Il rapimento di Patricia Hearst

Quarant'anni fa una ricca ereditiera fu rapita da un'organizzazione terrorista a cui poi si unì durante il sequestro: uno dei casi più famosi della cosiddetta "sindrome di Stoccolma"

di Antonella Vendola – @antonellaven

Il 4 febbraio 1974, esattamente quarant’anni fa, Patricia Campbell Hearst, la figlia di un’importante e ricca famiglia di editori, fu rapita nel suo appartamento di Berkeley, California, dai membri del Symbionese Liberation Army, “Esercito di Liberazione Simbionese”, una formazione terroristica di estrema sinistra. La storia di Patricia Hearst fu molto seguita dai media statunitensi e rappresenta ancora oggi uno dei casi più famosi della cosiddetta “sindrome di Stoccolma“: una di quelle situazioni paradossali in cui la vittima di un rapimento finisce per solidarizzare con il sequestratore.

Patricia Campbell Hearst
Patricia Campbell Hearst, detta Patty, aveva 19 anni quando fu rapita. Nata a San Mateo, in California, era la terza delle cinque figlie di Randolph Hearst Apperson, presidente del quotidiano San Francisco Examiner. Suo nonno era il potentissimo editore William Randolph Hearst: il personaggio a cui è ispirato il protagonista del film Quarto Potere di Orson Welles. Patricia era da poco andata a vivere da sola a Berkeley, dopo aver vissuto nel ricco quartiere di Hillsborough a San Francisco, in cui aveva frequentato scuole femminili di alto livello e aveva avuto una vita mondana piuttosto ricca.

Il rapimento
La sera del 4 febbraio 1974 Patricia Hearst si trovava nel suo appartamento di Berkeley con il fidanzato, Steven Weed. Intorno alle 21 qualcuno bussò alla porta: quando Hearst andò ad aprire fu aggredita da due uomini armati e una donna. I tre picchiarono con violenza Steven Weed prima di legarlo e riuscirono a immobilizzare anche un vicino di casa, accorso dopo aver sentito delle urla provenienti dalla casa di Hearst. La ragazza fu legata, trascinata fuori dal suo appartamento e messa nel bagagliaio di una macchina: durante la fuga vennero anche sparati dei colpi di pistola, che però non ferirono nessuno. Dopo le perizie tecniche la polizia scoprì che i proiettili sparati il giorno del rapimento avevano la punta intrisa nel cianuro: grazie a questo particolare si stabilì che i rapitori facevano parte dell’Esercito di Liberazione Simbionese, che era noto usare solitamente questa tecnica.

L’Esercito di Liberazione Simbionese
Il Symbionese Liberation Army prende il suo nome dalla parola simbiosi, un termine che in biologia descrive un’interazione piuttosto intima e di lungo termine fra due o più organismi. Il gruppo si formò ufficialmente dopo l’evasione dal carcere di Soledad, in California, del suo fondatore Donald DeFreeze, un piccolo criminale afroamericano che durante la sua permanenza in carcere aveva allacciato contatti con membri di organizzazioni politiche radicali. Come Charles Manson cinque anni prima, DeFreeze, che adottò il nome di battaglia Field Marshal Cinque (in onore del capo della ribellione degli schiavi sulla nave spagnola Amistad nel 1839) invocava una rivoluzione dei poveri e dei diseredati, dichiarando guerra a chi aveva uno status sociale elevato ma soprattutto molto denaro, riuscendo a ottenere obbedienza e adorazione dai suoi seguaci. Alla base dell’ideologia dell’Esercito c’erano la guerriglia urbana in stile sudamericano (ispirata al movimento Tupamaros in Uruguay) e gli ideali maoisti contro il capitalismo: i rivoluzionari volevano la chiusura delle carceri, il rilascio di tutti i detenuti, la fine della monogamia e l’appoggio alla causa degli afroamericani.

