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  • Giovedì 19 dicembre 2013

Il paese dell’anno secondo l’Economist

La redazione lo ha scelto per la prima volta nella sua storia, in base a un criterio particolare: e per il 2013 ha premiato chi ha legalizzato la vendita di marijuana

People take part in a demo for the legalization of marijuana in front of the Legislative Palace in Montevideo, on December 10, 2013, as the Senate discuss a law on the legalization of marijuana's cultivation and consumption. Uruguays parliament is to vote Tuesday a project that would make the country the first to legalize marijuana, an experiment that seeks to confront drug trafficking. The initiative launched by 78-year-old Uruguayan President Jose Mujica, a former revolutionary leader, would enable the production, distribution and sale of cannabis, self-cultivation and consumer clubs, all under state control. AFP PHOTO/ Pablo PORCIUNCULA (Photo credit should read PABLO PORCIUNCULA/AFP/Getty Images)
People take part in a demo for the legalization of marijuana in front of the Legislative Palace in Montevideo, on December 10, 2013, as the Senate discuss a law on the legalization of marijuana's cultivation and consumption. Uruguays parliament is to vote Tuesday a project that would make the country the first to legalize marijuana, an experiment that seeks to confront drug trafficking. The initiative launched by 78-year-old Uruguayan President Jose Mujica, a former revolutionary leader, would enable the production, distribution and sale of cannabis, self-cultivation and consumer clubs, all under state control. AFP PHOTO/ Pablo PORCIUNCULA (Photo credit should read PABLO PORCIUNCULA/AFP/Getty Images)

Per la prima volta nella sua storia, il settimanale britannico Economist ha deciso di nominare “il paese dell’anno”. Nell’editoriale in cui l’Economist annuncia il paese scelto si fa implicitamente riferimento alla tradizione del settimanale statunitense Time, che dal 1927 dedica il numero di fine anno a una persona: la “persona dell’anno”, appunto. Scrive l’Economist:

Come ogni anno, anche il 2013 è stato testimone di glorie e disgrazie. Quando arriva il momento dei rendiconti di fine anno, sia i successi che i disastri tendono a essere giudicati come i figli di singoli egocentrici o santi, piuttosto che come il risultato congiunto che caratterizza lo sforzo umano. Per ristabilire l’equilibrio dal singolo al collettivo, e dalla tristezza alla gioia, l’Economist ha deciso, per la prima volta, di nominare il paese dell’anno.

L’editoriale prosegue spiegando come è stata fatta la scelta. Da un giornale come l’Economist ci si potrebbe aspettare venga fatta in base a parametri economici. In questo caso il “paese dell’anno” avrebbe potuto essere il Sud Sudan, per l’aumento del 30 per cento del PIL nel 2013 rispetto all’anno precedente, oppure l’Irlanda che ha attraversato una gravissima crisi economica e finanziaria «ma che è sopravvissuto per raccontarla» o l’Estonia che ha il più basso livello di debito pubblico nell’Unione europea. Questo metodo, precisa l’Economist, non farebbe però che confermare le peggiori caricature che si dicono sul loro conto e cioè che è un giornale «dal cuore di pietra».

C’è poi un altro problema: valutare i governi o il loro popolo? In alcuni casi «i meriti dei primi sono inversamente proporzionali ai meriti dei secondi»: e viene citata l’Ucraina, con un presidente «con dei modi da delinquente» come Viktor Yanukovich e con dei cittadini invece molto coraggiosi, o la Turchia, dove decine di migliaia di persone hanno protestato «contro l’autocrazia e l’islamismo strisciante di Recep Tayyip Erdogan». La scelta risulta poi complicata dal rischio di premiare «più l’impatto che la virtù». Così si è finiti ad esempio col celebrare persone come Vladimir Putin, l’ayatollah Khomeini o Adolf Hitler. Adattandosi a questa logica, spiega l’Economist, potrebbe essere scelta la Siria di Bashar al Assad o le isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale, contese tra Cina e Giappone, che «periodicamente minacciano di far scoppiare una terza guerra mondiale».

Il criterio adottato è stato invece quello di scegliere il “paese dell’anno” in base a una speciale categoria di riforme: quelle che non hanno migliorato solo il paese in cui sono state fatte, ma che, se imitate, potrebbero migliorare il mondo intero. Il matrimonio gay fa parte di questa categoria: ha portato a un aumento della felicità complessiva e senza alcun costo finanziario. Diversi paesi lo hanno legalizzato nel 2013: le Hawaii, altri stati degli USA, la Nuova Zelanda, l’Inghilterra e il Galles, la Francia e  l’Uruguay, che è anche diventato il primo paese del mondo ad aver approvato una legge per regolare la produzione, la distribuzione, la vendita e il consumo della marijuana. Ed è il paese dell’anno, secondo l’Economist.

L’Economist più volte ha pubblicato editoriali favorevoli alla legalizzazione della marijuana. La motivazione ufficiale del riconoscimento è dunque questa: «Se altri paesi seguissero questo esempio, e se una serie di altre sostanze venissero incluse nella lista, il danno che provocano nel mondo sarebbero drasticamente ridotto (…) e le autorità potrebbero concentrare i loro sforzi su crimini ben più gravi». Inoltre, conclude l’Economist, il presidente dell’Uruguay José “Pepe” Mujica è «mirabilmente schivo»: «Con una franchezza insolita per un politico, ha parlato della nuova legge come di un esperimento. Vive in una casa molto umile, va al lavoro con un Maggiolino e vola in classe economica. Modesto ma coraggioso, liberale e amante del divertimento: l’Uruguay è il nostro paese l’anno. ¡Felicitaciones!».