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  • Sabato 9 novembre 2013

La Notte dei Cristalli

L'ondata di saccheggi e distruzioni scatenata dai nazisti contro gli ebrei, nelle parole dei diplomatici stranieri che allora avevano sede in Germania

10th November 1938: Three onlookers at a smashed Jewish shop window in Berlin following riots of the night of 9th November. (Photo by Hulton Archive/Getty Images)

10th November 1938: Three onlookers at a smashed Jewish shop window in Berlin following riots of the night of 9th November. (Photo by Hulton Archive/Getty Images)

Come ogni anno, in Germania si ricorda oggi la Notte dei Cristalli (in tedesco Kristallnacht), il pogrom condotto dai nazisti nel 1938 che portò alla morte di centinaia di persone, alla distruzione di più di mille sinagoghe e di oltre 7500 negozi gestiti da ebrei. Portò anche alla deportazione di 30 mila persone, che furono trasferite nei campi di Dachau, Buchenwald e Sachsenhausen.

L’operazione venne condotta con il pretesto dell’assassinio di Ernst Eduard vom Rath, un diplomatico tedesco a Parigi, da parte di un giovane studente ebreo, Herschel Grynszpan. Il pogrom del novembre 1938 durò diversi giorni in alcune località della Germania, anche se si fa riferimento a quell’episodio parlando di una sola notte: il capo della propaganda nazista Joseph Goebbels, il 10 novembre, annunciò alla radio che tutto era finito, ma le devastazioni e i rastrellamenti proseguirono anche dopo. Secondo gli storici, in Germania in quei pochi giorni morirono fino a 1.500 persone.

Nel 2013, per celebrarne il settantacinquesimo anniversario, a Berlino ci fu una mostra in cui venne esposta una selezione di relazioni e testimonianze di diplomatici di 48 diversi paesi in Europa e nel mondo che in quegli anni avevano una loro sede in Germania.

Nonostante la forma spesso rigida e il linguaggio formale delle relazioni, quei documenti, praticamente sconosciuti fino al 2013, hanno un grande valore storico. Testimoniano come il mondo guardò e giudicò quello che stava accadendo in Germania e raccontano storie minori, spesso tralasciate: quello che accadde all’orfanotrofio ebraico di Esslingen, vicino a Stoccarda, dove una folla di nazisti costrinse ad uscire per le strade i bambini, oppure degli ebrei che furono costretti a marciare in fila per due a Kehl, nella Germania sud-occidentale, gridando “siamo traditori della Germania”, e delle centinaia di persone terrorizzate che tentarono di nascondersi nei boschi vicino a Berlino.

Molto importante è anche quello che i documenti non contengono: il fallimento della comunità internazionale e le conseguenze di questo disinteressamento generale. Nei differenti racconti, i diplomatici condannano quasi all’unanimità gli omicidi, la violenza e le distruzioni. I britannici descrivono il pogrom come una «barbarie medievale», i brasiliani lo definiscono uno «spettacolo disgustoso» e i diplomatici francesi scrivono che quella «brutalità è stata superata solo dal massacro degli armeni», facendo riferimento al genocidio turco del 1915. Tuttavia, nessun paese, nemmeno dopo quei giorni di novembre, interruppe le relazioni diplomatiche con la Germania o impose delle sanzioni (solo Washington richiamò il suo ambasciatore). Soprattutto, i confini di quasi tutti i paesi rimasero chiusi per i circa 400 mila ebrei tedeschi che volevano emigrare.

Tutti i diplomatici, in quei giorni, erano bene informati delle atrocità che stavano accadendo: dai racconti delle persone che avevano cercato rifugio presso i loro consolati e che avevano descritto le loro esperienze o dai locali fracassati e saccheggiati ben visibili per le strade. Il console degli Stati Uniti a Stoccarda scrisse ad esempio: «Ebrei da tutte le parti della Germania iniziarono ad affollare gli uffici, fino a quando non furono traboccanti di umanità. Chiedevano un visto immediato o un qualche tipo di lettera per andarsene, che potesse influenzare la polizia perché non li arrestasse o molestasse». Molti diplomatici erano però in contatto con alcune delle vittime dei nazisti già dai primi giorni di novembre: più di mille persone in fuga, ad esempio, si rifugiarono presso il consolato polacco a Lipsia. In un resoconto che riguardava una famiglia in particolare, gli Sperling, il console polacco scrisse che erano stati picchiati a morte, che «molti oggetti di valore erano stati rubati dal loro appartamento» e che i nazisti avevano spogliato una donna della famiglia e avevano «cercato di violentarla».

