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  • Mercoledì 29 gennaio 2014

La fine delle “rivoluzioni colorate”?

I fatti di Kiev dovrebbero farci cambiare idea sull'efficacia delle proteste nei paesi dell'Est, scrive Slate, e invitare l'Occidente ad ammettere le sue colpe e cambiare approccio

KIEV, UKRAINE - JANUARY 27: Ukrainian policemen block Grushevskogo Street on January 27, 2013 in Kiev, Ukraine. Unrest is spreading across Ukraine, with activists taking over municipal buildings in several towns and cities including the east of the country where President Viktor Yanukovych has enjoyed strong support. (Photo by Rob Stothard/Getty Images)
KIEV, UKRAINE - JANUARY 27: Ukrainian policemen block Grushevskogo Street on January 27, 2013 in Kiev, Ukraine. Unrest is spreading across Ukraine, with activists taking over municipal buildings in several towns and cities including the east of the country where President Viktor Yanukovych has enjoyed strong support. (Photo by Rob Stothard/Getty Images)

Anne Applebaum è una giornalista statunitense che ha pubblicato diversi libri sull’Europa dell’est e sulla Russia: di recente su Slate ha scritto un articolo intitolato “La fine delle rivoluzioni colorate in Ucraina” in cui sostiene che per risolvere il conflitto in corso nel paese servano almeno due cose: un profondo cambiamento culturale e la consapevolezza che l’Occidente continua a ritenere validi, per quella parte di mondo, alcuni “miti” che la storia ha invece già sfatato. Le cosiddette “rivoluzioni colorate” sono quelle che si sono sviluppate in diversi paesi dell’est dopo la caduta dell’URSS, e che hanno utilizzato metodi non violenti e di disobbedienza civile per protestare contro regimi autoritari o corrotti. Vengono chiamate “rivoluzioni colorate” perché hanno avuto come simbolo uno specifico colore o un fiore: ne sono un esempio la Rivoluzione Arancione in Ucraina (2004), la Rivoluzione delle Rose in Georgia (2003) o quella dei Tulipani in Kirghizistan (2005).

Cosa sta succedendo in Ucraina, in breve
Da circa una settimana è cominciata a Kiev una fase particolarmente violenta della protesta che prosegue dal 21 novembre scorso, da quando cioè il governo del presidente Viktor Yanukovich ha interrotto il dialogo con i leader dell’Unione Europea rifiutando un accordo di libero scambio e provocando le reazioni dei tantissimi cittadini ucraini invece favorevoli. A queste ragioni – e alla richiesta di liberare i prigionieri politici, tra cui l’ex primo ministro Yulia Tymoshenko – si sono aggiunte nel tempo le proteste contro una serie di violente aggressioni ai danni di alcuni oppositori del governo (tra cui quella a una celebre giornalista) e le proteste contro delle leggi molto contestate per limitare le manifestazioni, adottate per alzata di mano e senza dibattito dalla maggioranza del Parlamento e abolite martedì. Nel frattempo, spiega Applebaum, il «centro di Kiev è diventato una zona di guerra»: manganelli, gas lacrimogeni, barricate, autobus bruciati in mezzo alla neve, proiettili di gomma e poi proiettili veri contro i manifestanti, cinque morti e SMS intimidatori ricevuti sui cellulari e inviati dal governo.

Il mito delle “rivoluzioni colorate”
Questi eventi, scrive Applebaum, «dovrebbero portarci ad abbandonare immediatamente alcune delle illusioni che abbiamo a lungo avuto su questa parte del mondo». Innanzitutto il mito stesso delle “rivoluzioni colorate”: cioè la convinzione che dimostrazioni pacifiche e non violente, sostenute e aiutate dai media occidentali, alla fine abbiano successo e portino al rovesciamento delle oligarchie corrotte salite al potere nella maggior parte dei paesi dell’est dopo la fine dell’URSS. «La storia dell’Ucraina, dalla Rivoluzione Arancione del 2004 fino a oggi, ha dimostrato quanto questa convinzione sia falsa».

