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  • Venerdì 11 ottobre 2013

I capi di stato africani che vogliono lasciare la Corte Penale Internazionale

Desmond Tutu dice che "cercano una licenza di uccidere, mutilare e opprimere il proprio popolo senza conseguenze"

This combination image made from two file photos showing Kenyan President-Elect Uhuru Kenyatta, at left, gesturing to queuing voters after casting his vote near Gatundu, north of Nairobi, in Kenya Monday, March 4, 2013, and the photo at right, showing Sudanese President Omar al-Bashir speaking to reporters during a visit to Tripoli, Libya Saturday, Jan. 7, 2012. A top Kenyan official said Monday April 8, 2013, that Sudanese President Omar al-Bashir is not traveling to Nairobi to attend Tuesday's presidential inauguration despite press reports to the contrary, adding that Sudan's government is invited but not al-Bashir. (AP Photo)
This combination image made from two file photos showing Kenyan President-Elect Uhuru Kenyatta, at left, gesturing to queuing voters after casting his vote near Gatundu, north of Nairobi, in Kenya Monday, March 4, 2013, and the photo at right, showing Sudanese President Omar al-Bashir speaking to reporters during a visit to Tripoli, Libya Saturday, Jan. 7, 2012. A top Kenyan official said Monday April 8, 2013, that Sudanese President Omar al-Bashir is not traveling to Nairobi to attend Tuesday's presidential inauguration despite press reports to the contrary, adding that Sudan's government is invited but not al-Bashir. (AP Photo)

L’Unione Africana, organizzazione sovranazionale e intergovernativa che comprende tutti gli stati africani tranne il Marocco, ha convocato per venerdì e sabato una riunione straordinaria ad Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, per discutere dei suoi rapporti con la Corte Penale Internazionale (CPI), tribunale internazionale che si occupa per lo più di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidi. La riunione è stata indetta per discutere le intenzioni di alcuni capi di stato e di governo africani, in particolare dell’Africa orientale, che vorrebbero sottrarre i loro paesi alla giurisdizione della corte, con lo scopo di evitare le accuse e i processi a loro carico.

Tra i più convinti sostenitori di questa posizione ci sono il presidente sudanese Omar al Bashir, il presidente kenyano Uhuru Kenyatta e il vicepresidente kenyano William Ruto, che si trova già sotto processo. Bashir è accusato di avere compiuto il genocidio in Darfur dal 1989, mentre Kenyatta e Ruto sono accusati di crimini contro l’umanità per avere organizzato le violenze nelle contestate elezioni del 2007, in cui morirono circa 1100 persone e altre 600mila furono costrette a lasciare le loro case. Il 6 settembre il parlamento del Kenya ha anche votato una mozione per non riconoscere più la giurisdizione della CPI (i responsabili del tribunale hanno già fatto sapere che la procedura richiederà almeno un anno e che non avrà conseguenze sui casi in corso).

Non è la prima volta comunque che l’Unione Africana si occupa dei rapporti con la CPI. Steven Gruzd, analista del South African Institute of International Affairs, ha detto a BBC che la questione è trattata in ogni riunione dell’Unione africana da quando la corte ha emesso il mandato di cattura internazionale per Bashir nel 2008: da allora l’Unione Africana ha invitato i paesi membri a ignorare il mandato di arresto, sostenendo che il processo avrebbe potuto indebolire gli sforzi di pace in Darfur.

Alla vigilia dell’incontro di Addis Abeba, Desmond Tutu, arcivescovo anglicano e premio Nobel per la Pace nel 1984 per il suo ruolo nella lotta anti-apartheid in Sudafrica, ha scritto un editoriale sul New York Times esprimendo una posizione durissima nei confronti dei leader africani che vogliono abbandonare la giurisdizione del tribunale.

«Quei leader che cercano di aggirare la corte sono alla ricerca di una licenza di uccidere, mutilare e opprimere il proprio popolo senza conseguenze. Credono che gli interessi della popolazione non debbano ostacolare le loro ambizioni di ricchezza e potere; che essere oggetto dell’azione della Corte penale internazionale interferisca con la loro capacità di raggiungere queste ambizioni; e che coloro che si trovano sulla loro strada – le vittime: i loro popoli – debbano rimanere senza volto e senza voce.»

Mercoledì il ministro degli Esteri kenyano ha detto che è ingenuo pensare che la riunione di oggi e domani si possa risolvere con l’uscita in blocco di tutti i paesi dalla giurisdizione del tribunale. Nonostante alcuni paesi dell’Africa Occidentale siano contrari alla proposta di Kenya e Sudan, in generale la CPI non è ben vista dai paesi dell’Unione Africana (solo 34 dei 54 paesi dell’Unione Africana hanno ratificato lo statuto di Roma che ha istituito la CPI): come spiega Mark Kersten, ricercatore della London School of Economics, tra i paesi africani è diffusa l’idea che la CPI venga usata più come strumento di “regime change” (quindi per cambiare i leader dei regimi al potere), piuttosto che come strumento giuridico vero e proprio; inoltre, viene accusata di fare una giustizia “selettiva”, che prende di mira solo leader africani.

Anche il Sudafrica, che era stato uno dei sostenitori della creazione del tribunale, è ora molto più vicino alle posizioni dello Zimbabwe di Robert Mugabe, che invece ne è forte oppositore. I rapporti tra Unione Africana e CPI sembrano peggiorati di recente dopo la nomina della gambiana Fatou Bensouda a procuratore capo del tribunale: la CPI ha anche chiesto all’Unione Africana di aprire un proprio ufficio ad Addis Abeba, città sede dell’organizzazione sovranazionale, ma la richiesta è stata rifiutata. Sostenitori del tribunale internazionale rimangono invece alcuni paesi dell’Africa Occidentale, come il Ghana e la Nigeria.

La Corte Penale Internazionale esiste dal 2002 e non è un organo delle Nazioni Unite, che ha un suo tribunale che si chiama Corte Internazionale di Giustizia (entrambi hanno sede all’Aia). L’Italia e buona parte dell’Europa fanno parte della Corte Penale Internazionale, mentre non vi appartengono stati come la Cina, l’India e l’Indonesia. Gli Stati Uniti, come la Russia e diversi altri stati, hanno sottoscritto lo statuto del tribunale, ma non lo hanno ratificato.

Foto: A sinistra il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, a destra il presidente del Sudan, Omar al Bashir (AP Photo)