloco, si fanno vivi. Come? Indovinato: clac. Con una letterina imbucata nella solita fessura: “Gentili nuovi vicini, se volete associarvi sono 5 sterline l’anno. Avrete diritto a una copia dello statuto, al nostro bollettino semestrale e sarete tenuti informati sulle attività dell’associazione”. Ovviamente ho messo le 5 sterline nella busta e l’ho rispedita al mittente. Il giorno dopo è arrivata un’altra busta con lo statuto, la ricevuta del versamento e tutto l’organigramma dell’associazione, con i nomi del presidente, del tesoriere e dei vari responsabili delle attività. Compreso il responsabile dell’arredo urbano e dei fiori nelle aiuole.
L’associazione si riunisce due volte l’anno, nell’oratorio di una chiesa anglicana affittato al proposito. Come socia, e forte delle 5 sterline versate, mi presento. Una sala zeppa, tutti seduti in silenzio. Ci saranno un centinaio di persone di vario colore e nazionalità, vestite nei modi più disparati, qualcuno in tuta da ginnastica, altri in ciabatte, altri elegantissimi. Riconosco il manager in completo blu appena vomitato fuori dalla stazione della metropolitana con la massa dei pendolari di ritorno dalla City, il pachistano titolare della lavanderia, l’iracheno che ha il negozietto di dolciumi e una donna che ho già visto in giro con cani e bambini. Partecipano anche il funzionario dell’ufficio edilizia del borough e il poliziotto di quartiere, che stanno seduti dietro a un tavolo insieme a quello che credo sia il presidente dell’associazione. Si parla di pulizia delle strade, dei fiori, del pub che ha chiesto di prolungare di un’ora l’apertura – quindi a mezzanotte invece delle fatidiche undici – quando suona la tradizionale campana per l’ultimo giro di ordinazioni. Ma l’argomento caldo all’ordine del giorno è la richiesta di variazione del piano regolatore per permettere la costruzione di abbaini e aprire nuove finestre sui tetti. La discussione è accesa, per gli standard di queste latitudini. Le urla e le sceneggiate napoletane delle riunioni di condominio italiane sono un ricordo lontano. Però c’è concitazione, soprattutto fra gli anziani, per i quali l’apertura di un abbaino è la dimostrazione palpabile della dissoluzione dell’Impero britannico, fu glorioso. Se iniziamo a cedere sugli abbaini, cosa rimarrà della nostra tradizione inglese? Chi vuole intervenire alza la mano per chiedere la parola. Ognuno parla quando è il suo turno. Nessuno interrompe. La decisione sarà presa dalla commissione urbanistica, ma ciascuno ha potuto dire la sua.
Come avete capito, mi diverto un sacco a sentirli discutere. A noi amanti della posta spazzatura piace da matti mettere il naso in una riunione di quartiere come questa. Alla fine c’è un piccolo rinfresco organizzato dai cittadini. Ciascuno ha portato qualcosa. Patatine, sandwich al cetriolo, piccole tartine ripiene di carne, popcorn, olive e sottaceti. Tra un bicchiere di vino e una birra la discussione continua e qualcuno si accorge di me, volto nuovo. Una signora dai capelli bianchi e gli occhi azzurrissimi si avvicina e mi chiede se voglio aderire al Neighbourhood watch scheme, il sistema di vigilanza di quartiere.
Non saprei, temporeggio. Non so cosa sia. Lo sguardo mi casca sulle sue mani nodose. Lei se ne accorge e quasi si giustifica: lavora molto in giardino e nell’orto. Poi con orgoglio mi informa che dentro l’associazione è la responsabile del giardinaggio.
Organizzano una gara annuale per il miglior balcone, se volessi partecipare è a lei che devo rivolgermi.
E mi manderà anche il modulo per votare di che colore preferisco le petunie che saranno piantate a primavera nelle fioriere appese ai lampioni della via. Le dico che non sono proprio un pollice verde, sarei capace di far morire di sete un cactus.