L’Esercito si formò ufficialmente nel luglio del 1973: non fu mai costituito da più di 10 membri, la maggior parte dei quali erano sempre ragazze bianche della classe media. Il loro primo “atto rivoluzionario” fu l’omicidio di Marcus Foster, a Oakland: un sovrintendente scolastico afroamericano responsabile secondo l’Esercito di aver proposto l’introduzione delle carte d’identità nelle scuole, un progetto definito “fascista”. Foster, però, non solo si era opposto al progetto ma era molto popolare nella sinistra e nella comunità nera, per cui il suo omicidio fu considerato controproducente, attirando solo pubblicità negativa e l’attenzione dei media. Dopo le indagini e l’arresto di due membri dell’organizzazione, l’ELS iniziò a pianificare il rapimento di un personaggio importante per negoziare uno scambio di prigionieri: per questo si pensò a Patricia Campbell Hearst.

Cosa successe dopo
Dopo il rapimento l’ELS aspettò tre giorni prima di farsi sentire con una lettera, in cui chiedeva lo scambio della ragazza con i due membri del gruppo arrestati per l’omicidio di Marcus Foster. Quando questa possibilità si rivelò impossibile i rapitori fecero una richiesta piuttosto bizzarra: un riscatto sotto forma di distribuzione di cibo tra i bisognosi della California, prima per un valore di 4 milioni di dollari poi, dopo pochi giorni, di 400 milioni. I genitori della ragazza risposero dopo 10 giorni dalla richiesta e versarono due milioni di dollari a un programma di distribuzione di aiuti denominato “People of Need”, rinnovato pochi giorni dopo con altri 4 milioni di dollari e poi definitivamente bloccato a causa di violenti scontri scoppiati nei centri di distribuzione.

Mentre l’FBI indagava, l’Esercito si spostò in diversi rifugi. Sotto il controllo dei suoi rapitori Patricia Hearst fu vittima di quello che sua madre e diversi psicologi che la esaminarono dopo chiamarono “lavaggio del cervello”, riconosciuto come sintomo della sindrome di Stoccolma: Hearst fu tenuta in strettissimo isolamento in uno stanzino con spazio sufficiente solo a sdraiarsi, bendata per la maggior parte del tempo (per convincerla di essere sola e che nessuno avesse intenzione di salvarla); subì diverse violenze, anche sessuali, da vari membri della banda; fu costantemente minacciata di morte e costretta a registrare messaggi vocali in cui doveva mostrarsi decisa e senza esitazioni. DeFreeze pensò di poter sfruttare la visibilità della vicenda – dato che si era guadagnato la simpatia di molti per il riscatto distribuito ai poveri – trasformando la ragazza in una rancorosa rivoluzionaria.

E ci riuscì, almeno apparentemente: i rapitori, nelle comunicazioni successive, sempre più deliranti e che per richiesta dell’ELS dovevano essere rese pubbliche attraverso i media, iniziarono a definire la ragazza una prigioniera in “custodia protettiva”, in accordo con le Convenzioni di Ginevra. Il 3 aprile del 1974, poi, fu diffusa la prima prova del cambiamento che stava subendo Patricia: in un nastro registrato recapitato ai genitori la ragazza affermava: «Mi è stata data la possibilità di essere rilasciata in una zona sicura o di unirmi alle forze dell’Esercito di Liberazione Simbionese per la mia libertà e la libertà di tutti i popoli oppressi. Ho scelto di restare e di lottare». In un’altra registrazione recapitata in quei giorni, poi, affermava che i suoi genitori non stavano facendo sforzi sufficienti per assicurare il suo rilascio e insisteva sul fatto di voler essere conosciuta con il suo nuovo nome di guerriglia, “Tania”.

Da Patricia a Tania
La prima prova concreta del coinvolgimento di Hearst nelle azioni dell’Esercito di Liberazione Simbionese arrivò pochi giorni dopo la prima registrazione, il 15 aprile, quando la ragazza fu ripresa dalle telecamere della Hibernia National Bank di San Francisco con in mano un fucile d’assalto, durante una rapina che fruttò al gruppo 10 mila dollari. La foto, diffusa e molto ripresa dai media, e il successivo messaggio di Patricia che la famiglia ricevette (in cui la ragazza ammetteva di aver preso parte alla rapina), colpirono molto l’opinione pubblica, ormai sempre più contraria a credere alla storia del lavaggio del cervello. L’FBI, che fino ad allora era stata impegnata nella ricerca della ragazza, emise un mandato per il suo arresto.