Quello che risulta dalle diverse testimonianze è che i diplomatici conoscevano bene la posizione dei nazisti nei confronti degli ebrei, ma non capivano perché avessero deciso di agire così violentemente, soprattutto considerando il danno che tutto questo avrebbe causato alla loro reputazione internazionale. I rappresentanti della Francia ipotizzarono che fosse una questione di lotta di potere all’interno della leadership nazista. L’inviato svizzero pensò che fosse il modo di Hitler per dimostrare la sua potenza al mondo. Smallbones, diplomatico britannico, sospettò che l’esplosione della violenza fosse stata innescata da «quella specie di perversione sessuale molto presente e radicata in Germania».

Semplicemente, come gli storici scrissero più tardi, Hitler decise di approfittare di un’occasione: la morte del diplomatico vom Rath a Parigi. Quando Hitler ne venne a conoscenza si trovava a Monaco con i vertici del partito per ricordare il fallito colpo di stato dell’8 e 9 novembre del 1923, avvenuto in quella stessa città. Fu allora, come scrisse Joseph Goebbels nel suo diario, che i vari funzionari si «precipitarono ai telefoni per dare istruzioni ai soldati nazisti». Gli eccessi cominciarono quella stessa notte. Molte sinagoghe nelle varie regioni della Germania vennero incendiate «da ben disciplinati e apparentemente ben attrezzati giovani uomini in abiti civili», riferì il diplomatico statunitense, sottolineando il fatto che il modo di agire fu «praticamente uguale» in tutte le città: «Le porte delle sinagoghe furono forzate e aperte. Alcune sezioni degli edifici e l’arredamento interno vennero inzuppati di benzina e dati alle fiamme. Bibbie, libri di preghiera e altri oggetti sacri furono gettati nel fuoco»: 1.406 sinagoghe furono completamente distrutte.

Poi cominciarono gli attacchi alle vetrine: i negozi gestiti da ebrei erano facili da individuare, soprattutto a Berlino. Qualche mese prima, i nazisti avevano infatti costretto i proprietari a scrivere i loro nomi in vernice bianca e a grandi lettere sulle porte e sui vetri. La seconda ondata di violenza avvenne il giorno dopo, come raccontò un diplomatico ungherese:

«Nel pomeriggio, dopo la scuola, giovani adolescenti tra i 14 e i 18 anni, per lo più membri della Gioventù hitleriana, si sono scatenati contro i negozi: hanno rovesciato le cose per la strada, distrutto tutti i mobili e le vetrine, confuso tutta la merce e poi, inneggiando a Hitler, si sono messi alla ricerca di altri luoghi da distruggere, mentre altre persone iniziavano a saccheggiare i negozi devastati».

Poi iniziarono i rastrellamenti: un diplomatico britannico riferì da Francoforte che gli ebrei erano stati portati in un grande edificio e costretti a chinarsi e a mettere la testa a terra. Scrisse, riferendo quanto aveva appreso da altri, che alcuni di loro avevano vomitato e che «le guardie prendevano il colpevole per la collottola e gli facevano pulire il vomito con la faccia e i capelli». Scrisse che dopo qualche ora, le vittime vennero portate al campo di concentramento di Buchenwald, «dove molti di loro vennero torturati, alcuni picchiati a morte e altri costretti a urinarsi a vicenda nella bocca».

Come da istruzioni, gli autori delle devastazioni non indossavano uniformi di partito. Goebbels voleva far pensare che il pogrom fosse un riflesso «dell’indignazione giustificata e comprensibile del popolo tedesco», scrisse, per la morte di vom Rath, e che la polizia di fronte a tutto questo fosse impotente. Dalle testimonianze dei diplomatici risulta che nessuno di loro si fece convincere da questa versione dei fatti. Un consigliere d’ambasciata brasiliana scrisse: «il paese con il più potente, brutale, organizzato e perfettamente attrezzato apparato di polizia di tutto il mondo era nella posizione migliore possibile per reprimere prontamente qualsiasi turbolenza nata all’interno della popolazione». Il rappresentante della Finlandia riferì anche di aver sentito molto spesso ripetere la frase: «Da tedesco, provo vergogna».

La Notte dei Cristalli è considerato l’episodio che diede inizio all’accelerazione del processo di segregazione e repressione che si concluse con la Conferenza di Wannsee quando, nel gennaio del 1942, venne deciso dai vertici del partito nazista di porre fine alla questione ebraica attraverso lo sterminio sistematico: «Improvvisamente tutto sembrava possibile – scrisse lo storico Raphael Gross – i nazisti si sentivano come dei pionieri che erano appena entrati con successo in un nuovo territorio». Il 15 novembre venne vietata la frequenza scolastica agli ebrei nelle scuole tedesche; pochi giorni dopo si permise alle autorità locali di imporre dei coprifuoco. I nazisti confiscarono tutti i risarcimenti pagati dalle assicurazioni ai negozi distrutti e imposero alla comunità ebraica una multa da un miliardo di Reichsmark, come se fosse colpevole di quanto successo.