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  • Martedì 27 agosto 2013

“In Siria sono state usate armi chimiche”

Lo ha detto il Segretario di Stato americano John Kerry nella cosa più simile a un annuncio di prossimo attacco

Nel pomeriggio di lunedì 26 agosto (in Italia erano le 20,30), il Segretario di stato americano John Kerry ha tenuto una breve conferenza stampa a Washington per dare una serie di aggiornamenti sulla guerra civile in Siria e sulle intenzioni del governo statunitense. A differenza di precedenti occasioni, Kerry ha utilizzato parole molto nette e dure contro il regime di Bashar al Assad parlando dell’attacco della settimana scorsa a est di Damasco in cui sono morte centinaia di persone in seguito al presunto utilizzo di armi chimiche, e annunciato per la prima volta la fondata possibilità di un intervento americano:

Ciò che abbiamo visto in Siria dovrebbe scuotere le coscienze del mondo. Va contro ogni morale. Voglio essere chiaro: l’indiscriminato massacro di civili, l’uccisione di donne e bambini e di innocenti che si trovavano in quel luogo con armi chimiche è un’oscenità morale. È un atto imperdonabile, ed è innegabile nonostante le scuse e le ambiguità create ad arte da alcuni.

Kerry ha spiegato che sulla base delle immagini circolate dal luogo dell’attacco, del numero di deceduti e di come sono morti si può concludere con sicurezza che “in Siria sono state utilizzate armi chimiche”. Ha poi aggiunto che si sa da tempo che il regime di Assad conserva questo tipo di armi – bandite nel 1997 da una convenzione internazionale cui la Siria non ha aderito – e che ha le capacità e le risorse per utilizzarle contro la popolazione e i gruppi di ribelli che cercano da mesi di rovesciarlo. Durante la conferenza stampa, Kerry ha anche spiegato che gli Stati Uniti sono in possesso di altre informazioni sull’attacco della settimana scorsa e che queste saranno rese pubbliche nei prossimi giorni, dopo un confronto con le intelligence di altri paesi amici.

Lunedì gli ispettori delle Nazioni Unite in Siria hanno avviato le indagini a Ghouta, la zona a est di Damasco dove si è verificato l’attacco mercoledì 21 agosto. Un cecchino, non si sa se appartenente ai ribelli o alle forze del regime di Assad, ha sparato contro il loro convoglio danneggiando uno dei veicoli. Non ci sono notizie di persone ferite e l’ONU ha rinnovato la richiesta di rispettare la tregua fino a quando i suoi ispettori saranno nella zona. I rappresentanti delle Nazioni Unite hanno visitato una clinica, raccolto alcuni campioni e registrato le testimonianze di diversi testimoni e continueranno martedì le loro ricerche sul campo.

Gli ispettori hanno ottenuto dal regime siriano il permesso di visitare l’area di Ghouta solo cinque giorni dopo l’attacco in cui sarebbero state utilizzate armi chimiche, cosa che secondo gli Stati Uniti ha consentito ad Assad di nascondere o distruggere le prove utili per ricostruire come sono andate le cose. Kerry ha detto di avere parlato con il ministro degli Esteri siriano il giorno dopo l’attacco, ricordandogli che “se il regime non aveva nulla da nascondere, la sua risposta sarebbe dovuta essere immediata: immediata trasparenza e accesso immediato, non nuovi bombardamenti”. Kerry ha detto che quello di Assad non è stato il comportamento di “un regime desideroso di provare al mondo di non avere utilizzato armi chimiche”.

Le immagini da Ghouta, ha concluso Kerry, parlano da sole e sono una conferma del fatto che siano state utilizzate armi chimiche, ancora prima della chiusura delle indagini da parte degli ispettori delle Nazioni Unite. Barack Obama negli ultimi giorni si è sentito con i leader dei principali paesi alleati degli Stati Uniti, ha spiegato Kerry, e continuerà a consultarsi con loro e con i rappresentanti del Congresso nei prossimi giorni: “Il presidente Obama ritiene che coloro che hanno utilizzato le armi più odiose contro le popolazioni più inermi del mondo debbano essere chiamati alle loro responsabilità. A oggi null’altro è più importante e nient’altro sta ricevendo attenzioni così serie”.

