Chi era Idi Amin

Fu uno dei dittatori più sanguinari ed eccentrici della storia africana, e morì in esilio dieci anni fa

Dieci anni fa, il 16 agosto del 2003, Idi Amin Dada morì in un ospedale della città saudita di Jedda. Per otto anni era stato il presidente dell’Uganda ed è tuttora considerato uno dei dittatori più eccentrici e sanguinari di tutta la storia africana. Si calcola che durante il suo regime furono uccisi circa 300 mila ugandesi. Tra le molte accuse che gli vennero mosse quando era in vita, ci fu anche quella – mai documentata con certezza – di essere un cannibale e di aver mangiato i corpi dei suoi avversari politici.

Negli anni Settanta, Amin divenne famoso soprattutto per le sue uniformi vistose e coperte di medaglie inventate e per il suo particolare senso dell’umorismo, che gli guadagnò qualche simpatia persino in Occidente. Amin venne deposto nel 1979, dopo che il paese venne invaso dalla Tanzania. Fino al 2003 visse una vita da nababbo negli alberghi più lussuosi dell’Arabia Saudita.

Da aiuto cuoco a generale
Non si conosce esattamente il suo anno di nascita: probabilmente nacque intorno al 1925 nel nord dell’Uganda. I suoi genitori appartenevano a una tribù che costituiva una minoranza etnica nel paese. La maggioranza ugandese chiamava la tribù di Amin e le altre che abitavano il nord del paese, linguisticamente imparentate con alcune tribù del Sudan, con il nome generico di “nubiani”.

In quegli anni, l’Uganda era una colonia amministrata dal Regno Unito. Nel 1946 Amin si arruolò come aiuto cuoco nel reggimento dei King’s African Rifles, una formazione dell’esercito britannico composta da soldati neri e guidata da ufficiali inglesi. In pochi anni attirò l’attenzione dei suoi superiori, anche per la sua forza fisica (era alto quasi due metri). Il suo fisico imponente fu uno degli attributi che lo resero famoso anche negli anni successivi: quando divenne il presidente del paese, uno dei suoi numerosi soprannomi era Big Daddy.

Grazie al suo fisico entrò a far parte nella squadra di pugilato dell’esercito e dal 1951 al 1960 fu campione nazionale di pesi mediomassimi. Negli stessi anni partecipò anche alle azioni di repressione della guerriglia dei Mau Mau in Kenya. Nel corso degli anni Cinquanta fece carriera rapidamente: nel 1952 divenne caporale, poi sergente, sergente maggiore e nel 1961 fu uno dei primi due soldati neri a ricevere un grado da ufficiale.

L’esercito inglese non promuoveva facilmente gli ugandesi. Così, quando nel 1961 l’Uganda ottenne l’indipendenza, Amin era uno degli ufficiali più alti in grado di tutto il paese, nonostante fosse un semplice tenente. Dopo l’indipendenza, Amin collaborò a lungo con il primo ministro dell’Uganda Milton Obote, nominato nel 1962 dopo le prime elezioni nella storia del paese. Obote inviò Amin a studiare nel Regno Unito e in Israele, un paese con cui l’Uganda aveva numerosi legami economici. Nel 1964 Amin venne nominato vicecomandante del nuovo esercito ugandese, e l’anno dopo ne divenne il comandante in capo.

In quegli anni, Amin venne accusato di corruzione e di essersi appropriato di fondi dell’esercito: con l’appoggio di Obote, Amin fece arrestare i parlamentari che lo avevano accusato. Pochi mesi dopo, Amin restituì il favore ed assaltò il palazzo di Mutesa II, presidente dell’Uganda e re dei Baganda, una delle tribù più importanti del paese. Ma all’inizio degli anni Settanta i rapporti tra Amin e Obote cominciarono a peggiorare. Nel 1971, mentre Obote stava ritornando da una conferenza a Singapore, Amin mise in atto un colpo di stato e si proclamò presidente dell’Uganda.

Un amico dell’Occidente
Il colpo di stato venne accolto favorevolmente all’estero. Amin promise che il suo governo militare sarebbe rimasto in carica soltanto fino alle elezioni, che sarebbero state indette appena possibile. Amin fece liberare i prigionieri politici arrestati durante il regime di Obote, mentre la notizia del colpo di stato venne accolta con festeggiamenti in tutto il paese. Pochi mesi dopo, Amin concesse un funerale di stato al vecchio re e presidente, Mutesa II, morto in esilio pochi mesi prima.

