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  • Venerdì 30 agosto 2013

Il Regno Unito si chiama fuori sulla Siria

Battuto in parlamento in una clamorosa débâcle politica, Cameron rinuncia all'intervento militare

Dopo un lungo dibattito parlamentare, nella notte di giovedì 29 agosto, il Parlamento britannico ha votato contro la mozione presentata dal governo di David Cameron per un eventuale intervento militare in Siria, in risposta al presunto utilizzo di armi chimiche in un attacco della scorsa settimana a est di Damasco. Il voto si è concluso con 285 voti contrari contro 272 favorevoli e costituisce la peggiore sconfitta politica nella storia di Cameron alla guida del Regno Unito, molto sottolineata dalle prime pagine dei quotidiani di oggi. Secondo diversi osservatori, non succedeva dal 1782 che un primo ministro britannico perdesse un voto in Parlamento su una mozione di guerra: e sull’intervento militare Cameron si era molto esposto fin dai primi giorni in cui l’ipotesi era stata presentata dagli alleati americani. Il voto contrario ferma di fatto qualsiasi progetto di intervento contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad, dopo giorni di annunci e di grande concitazione sul tema da parte del governo britannico.

Il voto di giovedì non è tecnicamente vincolante perché la discussione era sull’opportunità in linea di principio di intervenire in Siria, ma lo stesso Cameron ha spiegato nettamente di non volere andare contro il volere del Parlamento: «È diventato molto chiaro questa notte che il Parlamento britannico – riflettendo la volontà del popolo britannico – non vuole vedere il Regno Unito impegnato in un’azione militare: l’ho capito e il governo si comporterà di conseguenza».

Negli ultimi giorni Cameron si era dato molto da fare per preparare l’opinione pubblica alla possibilità di un intervento: aveva interrotto prima del previsto le vacanze, ottenendo che il Parlamento facesse altrettanto, aveva partecipato a diversi incontri con i responsabili della sicurezza nazionale e provato a fare approvare – senza successo – la bozza di una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzasse un’iniziativa militare in Siria. Giovedì il suo governo aveva anche diffuso un documento in cui si spiegava perché un intervento sarebbe stato ugualmente possibile anche senza l’ONU, in nome delle leggi internazionali.

Giovedì sera, nel corso del dibattito parlamentare, erano state sollevate diverse perplessità dall’opposizione e da alcuni parlamentari della maggioranza sull’utilità dell’intervento. Il leader dell’opposizione laburista, Ed Miliband, aveva spiegato che le informazioni raccolte dall’intelligence del Regno Unito non sono sufficienti per dire con certezza che l’attacco a est di Damasco con presunte armi chimiche sia stato ordinato dal regime di Assad. Il timore di molti parlamentari, e più in generale dell’opinione pubblica secondo diversi sondaggi, era inoltre che si potesse ripetere quanto accaduto nel 2003, quando il Regno Unito guidato dal laburista Tony Blair si impegnò nella difficile e controversa guerra in Iraq, in cui sono morti 179 soldati britannici.

Dopo il voto, il ministro della Difesa, Philip Hammond, ha confermato che a questo punto il Regno Unito non sarà coinvolto in alcun tipo di iniziativa militare in Siria, ricordando che comunque “gli Stati Uniti e gli altri paesi continueranno a studiare una risposta per l’attacco chimico”. Hammond ha ammesso che probabilmente i principali alleati del Regno Unito saranno “delusi” dal fatto che il suo paese non parteciperà attivamente nel possibile intervento militare.

Hammond ha fatto più o meno velatamente riferimento agli Stati Uniti, con cui il Regno Unito ha rapporti molto stretti soprattutto quando si tratta di organizzare interventi militari. Diverse fonti vicine all’amministrazione di Barack Obama hanno fatto intendere che il presidente potrebbe decidere di agire in autonomia, portando avanti da solo un’azione militare limitata come avvertimento contro Assad, senza rovesciarne il regime. Questa possibilità potrebbe concretizzarsi nel caso di un’impasse irrisolvibile al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove Russia e Cina sono state fino a ora contrarie a qualsiasi azione militare (gli altri tre membri permanenti sono Stati Uniti, Francia e Regno Unito).

In un comunicato diffuso ieri dall’amministrazione Obama è stato ribadito che il presidente “sarà guidato da quelli che sono i migliori interessi degli Stati Uniti”. Il Congresso è stato intanto aggiornato sul caso siriano dall’intelligence e dal Segretario di stato, John Kerry. Uno dei membri della Commissione sugli affari esteri della Camera, il democratico Eliot Engel, ha poi spiegato che secondo l’amministrazione “è fuori ogni dubbio che siano state usate armi chimiche e che siano state usate intenzionalmente dal regime di Assad”. Tra le prove ci sarebbero anche alcune intercettazioni nelle comunicazioni tra funzionari del governo siriano.

Nel frattempo, in Siria, prosegue il lavoro degli ispettori delle Nazioni Unite, che da lunedì 26 agosto stanno raccogliendo prove e testimonianze su quanto accaduto a est di Damasco durante l’attacco della scorsa settimana. Il loro compito è di capire se siano state utilizzate o meno armi chimiche, ma non di stabilire chi le abbia utilizzate. Salvo ulteriori ritardi, le indagini dovrebbero chiudersi entro sabato 31 agosto con la comunicazione dei risultati e di un rapporto, che sarà messo a disposizione della comunità internazionale. Nell’attacco della settimana scorsa sono morte almeno 355 persone, di cui molti bambini, mentre si stima che nella guerra civile in Siria siano morte oltre 100mila persone.

Foto: il primo ministro britannico, David Cameron (Dan Kitwood/Getty Images)