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  • Martedì 3 settembre 2013

Cosa si fa con la Siria

L'intervento militare americano non è una buona idea, spiega Ian Buruma: e probabilmente lo sa anche Barack Obama, che sta cercando di uscire dal guaio in cui si è messo

President Barack Obama makes a statement about the crisis in Syria in the Rose Garden of the White House in Washington, Saturday, Aug. 31, 2013. Delaying what had appeared to be an imminent strike, Obama abruptly announced Saturday he will seek congressional approval before launching any military action meant to punish Syria for its alleged use of chemical weapons in an attack that killed hundreds. (AP Photo/Evan Vucci)
President Barack Obama makes a statement about the crisis in Syria in the Rose Garden of the White House in Washington, Saturday, Aug. 31, 2013. Delaying what had appeared to be an imminent strike, Obama abruptly announced Saturday he will seek congressional approval before launching any military action meant to punish Syria for its alleged use of chemical weapons in an attack that killed hundreds. (AP Photo/Evan Vucci)

Repubblica ha tradotto un articolo di riflessioni su cosa possa fare il mondo democratico rispetto alle violenze sui civili compiute dal regime siriano, scritto dal saggista ed esperto di politica internazionale anglo-olandese Ian Buruma.

Il dono dell’oratoria è sempre stato la principale risorsa del presidente americano Barack Obama. Adesso però sembra che le parole lo abbiano intrappolato. Dopo aver affermato, a marzo, che il governo Usa non avrebbe “tollerato l’impiego di armi chimiche contro il popolo siriano”, e avendo parlato lo scorso anno di una “linea rossa” che non poteva essere oltrepassata, se Obama non reagirà con forza all’uccisione di oltre mille civili con il gas sarin, compiuta presumibilmente dal regime siriano, perderà la faccia. Naturalmente il rischio di perdere la faccia non è un buon motivo per scatenare una guerra.
Ma perché Obama si trincera dietro a una simile retorica? Perché ha tracciato proprio questa linea rossa? Il segretario di Stato John Kerry ha avuto ragione a definire l’impiego del gas “un’oscenità morale”. Ma altrettanto si potrebbe dire degli episodi di tortura dei bambini  –  che più di due anni fa segnarono l’inizio della guerra civile in Siria. Uccidere dei civili con armi chimiche è forse più moralmente osceno che tempestarli di colpi, farli morire di fame, bombardarli a morte?
Secondo un’opinione diffusa, alcune armi sarebbero più immorali di altre. Tutto è nato dall’orrore nei confronti dell’impiego della iprite durante la Prima guerra mondiale. Le armi di distruzione di massa, e in particolare le bombe nucleari, possono causare danni in maniera certamente più rapida rispetto ai mezzi convenzionali. Ma esiste davvero una grande distinzione morale tra uccidere circa centomila persone sganciando una bomba atomica su Hiroshima e ammazzarne un numero addirittura superiore provocando una pioggia di bombe incendiarie lanciate in una sola notte nel cielo di Tokyo? È stato più immorale uccidere gli ebrei nelle camere a gas o sparargli a bruciapelo per farli cadere dentro a delle fosse già piene di cadaveri?

(continua a leggere su Repubblica.it)