Così torna all’attacco sul Neighbourhood watch scheme. È un sistema che coinvolge i cittadini di una certa area per vigilare contro furti e vandalismi nel vicinato. Non puoi agire direttamente, ma se noti qualcosa di sospetto o addirittura un crimine in atto avvisi la polizia. Le strade dove è attivo questo tipo di servizio sono segnalate da cartelli, che funzionano da deterrente, in modo che il potenziale malintenzionato sappia a cosa va incontro: dietro ogni finestra potrebbe esserci un’arzilla vecchina pronta a telefonare alla polizia. La cosa, mi racconta, è nata negli anni settanta in risposta allo stupro di una ragazzina sotto gli occhi di una dozzina di testimoni che non hanno mosso un dito. L’indignazione della gente ha portato alla formazione di questi gruppi che controllano i quartieri contro ladruncoli, spacciatori, guardoni, molestatori. Serve per la prevenzione dei crimini ma anche come servizio alla comunità. Cioè, mettiamo che una delle vecchiette del quartiere abbia subìto uno scippo e abbia perciò paura ad andare da sola alla Posta a ritirare la pensione: tu che sei nel gruppo della vigilanza di quartiere l’accompagni e la scorti. Guardo il numero di vecchiette nella sala e, nonostante il secondo bicchiere di vino a stomaco vuoto, sono ancora abbastanza lucida da riuscire a declinare l’invito. Darò un occhio se vedo potenziali stupratori in giro, ma la scorta al Bancomat la lascio volentieri ad altri cittadini più esperti.

Poi abbiamo traslocato. Nel nuovo quartiere non c’è l’associazione dei residenti. Per il resto, la situazione vecchiette e junk mail non è cambiata.
L’altra mattina ho trovato sopra il mio mucchio di junk mail colorata la facciona sorridente di due agenti della Metropolitan police (altrimenti detta Scotland Yard, dall’indirizzo del suo precedente quartier generale). Uno è bianco e l’altro è indiano, vedi mai che non si rispettino le diversità etniche. Uno indossa il turbante e l’altro il classico elmetto nero da Bobby, entrambi con la stella della polizia e il simbolo di Sua Maestà belli luccicanti. Mi domandano: “Stiamo operando bene per combattere il crimine in questa zona?”. Sono basita. Forse ho capito male. Scotland Yard chiede a me se stanno facendo bene? Abituata a ricevere dalla pubblica amministrazione e dalla polizia municipale solo grane, avvisi di pagamento e multe, un poliziotto che chiede il mio parere è qualcosa di lunare. A noi che non cestiniamo la junk mail succede anche questo.
La settimana scorsa c’è stato un incontro pubblico con le forze dell’ordine. Tema: la sicurezza. I cittadini hanno sollevato parecchie questioni e il foglietto che ho in mano è il resoconto alla popolazione. C’è scritto grosso così, in stampatello: feedback. Non solo ti chiedono il parere, ma poi ti rispondono pure. Il foglio è suddiviso in due colonne. Da una parte: “Quello che avete detto”. Dall’altra: “Quello che abbiamo fatto”. Nella prima colonna sono riportate le lamentele e le segnalazioni dei cittadini, cose del tipo: “Siamo preoccupati per l’aumento di furti e di tentativi di furto di macchine in Sterndale Road”. Oppure: “Ci sono troppi ubriachi per strada in Rockley Road”. “Siamo preoccupati per lo spaccio di droga in Minford Gardens, Sulgrave Road, Lakeside Road, Netherwood Street.” Nell’altra colonna c’è la risposta del Commissariato a ogni quesito: “Metteremo a punto un’unità di prevenzione della criminalità nelle strade interessate”. “Nuove pattuglie verranno mandate a controllare le strade dove operano gli spacciatori.” “Potenzieremo il servizio vicino ai pub e ai locali notturni e aumenteremo il controllo sui negozi che vendono alcol a chi beve per la strada.”
Il mio cinismo mediterraneo si sveglia improvvisamente. Non ci crederai, vero?, mi sussurra all’orecchio. Vorrai mica abboccare a questa buffonata? “Il tuo quartiere, la tua opinione, la nostra priorità.” Sarà il solito slogan, quanti ne abbiamo sentiti, tutte chiacchiere.