Secondo diversi analisti, il discorso di John Kerry dimostra che l’amministrazione Obama è ormai determinata a intervenire militarmente contro il regime di Bashar al Assad. Dichiarazioni così nette e minacciose servono per dare un segnale ai paesi alleati e per iniziare a costruire un maggiore consenso sull’attacco negli Stati Uniti, dove secondo i sondaggi più recenti solo il 45 per cento della popolazione è a favore di un intervento militare. Obama aveva parlato già un anno fa della possibilità di un intervento nel caso in cui fosse stata superata la “linea rossa” delle armi chimiche, ma nonostante gli indizi su altri attacchi in Siria negli ultimi mesi, fino a qualche giorno fa la Casa Bianca aveva cercato di mantenere in secondo piano il problema siriano.

Gli alleati storicamente più vicini agli Stati Uniti, come Regno Unito e Francia (che fanno parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU) hanno dato altri segnali che indicano la probabile preparazione di un intervento militare. Lunedì il primo ministro britannico, David Cameron, ha interrotto le proprie vacanze per tornare a Londra per partecipare a una serie di incontri sulla questione siriana, mentre il suo ministro degli Esteri insieme con il suo omologo turco hanno fatto intendere che si potrebbe organizzare un intervento anche senza coinvolgere direttamente il Consiglio di sicurezza dell’ONU, di cui fanno parte Russia e Cina contrarie a un attacco.
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha spiegato durante un’intervista radiofonica che “l’unica opzione che non prevedo è di non fare nulla”.

In una intervista pubblicata lunedì dal giornale russo Izvestija, il presidente siriano Bashar al Assad ha detto che le accuse contro il suo regime per l’uso di armi chimiche sono “oltraggiose e prive di ogni buon senso”. Ha poi aggiunto che qualsiasi tipo di intervento militare in Siria si rivelerebbe per gli Stati Uniti “un fallimento proprio come tutte le altre guerre a partire da quella del Vietnam in poi”. Assad può contare soprattutto sul pieno appoggio della Russia, suo storico alleato, che negli ultimi giorni ha respinto qualsiasi ipotesi di intervento militare e ha cercato di sminuire le notizie sul presunto utilizzo di armi chimiche in Siria.

L’organizzazione Medici Senza Frontiere ha riferito che almeno 3600 persone sono state trattate in tre cliniche nei pressi di Damasco dopo l’attacco di mercoledì 21 agosto. La maggior parte dei pazienti presentava sintomi riconducibili all’esposizione a particolari armi chimiche come i gas nervini. Circa 70 volontari che avevano partecipato alle operazioni di soccorso in una clinica, entrando in contatto con i pazienti, si sono ammalati e uno di questi è morto.

Tempi e modi con cui sarà organizzato il probabile intervento militare non sono ancora del tutto chiari. Insieme con le intelligence dei paesi alleati, gli Stati Uniti dovranno prima fornire nuove indicazioni e prove a sostegno delle loro conclusioni sull’avvenuto utilizzo di armi chimiche. Si dovranno attendere anche i risultati delle indagini delle Nazioni Unite e una probabile serie di consultazioni al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Lunedì, in una più estesa conferenza stampa con molte domande dei giornalisti successiva al breve intervento di Kerry, una portavoce del Dipartimento di Stato ha spiegato che ogni scelta presa sarà rispettosa della legalità internazionale. Il Pentagono ha preparato da tempo una lista degli obiettivi principali da colpire in Siria, per lo più aree di stoccaggio di armi dell’esercito e altre strutture governative. Se ci sarà un attacco – e l’ipotesi prevalente è che si possa trattare di una sorta di punizione e avvertimento per Assad sulla questione delle armi chimiche, non un impegno per rovesciare il suo regime – sarà condotto almeno nelle prime fasi attraverso il lancio di missili da crociera (Cruise), le cui traiettorie possono essere controllate e guidate a distanza.