• Italia
  • Venerdì 24 gennaio 2014

I ristoranti della camorra

Roberto Saviano spiega su Repubblica come, approfittando della crisi, la camorra stia entrando sempre più in business legali – spesso all'insaputa anche di chi ci lavora

ROME, ITALY - MARCH 25: Tourists visit Piazza Navona on March 25, 2013 in Rome, Italy. Pope Francis yesterday led his first mass of Holy Week as pontiff by celebrating Palm Sunday in front of thousands of faithful and clergy. (Photo by Jeff J Mitchell/Getty Images)
ROME, ITALY - MARCH 25: Tourists visit Piazza Navona on March 25, 2013 in Rome, Italy. Pope Francis yesterday led his first mass of Holy Week as pontiff by celebrating Palm Sunday in front of thousands of faithful and clergy. (Photo by Jeff J Mitchell/Getty Images)

Roberto Saviano su Repubblica spiega come, approfittando della crisi, la camorra stia investendo sempre di più nella ristorazione: rilevando in molte regioni italiane bar, gelaterie, locali, alberghi e creando un sistema legale che assiste e sostiene l’economia. Spesso chi lavora in questi locali sono persone perbene che non conoscono i loro «veri padroni» – questo, spiega Saviano, mostra quanto la camorra sia entrata a far parte della nostra vita quotidiana.

Immaginate di essere turisti a Roma, di andare in un bel ristorante, magari da “Zio Ciro”, vicino piazza Navona. Un ristorante che ha una buona presentazione sul web e una buona reputazione culinaria. E poi immaginate nel pomeriggio di entrare in una gelateria, magari proprio da “Ciucculà”, vicino al Pantheon. E infine, di andare a riposare prendendo in affitto una camera a Piazza di Spagna, nel cuore più prestigioso della capitale. Immaginate di andare proprio lì, al numero 33, e di usufruire dei servizi dalla società “Spagna Suite” (poi ceduta). Ecco, in ogni vostro singolo passaggio, avreste avuto a che fare con capitali di camorra. Non ve ne sareste accorti, perché le persone che avrete incontrato in tutte queste attività sono lavoratori perbene, e loro stessi (in molti casi) non immaginano chi siano i loro superiori.

Oppure il vostro percorso avrebbe potuto essere diverso. Potreste aver scelto una pizzeria, sempre della catena Zio Ciro, ma questa volta a Sant’Apollinare, magari proprio dopo aver visitato la chiesa. Oppure una vecchia osteria, “L’Osteria della vite” o il ristorante “Il pizzicotto” in via Gioacchino Belli. E dopo, un caffè al bar “Sweet” di piazza della Cancelleria. Anche questo secondo itinerario vi avrebbe portato, involontariamente, a entrare nell’economia del sistema camorra.

Ma l’elenco è sterminato e sterminate sono le combinazioni che testimoniano quanto la camorra sia entrata a far parte della nostra vita quotidiana, una vita fatta di gesti usuali (mangiare una pizza, bere un caffè, prendere in affitto una stanza) ai quali non prestiamo più attenzione. Gesti che consideri sicuri, che credi non potrebbero metterti in connessione con i più potenti poteri criminali. Locali in via Giulio Cesare, in via Fabio Massimo, in via Mameli, e poi in via Rasella, in via delle Quattro Fontane, in via della Pace, in via di Propaganda, in via del Boschetto. Pizzerie, bar, ristoranti, camere in affitto, e poi società sportive. È l’impero dei clan a Roma. O meglio, è la parte dell’impero dei clan che ora conosciamo. Ed è solo una piccola parte.

E Roma non è un punto d’arrivo: i recenti sequestri hanno interessato anche Viareggio  –  dove i clan avevano messo le mani su uno dei luoghi più noti della città, l’ex bar-pasticceria “Fappani”  –  e poi a Pisa, su “L’arciere” e “l’Antico Vicoletto”. E poi ancora sul ristorante “Salustri” di San Giuliano Terme e “L’imbarcadero” di Marina di Pisa. E poi nelle Marche, a Gabicce Mare, il caffè “Vittoria”. Tutti questi sono locali considerati dalle Dda di Roma e di Napoli, coordinate dalla Dna, “lavanderie” della camorra, frutto del riciclaggio. Ricchezza che proviene dalla cocaina, dall’hashish, dalle estorsioni, dalla contraffazione di capi d’abbigliamento griffati.

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