La Camera ha approvato la legge elettorale

Con 365 favorevoli, 156 contrari e 40 astenuti: la riforma passa ora all'esame del Senato

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
12-03-2014 Roma
Politica
Camera dei Deputati - Voto finale su riforma legge elettorale
Nella foto I deputati di SeL mostrano la Costituzione durante le dischiarazioni di voto di Gennaro Migliore

Photo Roberto Monaldo / LaPresse
12-03-2014 Rome (Italy)
Chamber of Deputies - Electoral law
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Foto Roberto Monaldo / LaPresse 12-03-2014 Roma Politica Camera dei Deputati - Voto finale su riforma legge elettorale Nella foto I deputati di SeL mostrano la Costituzione durante le dischiarazioni di voto di Gennaro Migliore Photo Roberto Monaldo / LaPresse 12-03-2014 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Electoral law In the photo

La Camera dei Deputati ha approvato la riforma della legge elettorale con 365 favorevoli, 156 contrari e 40 astenuti. La legge, frutto di un accordo tra Partito Democratico e Forza Italia, e sostenuta anche dal Nuovo Centro Destra, dovrà ora passare all’esame del Senato. I deputati di Scelta Civica hanno deciso di astenersi.

La riforma di cui parliamo è il cosiddetto “Italicum”, un sistema proporzionale valido solo per la Camera in cui i seggi sono attribuiti su base nazionale, senza preferenze, sulla base di oltre cento collegi, nei quali ogni partito o coalizione presenta una breve lista di candidati. Considerato che i deputati da eleggere in Italia sono 618 (12 sono eletti all’estero con modalità invariate, quindi proporzionale con preferenze), se i collegi fossero 120, ogni collegio esprimerebbe in media 5 deputati: le liste dunque dovrebbero contenere al massimo 5 nomi. Queste stime comunque possono cambiare: la legge dà al ministero degli Interni il compito di individuare e delimitare i collegi. L’Italicum prevede un premio di maggioranza, ma solo per la coalizione o il partito non coalizzato che ha ottenuto almeno il 37 per cento dei voti. Nel caso in cui nessun partito o coalizione arrivi oltre questa soglia, è previsto un ballottaggio tra i due partiti o coalizioni che hanno ottenuto la maggiore percentuale di voti su base nazionale. Chi vince il ballottaggio ottiene il 53 per cento dei seggi, mentre gli altri seggi sono attribuiti proporzionalmente alle restanti forze politiche (con un sistema di sbarramenti per tenere fuori le forze politiche più piccole: il 12 per cento per le coalizioni di partiti, il 4,5 per cento per i singoli partiti che le costituiscono e l’8 per cento per i partiti che si presentano da soli).

La versione originaria della legge è nata in seguito all’accordo tra Partito Democratico e Forza Italia, con il discusso incontro a gennaio tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi nella sede romana del PD, ma diversi altri partiti più piccoli hanno richiesto nelle settimane seguenti numerose modifiche alle soglie previste e ai meccanismi di attribuzione dei seggi. La Camera ha approvato nei giorni scorsi un emendamento che permetterà le candidature multiple fino a otto collegi diversi (e bocciato praticamente tutti gli emendamenti volti a introdurre una qualche forma di tutela della parità di genere nella composizione delle liste). Durante la discussione e il voto degli emendamenti il PD ha mostrato di non essere particolarmente compatto: in più di una circostanza sono stati decisivi i voti dei deputati che sono anche membri del governo o i voti di Forza Italia, nonostante il PD goda alla Camera di una larghissima maggioranza.

La nuova legge elettorale è stata finora strettamente legata alla riforma del Senato, altro punto su cui è stato formulato un accordo tra PD e Forza Italia. L’idea è differenziare marcatamente la sua funzione da quella della Camera, superando il bicameralismo perfetto (la condizione attuale per cui le due camere fanno praticamente le stesse cose, allungando i tempi per l’approvazione delle leggi). I senatori saranno per lo più rappresentanti già eletti nelle amministrazioni locali e non riceveranno stipendi aggiuntivi: il Senato avrà ruolo consultivo. Ma dovrà comunque discutere e approvare la nuova legge elettorale, affinché questa entri in vigore, dato che la questione della sua trasformazione – con conseguente abbandono del bicameralismo perfetto – inizierà soltanto dopo. Non è ancora chiaro quando il Senato comincerà a discutere la riforma elettorale.

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