Gli archivi fotografici della Stasi

Il fotografo Simon Menner ha raccolto immagini di esercitazioni, travestimenti e tecniche di combattimento conservate dalla polizia segreta della Germania dell'Est

Un uomo durante un seminario di travestimento.
Un uomo durante un seminario di travestimento.

Il nuovo libro dell’artista tedesco Simon MennerTop Secret: le immagini dagli archivi della Stasi, esamina la vasta raccolta di informazioni e le fotografie raccolte dalla polizia segreta della Germania dell’Est.

La Stasi, abbreviazione di Ministerium für Staatssicherheit, fu fondata nel 1950 e fu la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Germania Est. Alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, contava circa 90 mila impiegati e più di 170 mila informatori, spesso semplici cittadini: una percentuale di spie altissima rispetto al resto della popolazione, maggiore che in altre organizzazioni come il KGB e la CIA. Dopo la fine della Germania Est la maggior parte dei materiali d’archivio è stata aperta al pubblico, con alcune limitazioni.

Menner – nato nel 1978 a Emmendingen, nella Germania sudoccidentale – ha studiato l’archivio dal punto di vista fotografico e lo ha usato come punto di partenza per un discorso più generale sui concetti di sorveglianza e di privacy, e sul ruolo delle immagini nelle dinamiche del potere. Menner è riuscito, richiedendo autorizzazioni speciali, a visionare parte dell’archivio e a digitalizzarne alcuni materiali, di cui ha poi studiato e riorganizzato gli elementi principali e che vi ricorrono di frequente.

La Stasi raccolse fotografie di esercitazioni, manuali per imparare a travestirsi, spiegazioni per applicare barbe e baffi finti, cataloghi dei segni e delle procedure di spionaggio, fotografie fatte da spie ad altre spie in occasione di missioni nella Germania Ovest, fotografie scattate prima delle perquisizioni, usate per rimettere poi in ordine appartamenti ed uffici. Menner spiega che la banalità di alcuni materiali lascia spazio all’interpretazione. Non è difficile immaginare l’utilizzo repressivo di tali fotografie, come nel caso dell’immagine di una macchina da caffè Siemens, un prodotto tedesco occidentale, che gli agenti della Stasi usarono per accusare cittadini della Germania Est di contatti con l’Ovest. L’oggetto, attraverso la “prova fotografica”, viene trasformato in potenziale causa di repressione, accusa e incarceramento.

Gli archivi costituiscono ancora un problema per gli ex tedeschi dell’Est. Molti rimasero scioccati scoprendo di essere stati sotto sorveglianza, avendo trovato schede dettagliate che documentavano le loro attività quotidiane. C’è una lista d’attesa per accedere all’archivio, si aspetta circa due anni.

Il libro, pubblicato in tedesco e in inglese, è edito dalla casa editrice tedesca Hatje Cantz.