Legalizzare, non liberalizzare

Sono due cose diverse, spiega Roberto Saviano a proposito delle droghe e del dibattito rinato

Foto Roberto Monaldo / LaPresse04-05-2013 RomaCronacaMillion Marjiuana March - Corteo per la legalizzazione Nella foto Un momento della manifestazionePhoto Roberto Monaldo / LaPresse04-05-2013 Rome (Italy)Million Marjiuana MarchIn the photo A moment of the demonstration
Foto Roberto Monaldo / LaPresse04-05-2013 RomaCronacaMillion Marjiuana March - Corteo per la legalizzazione Nella foto Un momento della manifestazionePhoto Roberto Monaldo / LaPresse04-05-2013 Rome (Italy)Million Marjiuana MarchIn the photo A moment of the demonstration

La regolazione del consumo e della vendita di marijuana è tornata da qualche giorno oggetto di attenzione e discussione tra i media internazionali, soprattutto dopo la legalizzazione in Colorado, e se ne sta riparlando anche in Italia. Roberto Saviano su Repubblica scrive che essere favorevoli alla legalizzazione delle droghe non vuol dire approvarne o promuoverne l’uso, e che è una questione principalmente economica e di legalità.

Ho sempre detestato droghe leggere e pesanti. Sono quasi astemio, un occasionale bevitore di alcolici. Ma sono, invece, profondamente antiproibizionista. Indipendentemente dal mio rapporto con qualunque tipo di sostanza, dal mio stile di vita, dalle mie passioni e dalle mie repulsioni. Si ritiene, sbagliando, che essere antiproibizionisti significhi tifare per le droghe. Sottovalutarne gli effetti, incentivarne il consumo. Niente di più falso. Spesso, in Italia, le discussioni sui temi più delicati sono travolte da un furore ideologico che oscura i fatti e impedisce un dibattito sereno. È successo con l’aborto, con l’eutanasia, succede con le droghe. E non è possibile che una parte dei cittadini, che la parte maggiore delle istituzioni religiose – con il peso che la Chiesa Cattolica ha in Italia – e che la politica tutta, tranne pochissime eccezioni, si rifiutino di affrontare seriamente e con responsabilità questo tema. Non è possibile che la risposta alla tossicodipendenza sia nella maggior parte dei casi il carcere, che tracima di spacciatori e consumatori, ultimi ingranaggi di un meccanismo che irrora di danaro l’intero nostro Paese.

Proprio dalle pagine di Repubblica un grande giornalista scomparso prematuramente, Carlo Rivolta, raccontava di come la prima generazione di tossicodipendenti veri in Italia, quella degli anni Ottanta, fosse stata abbandonata a se stessa da uno Stato patrigno e non padre. Da uno Stato che preferiva considerare quei ragazzi zombie, morti viventi, tossici colpevoli. Ai quali nessuna mano andava tesa, e dei quali si aspettava solo la morte. Erano causa del loro male. Ci si domanda cosa sia cambiato a distanza di trent’anni, se nemmeno nel dibattito pubblico questi temi hanno trovato posto.

So che la legalizzazione delle droghe è un tema complicato, difficile da proporre e da affrontare. So che pone molti problemi soprattutto di carattere morale, ma un Paese come il nostro, che ha le mafie più potenti del mondo, non può eluderlo. Con tutti i problemi che ha il paese dobbiamo pensare alle canne, ai tossici e ai fattoni? Nulla di più superficiale che questo commento.

(continua a leggere sul sito di Repubblica)

foto: Roberto Monaldo / LaPresse