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  • Venerdì 31 gennaio 2014

La Siria sta prendendo in giro gli Stati Uniti?

La rimozione e distruzione delle armi chimiche è ancora in alto mare e il governo americano dice che il regime sta deliberatamente rallentando il processo

Member of Danish military personnel wearing a protective masks carry out emergency drills aboard the Danish frigate, on the sea between Cyprus and Syria, Friday, Jan. 3, 2014. Two cargo ships and their warship escorts will set Friday from the Cypriot port of Limassol to waters near Syria where they will wait for orders on when they can head to the Syrian port of Latakia to pick up more than 1,000 tons of chemical agents. (AP Photo/Petros Karadjias)
Member of Danish military personnel wearing a protective masks carry out emergency drills aboard the Danish frigate, on the sea between Cyprus and Syria, Friday, Jan. 3, 2014. Two cargo ships and their warship escorts will set Friday from the Cypriot port of Limassol to waters near Syria where they will wait for orders on when they can head to the Syrian port of Latakia to pick up more than 1,000 tons of chemical agents. (AP Photo/Petros Karadjias)

Giovedì 30 gennaio il ministro della Difesa statunitense, Chuck Hagel, ha accusato il governo siriano di Bashar al Assad di aver deliberatamente rallentato il processo di rimozione delle armi chimiche, le cui scadenze e modalità sono state stabilite dall’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC), dalle Nazioni Unite e dai paesi coinvolti nei vari trasferimenti, tra cui l’Italia. Secondo fonti citate da Reuters, finora il regime siriano avrebbe portato fuori dal paese solo il 4 per cento delle sostanze chimiche coinvolte nel processo, e di questo passo non sarà in grado di rispettare la scadenza fissata al 5 febbraio.

Cosa è andato storto
Inizialmente Assad sembrava voler collaborare con gli ispettori dell’OPAC, il cui lavoro era iniziato il 2 ottobre corso sulla base di un accordo raggiunto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 26 settembre. La cooperazione tra regime siriano e organismi internazionali è cominciata a vacillare sul trasporto di circa 1200 tonnellate di sostanze chimiche verso il porto siriano di Latakia, primo passo per il loro completo trasferimento all’estero. Da qui i componenti devono essere imbarcati su una flottiglia internazionale e trasferiti al porto italiano di Gioia Tauro, in Calabria, dove verranno prelevati dalla USNS Cape Ray, una nave statunitense per trasporto veicoli lunga 197 metri, che li neutralizzerà (gli spostamenti degli agenti chimici sono efficacemente sintetizzati qui sotto da una mappa di BBC). Finora, scrive il New York Times, da Latakia sono partite solo due piccole spedizioni, e la situazione non sembra poter cambiare presto. Robert Mikulak, ambasciatore statunitense dell’OPAC, giovedì ha detto che «gli sforzi per rimuovere gli agenti chimici e i loro precursori dalla Siria sono in fase di stallo».

bbc

Assad ha risposto alle accuse dicendo che i ritardi sono dovuti a problemi legati alla sicurezza, specialmente riguardo al rischio che i ribelli possano attaccare e sabotare il trasferimento degli agenti chimici verso il porto di Latakia. Il regime siriano ha chiesto che gli vengano consegnate nuove attrezzature – tra cui rivelatori di bombe e giubbotti corazzati – per potersi occupare in sicurezza dell’intero processo. Attraverso un comunicato pubblicato sul sito del dipartimento di Stato, Mikulak ha descritto le richieste dei siriani come strumentali per “contrattare” qualcosa che è già stato definito, e non per “mettere in sicurezza” i trasferimenti. Nello stesso comunicato Mikulak ha sottolineato un ritardo anche in un’altra parte dell’accordo tra Siria e OPAC-ONU: 12 strutture adibite alla produzione di armi chimiche non sono ancora state distrutte – anche se sono state rese “inattive” – come invece prevede il trattato per la proibizione delle armi chimiche entrato in vigore per la Siria il 14 ottobre 2013. In pratica gli Stati Uniti chiedono che vengano “fisicamente distrutte” tutte le installazioni, ovvero che vengano fatti crollare i tetti degli hangar e fatti collassare i tunnel delle strutture sotterranee.

Perché potrebbe diventare un guaio per gli Stati Uniti
Questi rallentamenti, oltre a garantire ancora una posizione negoziale di forza ad Assad, potrebbero diventare un guaio anche per l’amministrazione statunitense di Barack Obama. L’accordo relativo alla rimozione delle armi chimiche siriane è considerato uno dei pochi “successi” finora raggiunti dalla diplomazia americana in Siria, per quanto arrivato dopo una confusionaria minaccia di intervento militare: l’amministrazione Obama è stata criticata molto in diverse occasioni, specialmente da quella parte del Congresso favorevole a un intervento più risoluto nella guerra siriana, e ha mostrato nell’ultimo anno molte incertezze sulle decisioni da prendere riguardo il superamento della cosiddetta “linea rossa” (il limite stabilito da Obama e coincidente con l’uso delle armi chimiche da parte di Assad sulla popolazione civile della Siria). Il ruolo degli Stati Uniti nel raggiungimento dell’accordo sulle armi chimiche siriane è stato ribadito anche durante il tradizionale discorso del presidente sullo stato dell’Unione, tenuto il 28 gennaio. Obama ha detto: «La democrazia americana, sostenuta dalla minaccia dell’uso della forza, è il motivo per cui le armi chimiche siriane stanno per essere eliminate».

Giovedì il ministro della Difesa Hagel ha detto di avere discusso della questione con la sua controparte russa, il ministro della Difesa Sergei Shoigu, a cui avrebbe chiesto di esercitare la “sua influenza sul governo siriano affinché rispetti l’accordo raggiunto” per la distruzione delle armi chimiche. Jen Psaki, portavoce del dipartimento di Stato, ha detto che anche il segretario di stato John Kerry ha chiamato mercoledì la sua controparte russa, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, per sollecitare il rispetto degli impegni presi dai siriani. Per ora comunque i tentativi statunitensi non hanno portato a niente di concreto.