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  • Domenica 18 agosto 2013

Le polemiche su Yasukuni

Tre ministri giapponesi sono andati a visitare un santuario dove si venerano, tra gli altri, alcuni criminali di guerra

Il 15 agosto tre ministri del governo giapponese hanno visitato il santuario di Yasukuni, a Tokyo, in occasione del 68° anniversario della resa del Giappone. La cerimonia è stata contestata da alcune centinaia di giapponesi e da una delegazione di parlamentari sudcoreani.

Yasukuni è considerato il simbolo del nazionalismo militarista giapponese. Al suo interno sono venerati 2,5 milioni di militari e civili giapponesi morti in guerra. Tra di loro ci sono anche alcuni criminali di guerra condannati e giustiziati dopo la Seconda guerra mondiale.

Le visite a Yasukuni
Le visite al santuario da parte di rappresentati del governo giapponese causano ogni anno forti polemiche tra il Giappone, la Cina e la Corea del Sud, i due paesi i cui civili soffrirono di più a causa dei criminali di guerra venerati a Yasukuni. Nel 2012 due ministri visitarono il santuario, ma le polemiche furono smorzate dal fatto che l’allora primo ministro Yoshihiko Noda aveva chiesto esplicitamente ai membri del suo governo di non partecipare alle celebrazioni.

Quest’anno i tre ministri non sono stati ostacolati e lo stesso primo ministro, Shinzo Abe, è rimasto a lungo incerto se partecipare di persona o meno alla celebrazione. Secondo molti giornali, Stati Uniti, Cina e Corea del Sud hanno fatto forti pressioni che hanno spinto Abe a non visitare il tempio. Il primo, e finora unico, capo di un governo giapponese ad aver visitato il santuario mentre era in carica è stato Junichiro Koizumi, che lo fece sei volte tra il 2001 e il 2006.

L’attuale primo ministro, Shinzo Abe, non visitò il santuario durante il suo precedente periodo in carica, tra il 2006 e il 2007 (e non andò molto bene). Quest’anno, come ha fatto in passato, ha compiuto una donazione al santuario e ha autorizzato i suoi ministri a compiere la visita. Anche se non ha partecipato alle celebrazioni, molti commentatori sostengono che Abe sia il più nazionalista di tutti i primi ministri che si sono succeduti in Giappone nel dopoguerra.

Il nazionalismo giapponese
Tra la fine del 1800 e il 1945 il Giappone portò avanti una serie di guerre con cui arrivò a conquistare o a dominare indirettamente gran parte dell’Estremo Oriente e del sudest asiatico. Alcuni paesi, come la Corea, subirono la dominazione giapponese per più di cinquant’anni. Tra gli anni ’30 e il 1945, la dominazione giapponese e le conquiste per espanderne i territori furono particolarmente brutali e portarono alla morte di milioni di persone e alla riduzione in sostanziale schiavitù di centinaia di migliaia di cinesi e coreani.

Per questi motivi, paesi come la Cina e la Corea del Sud considerano il periodo del militarismo giapponese in maniera simile a come in Europa viene considerato il nazismo. Anche in questi giorni il parallelo è ritornato, quando alcuni parlamentari della Corea del Sud hanno domandato come si sentirebbero gli europei se il cancelliere tedesco andasse in visita a un santuario nazista.

Dopo la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti imposero al Giappone una costituzione molto pacifista. Tuttora il Giappone non ha un esercito, almeno ufficialmente, ma una “forza di autodifesa”. I nazionalisti ritengono queste imposizioni umilianti e hanno chiesto più volte di riformare la costituzione: e i nazionalisti in Giappone sono un importante serbatoio di voti, anche tra i giovani. Ad esempio, il 73 per cento dei giapponesi tra i 18 e i 29 anni ritiene che il Giappone abbia già formulato abbastanza scuse ufficiali per i crimini di guerra (è della stessa opinione il 63 per cento del totale della popolazione).

La questione del nazionalismo e dell’eredità del passato militarista giapponese è così controversa che ha coinvolto anche l’ultimo film di animazione del celebre regista Hayao Miyazaki. Il film racconta la storia di Jirō Horikoshi, l’ingegnere che progettò uno dei più importanti aerei da guerra della Seconda guerra mondiale – lo Zero, diventato anch’esso un simbolo dei successi ottenuti dal Giappone militarista. Miyazaki ha dichiarato più volte di essere un pacifista e nel suo film ha dipinto la guerra e i militari con tono molto critico, suscitando forti polemiche da parte dei nazionalisti.

Il primo ministro Abe ha ottenuto l’appoggio proprio di questi nazionalisti durante la campagna elettorale, sfruttando ad esempio il caso delle Senkaku, un gruppo di isole disabitate contese con la Cina. Più in generale, i suoi critici lo accusano di voler cambiare la costituzione e procedere a un qualche tipo di riarmo del Giappone. La sua nuova politica economica, la cosiddetta Abenomics, farebbe parte di una più ampia politica di ritorno al nazionalismo.

In realtà non è chiaro come Abe intenda procedere sul fronte delle spese militari e della politica estera, ma in passato ha compiuto dichiarazioni molto nette in cui non ha mai rinnegato il passato del Giappone. Durante il suo primo mandato, ad esempio, negò che durante la guerra decine di migliaia di donne coreane e cinesi furono costrette a lavorare nei bordelli dell’esercito giapponese, un dato storico ormai inconfutabile.

Il problema con Yasukuni
In questa situazione, il santuario di Yasukuni ha un ruolo centrale. Il santuario è il simbolo del passato imperiale e militarista del Giappone ed è dedicato a tutti i morti al servizio dell’imperatore (anche se dal 1945 nessun imperatore lo ha mai visitato). Viene visitato ogni anno da centinaia di migliaia di persone, tra cui moltissimi nazionalisti e nostalgici del passato militare del paese, che spesso si recano al santuario indossando le vecchie divise dell’esercito imperiale.

Le visite al santuario sono spesso considerate necessarie dai politici per accattivarsi le simpatie dei nazionalisti. D’altro canto, la presenza di membri del governo alle celebrazioni provoca ogni volta le proteste di molti paesi asiatici, come è accaduto anche questa settimana.

I sacerdoti che gestiscono Yasukuni decidono in autonomia chi vi debba essere venerato. Nel santuario, insieme a circa 2,5 milioni di caduti nelle varie guerre combattute dal Giappone a partire dal 1867, sono venerati come kami – gli dei minori dello shintoismo, la principale religione del Giappone – 14 persone condannate per crimini di guerra. Tra gli altri Hideki Tojo, il primo ministro che portò il Giappone a entrare nella Seconda guerra mondiale, e il generale Iwane Matsui, comandante delle truppe durante il massacro di Nachino, in Cina, durante il quale vennero violentate circa 20 mila donne e uccisi circa 250 mila civili cinesi.