Perché Facebook ha comprato WhatsApp

Cosa cambia per chi la usa, chi sono i suoi neo-miliardari fondatori e soprattutto perché l'ha pagata così tanto: 19 miliardi di dollari

di Emanuele Menietti – @emenietti

Nella serata di mercoledì 19 febbraio (negli Stati Uniti era pomeriggio) Facebook ha annunciato che acquisterà WhatsApp, una popolare applicazione per mandarsi messaggi tramite smartphone, con un’operazione dal valore complessivo di 19 miliardi di dollari. È la più grande acquisizione nella storia di Facebook, ha reso miliardari i cofondatori di WhatsApp praticamente da un giorno all’altro e dimostra quanto il social network temesse il successo crescente dell’applicazione, che rischiava di rubargli spazio nel fondamentale settore dei messaggi sui cellulari.

WhatsApp
WhatsApp esiste ufficialmente come società da circa quattro anni. È stata fondata dallo statunitense Brian Acton insieme con l’ucraino Jan Koum, attualmente amministratore delegato (CEO) della società. Fu proprio Koum a sostenere con convinzione la necessità di creare una nuova applicazione per inviarsi i messaggi, qualche mese dopo la nascita dell’App Store, il negozio online di applicazioni per gli iPhone di Apple.

Koum è del 1977 e si è trasferito con la madre nel 1992 negli Stati Uniti, in California, dove ha completato gli studi e lavorato alcuni anni per Yahoo. Deluso dal modo in cui la società gestiva la pubblicità online, e cresciuto in un luogo come l’Ucraina sovietica, dove le comunicazioni dei cittadini erano spesso controllate dal governo, Koum pensò di sviluppare un’applicazione che consentisse di comunicare facilmente, senza pubblicità e con sistemi affidabili per garantire la privacy delle conversazioni. La chiamò WhatsApp, nome che richiama il modo di dire inglese “what’s up” (“che c’è”).

Anno dopo anno WhatsApp ha confermato questi impegni. L’applicazione serve per mandare messaggi, immagini, video, comunicazioni vocali e informazioni sulla propria posizione geografica alle persone che sono comprese nella propria rubrica telefonica. A differenza degli SMS, che si basano su un servizio dato dall’operatore, le comunicazioni su WhatsApp avvengono sulla rete dati del cellulare, quella che serve per navigare dal browser del proprio dispositivo, per intenderci: non si paga per ogni messaggio, come avviene per gli SMS, ma basta avere un qualche abbonamento a Internet attivo sul cellulare. L’applicazione si attiva facilmente poco dopo il download, attraverso il proprio numero di cellulare, e non sono necessarie altre complicate forme di registrazione. WhatsApp confronta poi i contatti nella rubrica del telefono con gli elenchi dei propri iscritti, creando una lista di persone che possono essere contattate con il suo servizio perché già iscritte. A differenza di altre applicazioni, WhatsApp può essere installato su tutti i principali sistemi operativi per smartphone, consentendo a chi ha un iPhone di mandare un messaggio a chi usa Android che a sua volta può inviarlo a un BlackBerry o a un Windows Phone, e così via.

L’applicazione è gratuita per il primo anno, mentre dal secondo è necessario un abbonamento annuale che costa meno di un euro per poterla continuare a utilizzare (la regola è recente, i primi che scaricarono WhatsApp ai suoi esordi non devono ripagare l’app ogni anno). In cambio del minuscolo abbonamento, chi usa WhatsApp non deve mai fare i conti con pubblicità invadenti e con limitazioni legate alla quantità di messaggi e contenuti come foto o video da inviare. Quando sono ricevuti dal destinatario, i messaggi vengono cancellati dai server di WhatsApp, cosa che pochissime società fanno così tempestivamente.

Koum ha sulla sua scrivania un vecchio appunto, che gli scrisse Acton agli inizi di WhatsApp, un elenco di tre regole fondamentali da rispettare: “Niente pubblicità! Niente giochi! Niente trucchetti!”.