Invece no, lo fanno davvero. O almeno ci provano. La gente nei paesi civili è così abituata ad avere un controllo sui pubblici ufficiali che, se dicono che manderanno la pattuglia due volte al giorno, state certi che lo faranno. La polizia inglese opera secondo il principio della policing by consent, il che non vuol dire che ti arrestano solo se sei d’accordo. Significa mettere a disposizione dei cittadini un servizio di polizia che opera con l’approvazione della cittadinanza. L’esistenza stessa delle forze di polizia è dettata da un patto sociale con il popolo per cui a certe persone è demandato il compito di far rispettare le regole e la legge. Il poliziotto è al servizio del cittadino prima che della legge. E questo già spiega molte cose, in primo luogo perché i Bobby in genere non sono armati.
Rimanendo nel campo della sicurezza, lo scambio istituzioni-cittadini è continuo. Ci sono riunioni più formali, che si tengono nella sede del borough. Altre invece sono semplici incontri per la strada. Le chiamano Crime prevention hours. Le pattuglie di quartiere danno appuntamento alla popolazione per strada, alla tale ora del tal giorno, per raccogliere proteste, segnalazioni, reclami. Il metodo è sempre il solito: il dépliant nella buca delle lettere. “Vieni a incontrarci,” c’è scritto sull’avviso. “Hai la possibilità di ottenere consigli, di esprimere la tua opinione in merito a questioni di polizia locale e di contribuire a fare la differenza per il tuo quartiere.”

Noi raccoglitori di junk mail non ci facciamo scappare certe chicche e così alla prima occasione mi sono presentata all’incrocio delle strade indicato nel dépliant.
C’erano due poliziotti, un uomo e una donna (non si dica mai che si discrimina sessualmente), con il loro bell’elmetto, il manganello, le manette penzoloni, il giubbotto antiproiettile, il microfono della trasmittente in cui gracchia la voce dalla Centrale e la pettorina gialla fosforescente. Sembra un assetto da guerra, ma girano sempre così per la città.
I due se ne stavano lì, con le biciclette appoggiate alla ringhiera di ferro battuto tinta di nero, in attesa che la popolazione arrivasse a frotte. Sono arrivata io. Mi hanno chiesto quale fosse il mio problema. Ho spiegato che non avevo problemi, volevo solo fare conoscenza e capire come funziona questo tipo di cose. Allora mi hanno riempito di volantini per donne sole: come evitare gli scippi di notte, una statistica delle strade più a rischio, il numero di scippi mese per mese e per picco orario (non ci si salva dalla loro proverbiale mania delle classifiche e dei numeri. Si parla di scippi? Ecco la statistica area per area. Rapine? Idem. Furti in casa? Basta chiedere).
Poi mi hanno domandato se guido e così mi hanno dato un altro volantino per spiegare alle donne sole come evitare stupri e brutti incontri quando sono al volante: parcheggiare preferibilmente sotto il lampione, non aprire la portiera con il comando a distanza e non lasciare la macchina incustodita quando si va a pagare nelle stazioni di servizio perché qualcuno potrebbe intrufolarsi sul sedile posteriore per aggredirvi alle spalle. Poi mi hanno dato il volantino su come parcheggiare: in nome del buon vicinato lo spazio non va sprecato e quindi la macchina va lasciata pensando a chi arriverà dopo. “La prossima volta potresti essere tu a trovare un’auto che occupa lo spazio di due” (c’è anche la figura, nel caso la donna sola fosse così troglodita da non capire).
Alla fine sono riuscita a fargli capire che non sono una donna sola, anzi viaggio sempre con schiere di ragazzini al seguito. Allora mi hanno riempito di dépliant appositi: le strade a rischio per la presenza di spacciatori (stesse statistiche, numeri ecc.), i pericoli dell’alcol, le aree del quartiere dove operano le gang e le regole per non farsi fregare il cellulare e l’Ipod all’uscita della metropolitana (sostanzialmente non tenerli in bella vista, ma in tasca).

