Il gusto dei pomodori

Un ricercatore americano lavora assiduamente per individuare cosa lo determini e come conservarlo nelle produzioni industriali

Harry J. Klee è un ricercatore dell’Università della Florida e si è messo in testa di trovare il modo di rendere più gustosi e saporiti i pomodori che di solito compriamo al supermercato. È convinto che il luogo comune sulla frutta e la verdura che non hanno più il sapore di una volta abbia qualche fondamento, e che sia quindi necessario rimediare (il pomodoro tecnicamente è un frutto, ma la legge degli Stati Uniti ha stabilito oltre un secolo fa che rientri nell’insieme delle cose che chiamiamo verdura).

Insieme con i suoi collaboratori presso l’Istituto per l’innovazione delle piante in Florida, Klee da anni affetta pomodori coltivati negli orti e nelle serre, li inserisce nelle provette e ne studia i composti chimici che fanno in modo che un pomodoro sappia, per l’appunto, di pomodoro. Al New York Times ha spiegato di essere “fiducioso al 98 per cento di poter creare un pomodoro con gusto sostanzialmente migliore rispetto agli attuali”. Se tutto andrà per il verso giusto, entro quattro-cinque anni i semi delle nuove piante più saporite potranno essere consegnati ai coltivatori e dopo un paio di anni i primi pomodori potranno essere messi in vendita.

Le variabili che incidono sul sapore di un pomodoro, e che fanno sì che sia meno gustoso, sono molte e vanno dal modo in cui sono coltivate le piante che li generano a come sono trasportati, passando per il livello di maturazione raggiunto quando sono separati dalla pianta. Nel corso degli anni, inoltre, sono stati selezionati dai produttori tipi di pomodori che assumono un colore rosso intenso molto invitante, ma che al tempo stesso portano con sé un gene che rende meno intenso il loro sapore.

Klee lavora da circa dieci anni al suo progetto di rendere più saporiti i pomodori coltivati su grande scala. Soprattutto negli Stati Uniti, si tratta di varietà diverse rispetto a quelle che si trovano negli orti di piccole dimensioni dei singoli contadini: sono pomodori selezionati per dare raccolti copiosi e frutti che durino più a lungo.
L’idea è di intervenire sul DNA del pomodoro, ma attraverso i classici meccanismi della selezione e degli incroci di qualità diverse tra loro, senza ingegneria genetica vera e propria. Klee stima che possano essere sufficienti cinque geni chiave per ottenere un prodotto più gustoso. Fino a ora ne ha identificati tre che sono i responsabili della creazione del sapore di pomodoro. Ora deve trovare il modo di farne produrre un maggior numero alla pianta per arricchire il gusto.

Il sapore di pomodoro è costituito da tre componenti principali, spiegano sempre sul New York Times: zuccheri, acidi e composti organici volatili che trasportano nell’aria l’aroma del frutto. In un pomodoro di composti volatili ce ne sono circa 400 e di questi occorre capire quali siano indispensabili per il caratteristico gusto che apprezziamo. Per farlo, Klee con il suo team di ricerca procede con diverse analisi chimiche e con sessioni di assaggiatori, ai quali viene richiesto di descrivere la sostanza che stanno assaggiando od odorando. Le informazioni dei volontari sono poi valutate su base statistica per tenere in conto diverse variabili legate alle abitudini e alle differenze associate ai gusti, in modo da trovare un gusto standard e universalmente (o quasi) riconosciuto di pomodoro.

Durante anni di test, Klee ha scoperto che certi composti in alcune qualità di pomodoro non sono determinanti per il gusto, nonostante siano presenti in enormi quantità. Altri composti organici, meno presenti, sono invece fondamentali per la costruzione del sapore giusto. Naturalmente, più il pomodoro è dolce, più risulta essere saporito. I ricercatori hanno però scoperto che il livello di dolcezza non dipende esclusivamente dalla presenza di zucchero. Alcuni composti, infatti, contribuiscono a rendere più zuccheroso il gusto di pomodoro, senza che però siano presenti grandi quantità di zuccheri.

Uno degli obiettivi di Klee è trovare il modo di accrescere la quantità di questi composti nei pomodori, senza intervenire sulla quantità di zucchero. Anche perché i coltivatori hanno già cercato in passato di prendere una scorciatoia cercando di massimizzare la presenza di zucchero, ma oltre un certo limite è impossibile spingersi perché la pianta non ha energie sufficienti per produrre allo stesso tempo grandi quantità di pomodori e molti zuccheri.

Gli esperimenti di Klee non sono un caso isolato negli Stati Uniti. Negli anni Ottanta un gruppo di ricerca dell’Università della California contribuì alla creazione del primo pomodoro geneticamente modificato. Si chiamava “Flavr Savr” e fu messo in vendita dalla società Calgene nel 1994: il suo DNA era stato modificato per fare in modo che il frutto rimanesse fresco più a lungo, senza diventare molliccio. Nonostante le grandi polemiche iniziali, il pomodoro vendette bene, ma Calgene non riuscì a svilupparsi adeguatamente e dopo qualche anno fu acquisita da Monsanto, che smise di vendere le sue sementi.

Klee non vuole ripetere la storia di Calgene e vuole raggiungere un risultato soddisfacente senza ricorrere alla ingegneria genetica. In questo modo dovrebbe evitare le enormi spese necessarie per ottenere il permesso di vendere OGM (il New York Times stima che servano almeno 15 milioni di dollari di investimento) e, al tempo stesso, raccogliere minori diffidenze da parte degli acquirenti. Il pomodoro finale sarà quindi ottenuto esclusivamente dall’incrocio di qualità diverse. I test genetici servono solo per capire se una data pianta abbia o meno i geni necessari per arricchire il sapore dei frutti.

I detrattori del progetto di Klee dicono che difficilmente potranno essere raggiunti risultati concreti nei tempi previsti dal ricercatore, e che comunque ottenere pomodori da supermercato gustosi come quelli che si possono ottenere nel proprio orto di casa sarà sostanzialmente impossibile. Lo stesso Klee, del resto, ammette che anche il miglior pomodoro selezionato per essere più gustoso potrà poco contro le attuali tecniche di produzione, che prevedono la raccolta prima della raggiunta maturazione e il trasporto in celle frigorifere, che riducono più di ogni altra cosa il gusto di questi ortaggi.