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Numeri
19 – Sono i miliardi di dollari che Facebook sborserà per entrare in possesso di WhatsApp sotto varie forme: 4 miliardi in soldi veri e propri, 12 miliardi in azioni di Facebook e altri 3 miliardi in azioni vincolate a un periodo di permanenza dei cofondatori dell’applicazione e dei loro impiegati per quattro anni. Per capire l’ordine di grandezza: parliamo di quasi 20 volte la cifra che fu pagato Instagram, un miliardo di dollari. O del PIL annuale della Repubblica Democratica del Congo.
450 – Sono i milioni di utenti che utilizzano almeno una volta al mese WhatsApp per restare in contatto. Nove mesi fa erano meno della metà, circa 200 milioni.
70 – È la percentuale di iscritti a WhatsApp che usano quotidianamente l’applicazione. In media una app ha una percentuale di utilizzo giornaliera tra il 10 e il 20 per cento, con picchi massimi che raramente superano il 50 per cento.
1 – Ogni giorno un milione di nuovi utenti installa e usa per la prima volta WhatsApp.
10 – Facebook ha acquisito WhatsApp attribuendole un valore pari a circa un decimo del proprio, la valutazione più alta che abbia mai fatto per una acquisizione.
32 – È l’attuale numero di sviluppatori che lavorano a WhatsApp per gestire e migliorare il servizio. In pratica ci sono 14 milioni di utilizzatori dell’applicazione per ogni suo sviluppatore.
50 – Sono i miliardi di messaggi che vengono inviati ogni giorno su WhatsApp.
99,9 – È la percentuale di tempo in cui il servizio è stato online da quando esiste senza avere momenti di down dovuti a problemi tecnici.
0 – Sono i dollari che fino a oggi WhatsApp ha speso per fare marketing e pubblicità. L’applicazione si è fatta conoscere soprattutto grazie al passaparola, alle recensioni positive, al suo basso costo e alla sua posizione in alto nelle classifiche degli store di applicazioni.

Concorrenza
I numeri di WhatsApp possono essere una prima spiegazione dell’acquisizione miliardaria da parte di Facebook, ma non sono sufficienti. Per comprendere meglio che cosa abbia spinto Mark Zuckerberg a spendere così tanto è opportuno alzare lo sguardo, per avere un’idea di cosa ha intorno. In circolazione ci sono decine di applicazioni come WhatsApp, moltissime fanno praticamente le stesse identiche cose, eppure non sono riuscite a sfondare. Le uniche a fare eccezione, grazie anche a spese notevoli per farsi pubblicità, sono Line e WeChat (avrete notato gli spot con Lionel Messi, anche sulla tv italiana). Quest’ultima in particolare sta avendo un crescente successo nei paesi asiatici, con picchi di popolarità in Cina, paese dove è stata sviluppata dalla società di telecomunicazioni Tencent. Si stima che WhatsApp e WeChat da sole gestiscano ogni giorno più utenti e più messaggi di quanto facciano Facebook e la sua controllata Instagram. Fanno una sola cosa, la fanno bene e senza creare complicazioni ai loro iscritti.

Facebook aveva davanti a sé applicazioni di successo che rischiavano di rendere marginali i suoi sistemi per comunicare in modo istantaneo attraverso il social network. Con l’obiettivo di recuperare terreno, lo scorso anno il social network ha diffuso una nuova versione di Facebook Messenger, la sua applicazione per smartphone separata da quella classica e dedicata solo alle funzioni per mandarsi messaggi, rendendola molto simile a WhatsApp e a WeChat. Ma l’operazione non ha riscosso molto successo e non ha arrestato l’avanzata delle due app per messaggi più usate.

Il problema, ha spiegato lo stesso Zuckerberg, è che la maggior parte degli iscritti vede Facebook Messenger come un’applicazione per mandarsi messaggi in forma asincrona, un po’ come avviene per le email. WhatsApp, invece, è nata ed è da sempre stata considerata come un sistema per avviare conversazioni in tempo reale e avere conversazioni estemporanee. Per quanto sempre più simile a WhatsApp, Facebook Messenger non avrebbe potuto competere alla pari e questo ha spinto Zuckerberg verso l’acquisizione.

Geografia
Il modo in cui sono fatti i mercati delle applicazioni per i messaggi in giro per il mondo è sicuramente un altro elemento per spiegare l’acquisizione di WhatsApp. L’applicazione batte la concorrenza in tutti i principali paesi europei, in buona parte dell’Oceania e del Sudamerica, con picchi notevoli in Brasile. Nel Nord America, invece, Facebook Messenger riesce a tenere abbastanza testa a WhatsApp, uno dei motivi per cui l’applicazione è molto meno conosciuta da quelle parti. Considerato il successo nel resto del mondo, Facebook aveva pochissime speranze di ribaltare la situazione e arrestare la crescita di WhatsApp. È valsa quindi una delle regole d’oro del capitalismo: se non puoi batterli, comprali.

Crescita
In un post pubblicato sul suo profilo Facebook per spiegare l’acquisizione, Zuckerberg dice che WhatsApp è sulla strada per raggiungere il miliardo di iscritti in tutto il mondo. La previsione è ritenuta plausibile dalla maggior parte degli analisti, considerata la crescita senza precedenti degli utenti. Il grafico mostra dove è arrivata WhatsApp nei suoi primi quattro anni rispetto a servizi come Facebook stesso, la mail di Google Gmail, Twitter e Skype. Zuckerberg ha stretto i tempi e ha fatto un’offerta cui i cofondatori di WhatsApp non hanno potuto dire di no: l’obiettivo era comprare, se avesse temporeggiato anche solo qualche settimana avrebbe dovuto fare un’offerta ancora più alta.