Fortunatamente è arrivata a salvarmi una vecchietta. Era furibonda perché il vicino mette l’immondizia in strada il giorno prima della raccolta, così le volpi urbane fanno un disastro. Dovete sapere che le volpi sono numerose come i gatti, a Londra. E sono peggio dei cani randagi, perché usano la proverbiale furbizia per racimolare cibo. Con la stessa flemma con cui spiegavano a me i segreti del parcheggio sicuro, i due agenti hanno preso nota dell’indirizzo e hanno detto all’anziana signora di non preoccuparsi, ci avrebbero pensato loro. Anche alle volpi.
Poi è arrivato un gruppo di tizi provenienti dal pub all’angolo per parlare della distesa di bottiglie di birra abbandonate sul marciapiede e sui davanzali delle finestre il venerdì e il sabato sera. Li ho lasciati nelle braccia dei due Bobby e me ne sono andata. Sono sicura che li avranno riempiti di dépliant sugli ubriachi nel weekend, le risse per strada e le percentuali di ferite di arma da taglio.
Così va la vita di quartiere. Non si discute in astratto ma in concreto. Non ti promettono di debellare il crimine nel Regno Unito, ma più semplicemente di cacciare gli spacciatori davanti alla scuola di via taldeitali. È un microintervento, quindi facilmente controllabile. Se lo spacciatore è sempre lì, alla riunione successiva il poliziotto dovrà renderne conto ai cittadini prima che al suo capo. E a giudicare dal livello di isteria dell’anziana signora, non so cosa sia peggio.

Ora, parliamoci chiaro. Se la gente in Gran Bretagna si fida e ama la sua polizia, non vuol dire che il poliziotto di quartiere sia un santo e che Scotland Yard sia un collegio di educande. Sir Robert Mark, che negli anni sessanta fu chiamato per ripulire il corpo da un sistema di corruzione definita “endemica e spregiudicata”, racconta nel suo libro di memorie che gli ispettori stringevano accordi economici con rapinatori di banche, spacciatori, magnaccia. Scriveva Sir Mark: “Avevo servito per trent’anni in polizie di provincia e anche se avevo assistito a pratiche illecite non avevo mai visto un malaffare istituzionalizzato, una cecità, un’arroganza e un pregiudizio di proporzioni lontanamente simili a quelle che alla Metropolitan police erano considerate la norma”. Quando nel 1977 andò in pensione, la fiducia della gente era in gran parte recuperata e il livello di corruzione riportato entro termini accettabili.
Nel 2011 lo scandalo “Tabloidgate” ha rimesso tutto in discussione e lo spettro della corruzione è tornato ad aleggiare quando è stato chiaro a tutto il paese che i funzionari di Scotland Yard prendevano mazzette dai giornalisti del gruppo Murdoch per dare informazioni riservate sui vip e per chiudere un occhio su comportamenti e intercettazioni illegali. Di nuovo è affiorato un sistema “endemico e spregiudicato” di corruzione che ha toccato i livelli più alti delle istituzioni, ha lambito il governo e ha fatto vacillare ancora il mito di Scotland Yard. E sui media britannici è stato di nuovo evocato uno dei programmi televisivi più popolari a cavallo degli anni sessanta, Dixon of Dock Green, un telefilm che raccontava le gesta dell’agente Dixon, un vecchio Bobby, uomo perbene, rispettabile e amichevole, modello per agenti e colleghi in una stazione di polizia immaginaria nell’East End di Londra, umano e giusto anche quando manda dietro le sbarre i cattivi.
Ma il “Tabloidgate” è stato anche un ciclone salutare perché, sull’onda delle inchieste e dell’indignazione popolare, è partita una pulizia radicale, sono stati decapitati i vertici corrotti della polizia, incarcerate e indagate decine di giornalisti. L’opinione pubblica ha avuto un gran peso nel repulisti. Anche se siamo in una monarchia, qui ti senti cittadino e non suddito. E il cittadino britannico si considera prima di tutto inglese e poi di destra o di sinistra. Questi due elementi permettono all’indignazione di non essere a intermittenza politica e secondo le convenienze di parte. Il ladro è ladro indipendentemente dal partito di provenienza e lo stesso vale per i corrotti.
