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  • Lunedì 9 settembre 2013

Il sequestro di Quirico, raccontato

Pierre Piccinin, ostaggio insieme a lui, ha detto che Quirico ha subito due finte esecuzioni e che sono stati "puniti" dopo un tentativo di fuga

Pierre Piccinin, un insegnante belga di origine italiana di 40 anni, è stato rilasciato domenica sera assieme al giornalista italiano Domenico Quirico: entrambi erano stati rapiti in Siria il 9 aprile del 2013. Piccinin (il cui impegno sulla Siria era stato criticato per le posizioni in difesa di Assad, e il successivo cambio di opinione) è rientrato a Ciampino con Quirico domenica ed è subito ripartito per il Belgio, dove ha dato un’intervista al quotidiano belga Le Soir raccontando alcune cose della loro detenzione.

«Sto bene, malgrado le prove subite. Il mio amico Domenico è un po’ più provato, ma ha 62 anni, e comunque è uno sportivo che ha fatto delle maratone. È stata dura. Ha anche subito due esecuzioni simulate…»

«Abbiamo passato la frontiera col Libano il 6 aprile, due giorni più tardi eravamo a Qussayr ed è là che l’Esercito libero siriano ci ha arrestati e poi consegnati alla brigata “Abou Ammar”, dal nome del suo capo. Sono dei mezzi squilibrati più briganti che islamisti, più o meno inseriti nel movimento “Al-Farouk”, uno dei principali gruppi di ribelli, anche se è un po’ scoppiato in questi ultimi tempi»

«Appena arrestati, la città (Qussayr) ha cominciato a essere assediata dalle truppe siriane spalleggiate da Hezbollah. Ci siamo rimasti due mesi. Gli ultimi cinque giorni sono stati terribili, eravamo rinchiusi in una tana sordida con i muri coperti di scarafaggi, con le bombe che cadevano vicine, abbiamo rischiato di rimanere sepolti. Poi è diventato insostenibile e la maggior parte dei ribelli ha deciso di fuggire. Una lunga colonna di auto ha preso la strada di Homes tra il 5 e il 7 giugno, incalzata da Hezbollah che è riuscita a distruggerne molte»

«Siamo stati consegnati a al-Farouk, che ci ha portati a Yabroud, vicino al Libano, poi di notte siamo stati portati più a nord nel governatorato di Idlib, su dei pick-up. Qualche settimana più tardi ci siamo ritrovati a Bal al-Awa, alla frontiera turca, ma le nostre speranze di essere liberati sono svanite perché siamo ripartiti subito verso est, verso Ragga, che era in mano ai gruppi islamisti da due mesi. Non abbiamo raggiunto la città perché abbiamo preso una pista nel deserto a un bivio 80 chilometri prima»

«A Qussayr non abbiamo potuto prendere nessun contatto con nessuno, malgrado le promesse dei nostri rapitori. Poco dopo, sono riuscito a usare un GSM per qualche minuto e abbiamo chiamato brevemente le nostre famiglie, poi più niente. Ma a poco a poco abbiamo capito che delle trattative che riguardavano gli italiani si stavano costruendo segretamente. L’Italia ha una buona esperienza di queste situazioni. Ma le cose non andavano bene, a un certo punto abbiamo pensato di essere uccisi l’indomani e siamo riusciti a fuggire di notte ma siamo stati ripresi e puniti il giorno dopo»

«Ci avevano chiesto all’inizio di agosto di fare un video per provare che eravamo ancora vivi (video mai diffuso, ndr), poi verso il 23 agosto ci hanno fatto delle domande personali come il nome del mio gatto – un’idea di mia madre suggerita ai negoziatori italiani – in modo che i nostri rapitori potessero convincere i negoziatori in Europa che eravamo davvero vivi»

«È diventato troppo pericoloso per gli stranieri. L’Esercito libero siriano è in dissoluzione. Molti gruppi ribelli sono molto radicali, anti-occidentali, anche anti-cristiani. La rivoluzione non è più quello che era…»

In un’altra intervista alla radio RTL, Piccinin ha detto anche:

«Dirlo è un dovere morale. Non è il governo di Assad che ha usato il gas sarin o altre armi chimiche niella periferia di Damasco. Noi ne siamo certi per via di una conversazione che abbiamo ascoltato. Anche se mi costa molto dirlo perché da maggio 2012 sostengo fortemente l’Esercito libero siriano niella sua giusta lotta per la democrazia».

Domenico Quirico ha però molto ridimensionato le certezze di Piccinin su questo.

“Un giorno però dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una porta socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione in inglese via Skype che ha avuto per protagoniste tre persone di cui non conosco i nomi. Uno si era presentato a noi in precedenza come un generale dell’Esercito di liberazione siriano. Un secondo, che era con lui, era una persona che non avevo mai visto. Anche del terzo, collegato via Skype, non sappiamo nulla”.

“In questa conversazione – prosegue la ricostruzione di Quirico – dicevano che l’operazione del gas nei due quartieri di Damasco era stata fatta dai ribelli come provocazione, per indurre l’Occidente a intervenire militarmente. E che secondo loro il numero dei morti era esagerato”.

“Io non so – è il racconto di Domenico Quirico – se tutto questo sia vero e nulla mi dice che sia così, perché non ho alcun elemento che possa confermare questa tesi e non ho idea né dell’affidabilità, né dell’identità delle persone. Non sono assolutamente in grado di dire se questa conversazione sia basata su fatti reali o sia una chiacchiera per sentito dire, e non sono abituato a dare valore di verità a discorsi ascoltati attraverso una porta”.

“Bisogna tener presente – ha concluso Quirico – la condizione in cui eravamo e non dimenticare che eravamo prigionieri che ascoltavano cose attraverso le porte. Non ho elementi per giudicarle, sono abituato a parlare e a dare per certe le cose che ho verificato. In questo caso non ho potuto controllare niente. È folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas”.