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  • Sabato 25 gennaio 2014

Come vanno i colloqui di pace sulla Siria

Oggi governo e opposizione si sono incontrate a Ginevra: è la prima buona notizia da giorni, anche se le aspettative di una tregua continuano a essere molto basse

Demonstrators trample sketches depicting Syrian President Bashar al-Assad during a protest against his regime outside the United Nations offices in Geneva on January 24, 2014. Syria's regime threatened to quit peace talks in Geneva as UN-backed efforts to bring the country's warring sides together stumbled on their first day. AFP PHOTO / FABRICE COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)
Demonstrators trample sketches depicting Syrian President Bashar al-Assad during a protest against his regime outside the United Nations offices in Geneva on January 24, 2014. Syria's regime threatened to quit peace talks in Geneva as UN-backed efforts to bring the country's warring sides together stumbled on their first day. AFP PHOTO / FABRICE COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

Oggi le delegazioni del governo e dei ribelli moderati siriani si sono incontrate per la prima volta faccia a faccia alla conferenza di pace sulla Siria di Ginevra II, in Svizzera. Sono state le prime negoziazioni dirette tra i due schieramenti della guerra civile in Siria, dopo che venerdì, giorno dell’inizio ufficiale dei colloqui, governo e ribelli si erano rifiutati di incontrarsi, e avevano comunicato tra loro da due stanze separate grazie al lavoro dell’esperto mediatore delle Nazioni Unite, l’algerino Lakhdar Brahimi. Sabato gli incontri tra le delegazioni sono stati due: anche se si trovavano nella stessa stanza, governo e opposizione non si sono parlati direttamente e si sono rivolti tra loro solo ed esclusivamente tramite Brahimi: finora, ha specificato l’ONU, non è stato raggiunto alcun risultato significativo. Ad ogni modo l’accordo trovato da governo e opposizione siriana, scrive il Guardian, sembra suggerire che nessuna delle due parti voglia essere accusata di avere fatto fallire i colloqui di pace.

Le negoziazioni dirette sono la prima buona notizia che esce dalla conferenza di pace da mercoledì 22 gennaio, primo giorno dei colloqui preliminari sulla Siria. Le cose nei giorni scorsi non si erano messe per niente bene, rischiando di far fallire sul nascere una conferenza su cui le aspettative di successo erano già praticamente pari a zero prima del suo inizio. Mercoledì il segretario di stato John Kerry aveva fatto delle dichiarazioni molto perentorie sul futuro della Siria, dicendo che non c’è alcuna possibilità che il presidente siriano Bashar al Assad faccia parte del futuro governo di transizione del paese (la creazione di un governo di transizione come misura di pace è uno dei punti contenuti nella dichiarazione finale della conferenza di Ginevra I, che si è tenuta nel 2012). La delegazione governativa siriana aveva risposto accusando gli stati partecipanti di avere «sangue siriano sulle loro mani» e minacciando di ritirarsi definitivamente da Ginevra se i colloqui non fossero diventati «seri».

Venerdì 24 gennaio il portavoce della Coalizione Nazionale Siriana – l’organizzazione di ribelli più importante presente a Ginevra – aveva spiegato alla stampa come sarebbero funzionati i colloqui di oggi: «Tutti saranno nella stessa stanza ma tutti si rivolgeranno a Lakhdar Brahimi». Il problema più grande che rimane a Ginevra, e che non è stato risolto nemmeno con i colloqui diretti di sabato, riguarda gli obiettivi che le due parti vogliono raggiungere con la conferenza. La delegazione governativa ha parlato di trovare una soluzione per il “terrorismo” diffuso in Siria e sostenuto dall’esterno, riferendosi in pratica a tutta l’opposizione siriana. La delegazione dei ribelli vuole che il governo accetti la dichiarazione di Ginevra I, nella quale si parla espressamente della creazione di un governo di transizione come prima tappa per il raggiungimento di un accordo di pace. A ciò si deve aggiungere che l’obiettivo primario dell’ONU, e anche il più realizzabile, è riuscire a trovare un accordo per permettere l’arrivo degli aiuti umanitari nelle zone della Siria che per diversi mesi sono rimaste isolate, creando delle situazioni di emergenza (per esempio la zona di Homs).

Il raggiungimento di un accordo finale a Ginevra sembra reso ancora più complicato e improbabile dal ruolo che gli altri paesi mediorientali stanno avendo nella guerra in Siria. Come scrive il Wall Street Journal, i paesi più coinvolti sono Arabia Saudita e Turchia da una parte (che appoggiano i ribelli) e Iran dall’altra (che appoggia il regime di Assad). I governi di questi paesi si stanno accusando reciprocamente di influenzare l’esito della guerra e a loro volta stanno condizionando l’andamento dei colloqui a Ginevra. Secondo alcuni diplomatici e analisti occidentali che in questi giorni stanno partecipando alla riunione del World Economic Forum a Davos, in Svizzera, l’influenza dei paesi mediorientali sulla Siria non farà altro che rallentare ancora di più qualsiasi processo di pace che potrebbe essere intrapreso nel breve termine. Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations di New York, ha detto: «Sfortunatamente mi è impossibile essere ottimista. Le cose potrebbero mettersi molto male e peggiorare più di quanto non ci si aspettasse di già».

I morti stimati della guerra in Siria finora sono 130mila, e altri 2 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case e lasciare il paese.