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Applicazioni
A differenza di Apple, Google e Microsoft (con numeri ancora molto piccoli), Facebook non può fare affidamento su un proprio sistema operativo che gli consenta di avere un maggiore controllo sui propri servizi, e di offrirli in modo coerente e univoco. Il social network ha provato a creare una sua versione modificata di Android, Facebook Home, che però non è andata molto lontano e – nonostante le voci che ciclicamente alludono alla possibilità – sembra ormai evidente che abbia cambiato strategia. L’idea alla sua base è semplice, anche se dispendiosa: essere in possesso delle applicazioni più di successo e più richieste dagli utenti.

Kara Swisher di Re/code ha spiegato efficacemente questa strategia consigliando di pensare che Facebook sia come Disney. Il social network è il blocco centrale e fondamentale, cioè la Disney vera e propria; Instagram è come Disney Channel e quindi indirizzato a un pubblico di un certo tipo; WhatsApp è come il canale sportivo ESPN, che piace praticamente a tutti. Ogni divisione ha modi diversi di trattare gli utenti, di fare pubblicità e di offrire servizi aggiuntivi.

Oltre il social network
Quando pensiamo a Facebook ci viene subito in mente il suo social network, un po’ come succede con Google e il suo motore di ricerca. Ma proprio come Google, Facebook è diventata una società che gestisce e si occupa di numerosi altri servizi oltre al suo classico social network, che rimane comunque il punto di partenza per buona parte delle sue attività (1,2 miliardi di iscritti sono sempre un ottimo modo per iniziare qualcosa). Questa evoluzione è soprattutto evidente nel settore mobile, in pieno sviluppo e con grandissime opportunità dal punto di vista pubblicitario.

Oltre a quella classica per accedere al suo social network, Facebook offre diverse altre applicazioni come Messenger, Camera e Poke, una applicazione per inviare messaggi che scompaiono in pochi secondi dopo averli letti, chiaramente ispirata a Snapchat e che non ha raccolto molto successo (Facebook provò ad acquisire Snapchat vedendosi rifiutare un’offerta da 3 miliardi di dollari). A queste si aggiungono la nuova app Paper, una sorta di aggregatore basato sul flusso notizie di Facebook, Instagram e a breve WhatsApp.

L’idea alla base di questa differenziazione è offrire applicazioni che facciano sostanzialmente una sola cosa e bene. Le app di questo tipo riscuotono più successo con gli utenti perché sono semplici da usare e non obbligano a muoversi tra menu complicati e di continuo. Meno volte si deve toccare lo schermo per compiere un’azione più la app viene utilizzata e più aumenta la probabilità che venga inserita nella prima schermata dello smartphone, quella che viene visualizzata in modo predefinito ogni volta che si sblocca il telefono. Facebook vuole essere in quella schermata a portata di dito con il numero maggiore di applicazioni, evidentemente a qualsiasi costo.

Futuro
I cofondatori hanno spiegato sul blog ufficiale di WhatsApp che dopo l’acquisizione di Facebook per i loro iscritti non cambierà nulla. Questo significa che almeno per i primi tempi sarà mantenuto il meccanismo del mini abbonamento da meno di un euro all’anno, escludendo la possibilità che siano inseriti messaggi pubblicitari nell’applicazione. Facebook seguirà più o meno lo stesso sistema usato dopo l’acquisizione di Instagram: WhatsApp manterrà una propria autonomia e indipendenza dalla società che ne sta per assumere il controllo. L’obiettivo primario, ha spiegato Zuckerberg rispondendo a una domanda sull’arrivo un giorno della pubblicità, resta quello di fare crescere il più velocemente possibile WhatsApp in termini di iscritti. È probabile saranno studiati sistemi per fare in modo che WhatsApp rafforzi Facebook e viceversa, come è già successo con Instagram. Il CEO di WhatsApp, Jan Koum, entrerà a far parte del consiglio di amministrazione di Facebook.

Rivincita
Alcuni anni fa, i due cofondatori di WhatsApp cercarono senza successo di farsi assumere da Facebook. Brian Acton a maggio del 2009 provò prima con Twitter, ma il colloquio non andò bene.

 

Qualche mese dopo, Acton si propose a Facebook ricevendo un altro no.

 

Koum e Acton si diedero poi da fare per realizzare WhatsApp. La loro iniziativa ora è costata 19 miliardi di dollari a Facebook.