Lo scandalo dei rimborsi elettorali e il “Tabloidgate” sono stati la dimostrazione che su questioni fondamentali le posizioni di un intero popolo sono assolutamente trasversali rispetto alle differenze politiche. Dal “Tabloidgate” alle cose minime, dal grandissimo al piccolissimo, il sistema funziona perché si ha ancora la capacità di indignarsi, il cittadino conta qualcosa e quando protesta c’è qualcuno che dall’altra parte ascolta e reagisce.

Noi raccoglitori di junk mail siamo anche lettori delle notizie minori di cronaca cittadina. E una notizia mi ha particolarmente colpita, perché è molto più di un episodio: è l’icona di un popolo. Siamo in Temple Fortune Road, Barnet, sobborgo nel nord-ovest di Londra. Un pulmino della polizia parcheggia con i lampeggianti blu accesi sulle strisce riservate alla fermata del bus. Il fatto attira l’attenzione dei passanti che pensano a un intervento d’emergenza, tipo una chiamata al 999, il 113 di qui. Sarà una rapina? Un furto? Un omicidio? Invece niente inseguimenti né concitazione. Uno solo dei due agenti scende con calma dalla vettura e si dirige a passo lento verso un Costa Coffee, per poi ritornare senza fretta verso il pulmino portando in mano due caffè. E fin qui non sarebbe neppure una storia. È il seguito a renderla stupefacente. Quando capiscono che non si trattava di un intervento d’emergenza ma di una pausa caffè, i passanti da incuriositi diventano scandalizzati e indignati: come hanno potuto i due insolenti poliziotti parcheggiare in un posto proibito abusando delle loro prerogative? Così uno dei passanti, il più indignato, tal Mr D., si rivolge alla polizia denunciando il grave abuso di potere.
Il fatto appare così serio da occupare un’intera pagina dell’“Evening Standard”, il giornale pomeridiano distribuito gratuitamente in metropolitana, letto da milioni di pendolari. Quindi si suppone che questi milioni di lettori siano interessati al caffè preso con i lampeggianti accesi e si indignino in egual misura. Il giornale intervista addirittura il testimone che dichiara: “Il conducente se ne stava lì seduto e si guardava intorno in modo furtivo e ho pensato che fosse un comportamento strano. Per questo ho deciso di aspettare, così ho visto l’altro che usciva da Costa portando due caffè. Ho pensato che fosse un abuso assoluto dei loro privilegi e l’ho detto a quei due. Se fossi stato io a parcheggiare in quel posto, mi sarei beccato una multa. Loro hanno bloccato il traffico fermandosi in una corsia per i bus”. Ma non finisce qui. All’indignazione verbale sono seguiti i fatti. Perché l’indignato Mr D. si è rivolto alla stazione di polizia per lamentarsi. E lì si sono subito attivati per “monitorare strettamente la situazione” e hanno dato una bella strigliata ai due agenti. L’ispettore capo ha dichiarato: “Noi incoraggiamo i nostri agenti ad avere rapporti e a servirsi nei negozi locali, ma lo devono fare nella maniera giusta. Noi siamo consapevoli che il modo nel quale i nostri poliziotti agiscono è della massima importanza e questo tipo di comportamento è inaccettabile”. La storia finisce con i due tapini ammoniti e posti sotto “stretta sorveglianza”. Nel caso dovessero azzardarsi a prendere altri caffè abusando dei loro privilegi.
Una piccola storia. Ma è dalle piccole cose che si costruisce una grande comunità, unita da quello che è il vero spirito di Londra. Hanno fatto il giro del mondo le foto di cittadini comuni con la ramazza e i sacchi neri per ripulire la città dopo i disordini nei sobborghi dell’estate 2011. Centinaia di abitanti riversatisi in strada spontaneamente: dalla corpulenta donna giamaicana che si piazza di fronte ai rivoltosi dicendo loro che non è quello il modo di protestare, ai commercianti turchi di Dalston Lane e Green Lanes che si sono messi a difesa dei loro negozi di frutta e verdura muniti di mazze da baseball spalleggiati dalla popolazione. Noi lettori di junk mail e di cronaca cittadina lo sappiamo: lo spirito di Londra è figlio della democrazia diretta e la nutre a forza di piccole storie.

(C) Giangiacomo Feltrinelli editore Milano

 (foto Oli Scarff/Getty Images)