Gli oligarchi sostenuti e finanziati dalla Russia «sono molto più forti di quanto chiunque avrebbe mai previsto»: hanno denaro per corrompere un intero parlamento, hanno il potere di far rivivere la vecchia tecnica sovietica della violenza selettiva «per cui uno o due omicidi sono sufficienti per fermare molte migliaia di manifestanti pacifici». Hanno imparato a manipolare i media «come fanno i russi», scrive Applebaum, e a moltiplicare i loro soldi in istituzioni finanziarie occidentali («come fanno i russi»). E hanno creato «una ben argomentata e ben finanziata narrazione che alterna il declino economico dell’Occidente alla sua decadenza culturale», e che di tanto in tanto trova sponde culturali anche in Occidente nei movimenti anti-americani di estrema sinistra e di estrema destra.

Il mito sul ruolo di Europa e Stati Uniti
La storia recente dell’Ucraina, prosegue Applebaum, «dovrebbe indurci ad abbandonare un altro mito»: la convinzione che l’ordine che si è creato in questa parte del mondo dopo la Guerra Fredda sia ancora valido e che in quest’equilibrio l’Europa e gli Stati Uniti svolgano ancora un ruolo importante. I leader dell’Unione Europea si sono impegnati nel tentativo di creare con l’Ucraina un rapporto più solido e ampio, ed è vero che il loro sforzo non è andato a buon fine a causa di una pesante campagna della Russia perché questo fallimento si verificasse: «minaccia di boicottaggi commerciali mirati, velate minacce militari, grandi tangenti (una riduzione del prezzo del gas), molte tangenti più piccole e un massiccio sforzo di propaganda anti-occidentale progettato per far credere agli ucraini che l’Europa “sarebbe per loro un male”».

La risposta americana a questa situazione, nel frattempo, secondo Applebaum è stata del tutto trascurabile. Dopo che i colloqui con l’UE sono stati interrotti, «l’amministrazione Obama ha inviato un assistente del segretario di stato a distribuire biscotti ai manifestanti di Kiev». Anche l’ipotesi di non rilasciare visti a qualche leader politico dell’Ucraina sarebbe controproducente: significherebbe solo spingere gli ucraini «direttamente tra le braccia dei russi». Usando le parole di un diplomatico canadese, sarebbe come «guardare una partita di hockey con una sola squadra sul ghiaccio».

Quindi?
La giornalista dice che servirà del tempo per accettare «che l’ideale della rivoluzione colorata è morto e che l’Occidente non ha strumenti per farlo rivivere». Questo potrebbe avere due conseguenze. La prima è iniziare a pensare che se le rivoluzioni pacifiche non funzionano, sia arrivato il tempo di usare la violenza (cosa che nel corso del secolo scorso è già avvenuta, che a Kiev è successo di tanto in tanto e che forse il governo ucraino addirittura auspica, così da rendere rapidamente illegittime tutte le forze e le istanze dell’opposizione). La seconda è migliore, ma richiederà «molta più pazienza di quanta ne abbia chiunque»:

«Ciò di cui l’Ucraina ha ora davvero bisogno è un più lento e un più profondo cambiamento culturale, guidato da quegli ucraini che vogliono vivere in uno Stato meno corrotto. Gli ucraini hanno bisogno di creare forti istituzioni alternative nei media, nei sindacati, nelle scuole, così come nelle organizzazioni politiche. Hanno bisogno di persuadere i loro imprenditori a cambiare la situazione. Hanno bisogno di trovare aziende che si rifiutino di fare affari “come al solito”»

Allo stesso tempo, gli europei e gli americani devono smettere «di agevolare la corruzione sia ucraina che russa» e iniziare a prendere sul serio le loro gravi minacce. A un boicottaggio commerciale si deve rispondere con un boicottaggio commerciale; se si prende in considerazione l’ipotesi di sanzioni contro questi paesi, dovranno essere sanzioni economiche reali. Dovrebbero infine essere individuati i veri colpevoli, a Mosca così come a Kiev. Ma prima di fare tutto questo, conclude Applebaum, «dobbiamo essere onesti» e ammettere «la profonda debolezza della nostra politica in passato. Gli slogan non bastano più: è tempo di tornare sul ghiaccio».