Un mese dopo Hearst fu coinvolta in altre due rapine: una a Sacramento e l’altra in un negozio di articoli sportivi a Los Angeles, il 16 maggio, in cui restarono ferite due persone. Il giorno successivo l’FBI attaccò un appartamento sulla East 54th Street a Compton, Los Angeles, a cui era risalita grazie a una serie di multe non pagate di un furgone utilizzato per la rapina. Morirono 6 membri dell’ELS: altri tre, tra cui Hearst, al momento dell’attacco erano da un’altra parte. Il 7 giugno Hearst diffuse un nuovo messaggio registrato, in cui elogiava i compagni uccisi e giurava che avrebbe portato avanti la loro causa. Durante il resto dell’anno aiutò i membri dell’ELS sopravvissuti a trovare e arruolare nuove persone all’interno dell’organizzazione.

L’arresto e il processo
Nel 1975 Hearst partecipò ad altre rapine, tra cui quella alla Crocker National Bank di Carmichael, in California, nella quale morì un’impiegata, Myrna Opsahl. Il 18 settembre 1975 Patricia Hearst fu arrestata dall’FBI dopo 19 mesi di ricerche, insieme alla sua compagna dell’ELS Wendy Yoshimura. Il suo “rapimento” durò in totale 591 giorni.

Durante il processo fu rappresentata da F. Lee Bailey, il famoso avvocato difensore di O.J. Simpson, successivamente radiato dall’albo per diversi reati. La difesa fece leva sulla difficile situazione psicologica di Hearst dal momento della cattura in poi e sui gravi disordini da stress post-traumatico subito, sostenendo che fosse stata vittima di un lavaggio del cervello. La tesi del “lavaggio del cervello” si basava sula convinzione che la personalità di Hearst fosse stata manipolata metodicamente, attraverso procedure non troppo diverse da quelle utilizzate in un campo di addestramento per reclute: confinando la vittima in condizioni disumane per abbassarne la resistenza, insistendo su presunte colpe del passato (come il fatto di essere cresciuta in una famiglia ricca) per rendere la persona autocritica e per far sì che il sentimento di vergogna si fonda in un legame con il rapitore, rendendo la vittima grata ai suoi rapitori per averle apparentemente dato una libertà “immeritata”, commisurata alla sua “conversione”. Hearst, da tutti questi punti di vista, aveva svantaggi evidenti: era giovane e vulnerabile ed era stata molto protetta per la maggior parte della sua vita.

Al contrario il procuratore James Browning, insieme a buona parte dell’opinione pubblica, non credette a questa teoria e si basò sull’esame delle registrazioni delle telecamere, accusando Hearst di aver sostenuto consapevolmente l’attività eversiva del gruppo, di non essere scappata dai suoi rapitori, nonostante ne avesse avuto l’opportunità diverse volte e di proteggere quelli che invece erano stati arrestati, non testimoniando contro di loro. Hearst fu condannata complessivamente a 35 anni di carcere (25 per la rapina, 10 per l’uso di armi da fuoco), pena che poi fu ridotta a sette anni. Nel 1979, dopo 22 mesi di prigione, il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter commutò la sua pena in modo che non dovesse più scontarla in carcere. Qualche anno dopo Ronald Reagan le concesse l’indulto, mentre nel 2001 Bill Clinton le garantì il perdono completo.

Poco dopo la sua scarcerazione Hearst si sposò con la sua guardia del corpo Bernard Shaw, da cui ebbe poi due figlie. Nel 1982 pubblicò un’autobiografia dal titolo Every Secret Thing, in cui raccontava tutta la vicenda, e all’inizio degli anni Novanta iniziò a fare l’attrice con un discreto successo. Nel corso degli anni Hearst ha dato alcune interviste ai media nazionali parlando del rapimento, tra cui una molto lunga a Larry King, in cui, tra le moltissime cose, disse di essere molto dispiaciuta per essere stata vista come una complice dall’opinione pubblica: “le persone non possono davvero capire cosa ti accade quando sei prigioniera di qualcuno. Per me è stato molto più difficile perché non sono stata vista come una vittima per molto, molto tempo”.