Stamina e le sentenze dei giudici

Paolo Colonnello ricorda sulla Stampa le numerose sentenze che ordinarono di proseguire il trattamento nonostante il divieto dell'Agenzia italiana del farmaco a Brescia

Sulla Stampa di giovedì 16 gennaio, Paolo Colonnello si occupa delle sentenze che hanno consentito nei mesi scorsi a diverse famiglie di proseguire il trattamento Stamina, il controverso sistema che secondo i suoi ideatori è a base di cellule staminali e che sarebbe in grado di curare numerose malattie invalidanti. Contro il trattamento, ritenuto inutile e in alcuni casi dannoso, si sono espressi scienziati, riviste scientifiche e una commissione del ministero della Salute e ci sono state diverse inchieste giornalistiche. Colonnello spiega che nel 2012, nonostante il divieto da parte dell’Agenzia italiana del farmaco di praticare il trattamento negli Spedali Civili di Brescia, molti magistrati si espressero su singoli casi disponendo che non fossero interrotte le infusioni. È un aspetto della vicenda Stamina di cui si è fino a ora parlato meno, ma che ha portato i malati ad avere ulteriori false speranze, dice Colonnello, e ha fatto emergere molte contraddizioni, come nel caso di una sentenza emessa a Venezia dove fu ordinato il trattamento «pur in assenza di evidenza scientifica».

Ciò che il ministero vieta, il giudice autorizza. È un incredibile gioco a rimpiattino, in cui a farne le spese sono come al solito i malati e le loro speranze, quello cui si assiste da quando, il 15 maggio 2012, l’Aifa, la massima autorità italiana di controllo sul farmaco, decide di vietare la pratica di Stamina nell’ospedale Civile di Brescia. Una decisione che arriva dopo un’ispezione dei Nas e del Centro Nazionale Trapianti, un’inchiesta aperta dalla Procura di Torino e la dichiarazione della stessa Aifa che le iniezioni di Stamina sono «pericolose per la salute». Ciò nonostante, passano appena tre mesi prima che un giudice, il primo di una lunga serie, scardini con una sentenza di fine agosto il divieto, riaprendo la strada che porta a Brescia.

La sentenza, firmata dal giudice del lavoro di Venezia, interviene a seguito di un procedimento cautelare d’urgenza dei genitori di una bambina già sottoposta al metodo e prescrive l’infusione a base di presunte cellule staminali dato «che non esiste allo stato attuale alcuna cura sperimentata idonea a far arrestare e regredire tale malattia, o quantomeno a rallentare il decorso» e quale «cura compassionevole prevista dal decreto ministeriale Turco del 2006». Il problema è che il decreto permette sì l’uso compassionevole di un trattamento cellulare o genico a patto però che siano rispettati alcuni requisiti fondamentali, autocertificati da chi presenta la richiesta. Per esempio: la presenza di dati scientifici pubblicati su riviste autorevoli; la pregressa esperienza di due anni dell’ente o del laboratorio sul preparato che si intende somministrare; l’impiego del trattamento per uso individuale; la presenza di un pericolo di vita e di un consenso informato e di un parere del comitato etico dell’ospedale. Come si è appurato in seguito, non esiste nulla di tutto ciò nel metodo Stamina: non c’è un brevetto, non c’è una pubblicazione, non c’è alcuna esperienza del laboratorio dell’Ospedale di Brescia e non si capisce su che base siano stati sottoposti a dei pazienti dei «consensi informati» da firmare. Ma il giudice si fida lo stesso. E autorizza.

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