• Mondo
  • Lunedì 30 dicembre 2013

Gli attacchi a Kinshasa, in Congo

Un gruppo armato vicino a un fondamentalista cristiano ha attaccato uno studio televisivo, una base militare e l'aeroporto della città: 40 attentatori sono stati uccisi

Nella mattina di lunedì 30 dicembre, tre gruppi armati hanno attaccato la sede della tv di stato, una base militare e un aeroporto a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Secondo le agenzie internazionali i responsabili sarebbero persone vicine a Joseph Paul Mukungubila, estremista cristiano ed ex candidato premier alle elezioni politiche del 2006. Secondo Reuters circa 70 persone sono state coinvolte negli attacchi, 40 delle quali sono rimaste uccise: 16 all’aeroporto, 16 alla base militare e 8 durante l’attacco alla rete televisiva statale. Il governo ha chiarito che nessun civile o membro dell’esercito è rimasto ferito durante le operazioni militari e che ora la situazione è sotto controllo.

Attorno alle 8.40 (il fusorario è lo stesso dell’Italia) un gruppo di persone ha fatto irruzione negli studi di un programma di news di RTNC, urlando slogan come «Per la liberazione del Congo!» e prendendo in ostaggio alcuni giornalisti (qui un video di una parte dell’invasione degli studi televisivi). Poi è stato letto un messaggio nel quale si diceva che “Gedeone Mukungubila è venuto per liberarvi dalla schiavitù del Ruanda”. Pochi minuti dopo sono iniziate sparatorie sia all’aeroporto internazionale di Kinshasa, la capitale della RDC, sia alla base militare di Tshatshi, alla periferia ovest della città. Nel corso della mattinata RTNC ha ripreso la sua programmazione regolare.

Secondo BBC ci sono stati scontri armati anche a Lubumbashi, una città nel sud della RDC al confine con lo Zambia, in seguito ai quali sono state arrestate alcune persone. Tutti gli scontri, secondo alcune agenzie internazionali, sarebbero avvenuti dopo che l’esercito aveva attaccato una chiesa di Mukungubila a Lubumbashi. A Kinshasa sono ancora presenti circa 25 famiglie italiane in attesa di tornare in Italia con i figli adottivi. Una di loro ha scritto all’agenzia ANSA per chiarire che «non siamo noi direttamente in pericolo perché stiamo in periferia. Ci hanno detto di restare chiusi in casa».

Nelle ultime settimane Mukungubila, che si fa chiamare “Il profeta dell’Eterno”, è stato molto critico con il governo congolese a causa dell’accordo di pace firmato all’inizio di novembre con i ribelli dell’M23, un movimento armato formato da persone di etnia tutsi: l’etnia tutsi è stata vittima di genocidio negli anni Novanta, ma recentemente i suoi appartenenti sono tornati ad occupare diverse posizioni di potere in Ruanda, paese che confina a est con la Repubblica Democratica del Congo: Mukungubila ha accusato il governo di essersi piegato agli interessi dei tutsi e dei ruandesi.

Un altro soprannome di Mukungubila è “Gedeone”, figura biblica dell’Antico Testamento e considerato santo dalla Chiesa Cattolica (viene festeggiato il 26 settembre): nel Libro dei Giudici Gedeone viene descritto come un capo israelita che distrugge un altare di Baal, un dio della mitologia fenicia, e che sconfigge in battaglia alcuni popoli nemici degli ebrei (in ebraico il suo nome significa anche “distruttore”).