Negli ultimi anni Obote aveva impresso al paese una svolta politica verso sinistra. Si era avvicinato all’Unione Sovietica e aveva annunciato l’intenzione di nazionalizzare le proprietà straniere nel paese. I governi del Regno Unito e di Israele, che avevano grossi interessi economici in Uganda, dichiararono di essere soddisfatti del colpo di stato, che per di più si era consumato quasi senza spargimenti di sangue.

Le cose cambiarono in fretta. Poche settimane dopo il colpo di stato all’interno dell’esercito e dell’amministrazione statale iniziò una pulizia etnica. Diverse migliaia di soldati appartenenti alla tribù di Obote vennero uccisi dai nubiani, gli appartenenti alla tribù di Amin e agli altri gruppi etnici del nord del paese. Nel frattempo la situazione economica peggiorava, mentre la banca centrale ugandese cominciava a stampare denaro per finanziare un aumento delle spese militari.

Amin fece sapere che il riarmo gli serviva per fare guerra alla Tanzania, dove Obote si era rifugiato insieme a molti altri esuli ugandesi. Chiese ad Israele di fornirgli aerei da combattimento e altri aiuti che gli servivano per l’invasione. Israele rifiutò e Amin decise di cambiare completamente il fronte delle sue alleanze. Viaggiò in Libia, dove ottenne l’appoggio di Muhammar Gheddafi, e dopo aver ottenuto gli aiuti militari che chiedeva fece espellere dal paese circa cinquecento cittadini israeliani, facendo sequestrare tutte le loro proprietà.

L’economia del paese, intanto, andava sempre peggio. Amin accusò della crisi economica gli ugandesi di origine asiatica. Si trattava di circa 40 mila persone, in gran parte indiani emigrati durante il periodo coloniale britannico: molti di loro appartenevano alla terza generazione, nata e cresciuta in Africa. Erano quasi tutti piccoli commercianti o imprenditori e rappresentavano uno degli elementi più importanti dell’economia ugandese. Nell’agosto del 1972 Amin dichiarò che tutti gli ugandesi di origine asiatica avevano 90 giorni per lasciare il paese e che avrebbero potuto portare con loro soltanto quello che riuscivano a trasportare. La notizia finì su tutte i giornali del mondo e alcuni commentatori cominciarono a sostenere che Amin era mentalmente instabile.

Proprio nel mezzo dell’espulsione degli ugandesi di origine asiatica, Obote e altri esiliati tentarono un’invasione dalla Tanzania. Amin li respinse facilmente, ma l’attacco gli diede l’occasione per scatenare un’ondata di repressione. Nel corso del 1972 divenne chiaro al mondo che quella che Amin aveva messo in piedi era una vera e propria dittatura militare, basata sull’appoggio della sua tribù.

Circa 18 mila membri delle forze di sicurezza ufficiali e dei gruppi paramilitari vennero arruolati tra i nubiani della tribù di Amin. Questi gruppi furono responsabili di decine di migliaia di sparizioni. A essere uccisi erano spesso persone comuni, che venivano rapite o minacciate per ottenere denaro o che semplicemente appartenevano alle tribù che Amin considerava nemiche. Ma per ordine di Amin vennero uccisi anche personaggi di alto profilo come politici, parlamentari, giudici e avvocati.

Signore di tutte le bestie della terra e dei pesci dei mari
In quegli anni, mentre il mondo si rendeva lentamente conto che l’Uganda era caduto nelle mani di una dittatura spietata, Amin si fece notare per diverse stranezze, oltre che per le sue battute e per il suo umorismo. Ad esempio, quando i giornalisti gli chiedevano di rispondere alle accuse di cannibalismo, rispondeva: «Non mi piace la carne umana. È troppo salata».

Una delle cose che più colpivano di Amin era l’estrema pompa e magniloquenza delle sue uniformi, del cerimoniale che lo accompagnava – gli ugandesi, davanti ai reporter stranieri, si inchinavano al suo passaggio – e dei suoi titoli. Ad esempio, il titolo ufficiale che decise di adottare per sé nel 1977 era: “Sua Eccellenza, presidente a vita, maresciallo di campo, dottore Al Hadji Idi Amin Dada, VC, DSO, MC, signore di tutte le bestie sulla terra e dei pesci nei mari, e conquistatore dell’Impero britannico in Africa in generale e in Uganda in particolare”.

Come si capisce bene dal pomposo titolo ufficiale, Amin rimase sempre in qualche misura ossessionato dal Regno Unito. DSO e MC erano gli acronimi di decorazioni britanniche che però lui non aveva mai ricevuto; VC era l’acronimo di “Victorious Cross”, una decorazione da lui inventata che aveva le stesse iniziali della più alta decorazione del Regno Unito, la Victoria Cross. In pubblico si presentava vestito con uniformi che ricordavano quelle dell’esercito britannico e con il petto coperto dalle decorazioni inventate o che si era auto-attribuito.

