Il “metodo” Stamina è senza staminali?

Ci sono seri dubbi sulla presenza delle cellule e c'è il rischio di contrarre malattie come la "mucca pazza", dicono i rapporti scientifici e dei NAS sul controverso trattamento

Sulla Stampa di giovedì 19 dicembre Paolo Russo spiega che cosa c’è nei documenti e nei rapporti realizzati fino a ora dai NAS (Nuclei antisofisticazioni e sanità dei Carabinieri) e dagli organismi scientifici istituzionali sul “metodo” Stamina, rivelando che in diversi casi sarebbe stata rilevata l’assenza di cellule staminali nelle trasfusioni del trattamento.

Da mesi la comunità scientifica, le istituzioni, la magistratura, i media e l’opinione pubblica si confrontano sul caso Stamina, il controverso trattamento che – secondo i suoi promotori – è a base di cellule staminali e che sarebbe in grado di curare malattie gravi e invalidanti come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Ci sono state sentenze della magistratura per consentire ad alcuni pazienti di proseguire i trattamenti, lo stop del ministero della Salute alla sperimentazione sulla base degli esiti di una sua commissione di esperti (giudicata poi non imparziale dal TAR del Lazio), accuse di plagio sulla documentazione fornita dai responsabili di Stamina, rinvii a giudizio e dure prese di posizione da parte della comunità scientifica, come il recente editoriale pubblicato dalla rivista Nature in tema.

Nelle carte consultate da Russo sono espresse non solo le perplessità sull’effettiva presenza di cellule staminali, ma anche diverse preoccupazioni sulla sicurezza delle trasfusioni. È citato il rischio di contrarre malattie infettive come l’AIDS, causata dal virus Hiv, “per assenza di controlli delle cellule del donatore”, e la cosiddetta sindrome della “mucca pazza” (BSE) a causa del presunto uso di siero fetale bovino nelle colture cellulari. La pratica non è vietata, ma è richiesto dai regolamenti che il siero provenga da “animali allevati e sacrificati in paesi privi di BSE” con certificazione europea, che dai documenti risulta essere assente. I rapporti parlano anche di alti livelli di contaminazione dei campioni e della presenza di diversi materiali che, come spiega Russo, fanno pensare a un “frullato indefinibile”.

Un metodo che non dovrebbe nemmeno chiamarsi «Stamina» perché di cellule staminali nelle misteriose infusioni ce ne sarebbero sì e no tracce. Nessun accenno a come le cellule mesenchimali del midollo si trasformerebbero in cellule cerebrali e dei tessuti nervosi, in grado di riparare i danni all’origine di molte malattie neuro degenerative, come Sla o Sma1. E persino lo spettro di contaminazioni da morbo di «mucca pazza». A gettare nuove ombre intorno al contrastato «metodo Vannoni» sono le carte sin qui “top secret” dei verbali dei Nas e degli organismi scientifici istituzionali, oltre che il parere, mai reso pubblico integralmente, con il quale il Comitato di esperti, poi giudicato «non imparziale» dal Tar Lazio, ha bloccato sul nascere la sperimentazione.

Documenti che da un lato confermano quanto già trapelato, come il rischio di trasmissione di malattie infettive, Hiv in testa, per assenza di controlli delle cellule dal donatore. Ma dall’altro rivelano altri rischi per i pazienti. Come quello della Bse, meglio nota come sindrome da mucca pazza. Verbale del 16 ottobre 2012, dopo la chiusura dei laboratori degli Spedali civili di Brescia, dove si coltivavano le cellule per Stamina. Secondo l’Aifa in assenza di sicurezza. Presenti gli stati maggiori dei Nas, della stessa Agenzia del farmaco, dell’Istituto superiore di sanità e del centro nazionale trapianti. Luca Pani, presidente dell’Aifa, afferma che l’analisi condotta «farebbe supporre l’uso di siero fetale bovino nei terreni di coltura». Dubbio fugato dagli esperti del comitato, che nel parere svelano come sia la stessa documentazione presentata da Stamina a confermare l’uso di siero bovino per la coltura delle cellule. Cosa che in sé non sarebbe vietata anche se sconsigliata. Purché – ricorda il comitato – «per ridurre i rischi di natura infettiva… il siero fetale bovino provenga da animali allevati e sacrificati in Paesi privi di Bse», il tutto mediante certificazione europea. «Nessuna di queste informazioni è presente nei documenti pervenuti», si legge però nel parere.

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