Si proclamò anche legittimo pretendente al trono di Scozia e dichiarò che insieme ai sui “cugini celti” avrebbe affrontato e sconfitto gli inglesi. Questo particolare ha dato il titolo al film del 2006 L’ultimo re di Scozia, in cui Idi Amin è interpretato da Forest Whitaker. Per la sua interpretazione, Whitaker vinse un Oscar come miglior attore protagonista nel 2007.

Sui media occidentali, l’attenzione per questi dettagli buffoneschi riuscì a volte a mettere in ombra il fatto che Amin fosse un brutale dittatore, responsabile di decine di migliaia di uccisioni. Tra il 1976 e il 1979 il Saturday Night Live, uno dei più popolari programmi comici degli Stati Uniti, dedicò quattro sketch ad Amin. Diversi esiliati ugandesi criticarono questo atteggiamento, sottolineando che gli occidentali si concentravano troppo sulle eccentricità di Amin e dimenticavano che si trattava di un sanguinario dittatore.

Amin veniva spesso descritto come un istrione che sapeva come divertire un pubblico. Ad esempio, nei rapporti diplomatici che intratteneva a distanza, trattava gli altri capi di stato con grande familiarità, scherzando, facendo battute o insultandoli in modo colorito. Ad esempio, scrisse in un telegramma ad Henry Kissinger: «Non sei intelligente perché non vieni mai a trovarmi quando hai bisogno di un consiglio». Alla regina Elisabetta scrisse: «Ho saputo che l’Inghilterra ha problemi economici. Sto inviando una nave piena di banane per ringraziarvi dei bei giorni dell’amministrazione coloniale».

Amin faceva una grande pubblicità a queste trovate. Molti leader africani lo considerarono un modello per la sua indipendenza e la sua spregiudicatezza nei rapporti con i paesi europei. Questi suoi atteggiamenti, almeno fino a quando non divennero chiare le dimensioni dei massacri compiuti sotto il suo regime, gli procurano in Occidente alcune simpatie tra le frange più estreme della contestazione degli anni Settanta.

La fine di Amin
Amin cominciò ad essere preso più seriamente dopo l’incidente di Entebbe. Nel giugno del 1976 un volo aereo diretto da Tel Aviv a Parigi venne dirottato da cinque terroristi palestinesi e da due terroristi tedeschi di estrema sinistra. Dopo una sosta in Libia, i terroristi portarono l’aereo in Uganda, all’aeroporto internazionale di Entebbe. Amin si presentò come mediatore, ma era chiaro che stava attivamente aiutando i terroristi e che l’aereo e gli ostaggi erano sorvegliati, oltre che dai terroristi, dall’esercito ugandese.

Dopo alcuni giorni di negoziati, il governo israeliano inviò un commando per liberare gli ostaggi. I sette terroristi e 45 soldati ugandesi vennero uccisi insieme a tre ostaggi e a un militare israeliano. Prima di abbandonare l’aeroporto, gli israeliani fecero anche esplodere undici aerei da combattimento dell’aviazione ugandese. Come rappresaglia, poco giorni dopo, Amin fece uccidere l’unico ostaggio che era rimasto nelle sue mani: una donna di 73 anni spostata dall’aeroporto a un ospedale per motivi di salute.

Dopo il raid di Entebbe, la maggior parte dei paesi occidentali chiuse le relazione diplomatiche con l’Uganda. Il Regno Unito ritirò il suo Alto Commissario dal paese, il che portò Amin a dichiarare di aver sconfitto il Regno Unito e ad attribuirsi il titolo di “Conquistatore dell’Impero Britannico”. Un anno dopo, nel 1978, Amin invase la Tanzania, ma le sue truppe appoggiate da militari libici vennero sconfitte. Nell’aprile del 1979 l’esercito della Tanzania, appoggiato dagli esiliati di Obote, entrò nella capitale dell’Uganda, Kampala.

Amin lasciò il paese e raggiunse l’Arabia Saudita. Cercò una sola volta, nel 1989, di ritornare in Uganda, ma venne bloccato in Zaire, quella che è oggi la Repubblica democratica del Congo. L’Arabia Saudita accettò di nuovo di dargli asilo in cambio della sua rinuncia a qualunque ambizione politica. Per 14 anni Amin rimase a Jedda, insieme alle sue quattro mogli e a circa trenta figli. Vieva in una lussuosa villa e trascorreva il suo tempo nei migliori alberghi della città. Durante questi anni rilasciò diverse interviste, in cui raccontava di non provare rimorso per quello che il suo regime aveva fatto in Uganda, ma soltanto nostalgia.